FLC CGIL

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Una lunga ovazione ha tributato a Guglielmo Epifani l’assemblea dei delegati dei settori pubblici, quando ha detto che questa è una delle sue ultime apparizioni come segretario generale della Cgil. Una testimonianza d’affetto per la sensibilità che ha sempre dimostrato verso i servizi pubblici e la conoscenza, ritenendoli elementi essenziali dello sviluppo, della democrazia e dei diritti di cittadinanza.
E questi concetti Epifani li ha riproposti, oggi, nel suo commiato.

Sulle elezioni delle RSU il segretario non ha lasciato dubbi. La CGIL rivendica il diritto dei lavoratori a votare, una elementare regola democratica, che non può essere cambiata a seconda della convenienza.

Su questo ha richiamato le responsabilità del governo, che non perde occasione per ricordare il mandato ricevuto dagli elettori ma nega il voto a milioni di lavoratori pubblici.

E sull’operato del governo Epifani è stato durissimo. Il nostro Paese non merita un governo che da 3 mesi – ha detto indignato – si occupa d’altro e non dei problemi reali, della poca crescita e della molta disoccupazione, portandoci alla paralisi.

La situazione critica del nostro Paese – ha detto – è conseguenza degli errori del governo. “Lo avevamo previsto e i fatti ci hanno dato ragione”. La manovra economica di luglio è, per un verso, in linea con quanto si sta facendo in Europa per far fronte alla crisi. Ma, per un altro verso, ci allontana dall’Europa e dai paesi più avanzati. Proprio perché, a differenza degli altri, in Italia non si è investito nel settore pubblico. Altrove, università, scuola, ricerca sono considerati fattori di crescita e motori per uscire dalla crisi. Laddove si è tagliato, non si è però abbassato lo standard di qualità dei servizi, che era già superiore al nostro. In Italia i tagli lineari, senza alcuna selezione colpiscono non solo la qualità del sistema, ma anche e soprattutto i ceti più deboli, i giovani prima di tutto.

Crisi o non crisi, l’Italia è sempre in coda su sviluppo e occupazione. La Germania che stava nelle nostre stesse condizioni ha una ripresa 3 o 4 volte superiore alla nostra e in un paio d’anni ritornerà alla situazione del 2008, all’Italia occorreranno 8 anni. Nonostante il governo non abbia dovuto fare pesanti interventi finanziari per salvare il sistema bancario, restiamo indietro. È mancata la politica: politica industriale, economica, per lo sviluppo. Persino il Presidente Napolitano ha denunciato la mancanza di una politica industriale, senza la quale non c’è competitività.

Gli altri hanno cercato soluzioni, anche facendo pagare chi ha di più, usando la leva fiscale. L’Italia è l’unico paese che tassa pesantemente stipendi e pensioni, taglia e deprime i consumi. Negli anni della crisi il prelievo fiscale sul lavoro dipendente è cresciuto di mezzo punto.

I timidi segnali di ripresa riguardano settori che rappresentano il 20% del PIL. E l’altro 80%? Andrebbe stimolato con la domanda interna, investimenti anche a favore di reti pubbliche e reti sociali. E comunque se timida ripresa ci sarà, sarà senza occupazione, come ormai ammette pure Confindustria. Ma il governo non prova neppure a ridurre i danni. Risultato? 650 mila persone in cassa integrazione, 1 milione di posti di lavoro persi e migliaia di precari che stanno per perdere il posto.

Sui lavoratori pubblici la manovra del governo incide parecchie volte, dal blocco della contrattazione nazionale e di quella integrativa, al blocco degli automatismi fino all’iniqua norma sulla previdenza riservata alle lavoratrici del pubblico impiego. Senza contrattazione nazionale gli stipendi resteranno fermi e il fiscal drag avrà ragione degli aumenti nominali. Senza contrattazione di II livello non ci sarà riorganizzazione del lavoro, niente stimolo alla produttività, niente efficienza di uffici e servizi con gravi ricadute anche sulla cittadinanza. È per questo che hanno paura delle elezioni nei posti di lavoro? Si è chiesto Epifani.

Blocco dei contratti e blocco delle elezioni fanno parte di un disegno per cancellare il sindacato nei settori pubblici per almeno 3 anni. E non c’è nessuna garanzia per il dopo. Ha ricordato, come aveva fatto Dettori, gli impegni di Bonanni e Angeletti al congresso di Rimini per le RSU e li ha invitati a essere coerenti con quanto essi stessi hanno detto. “Non posso credere che abbiano paura di sottoporsi a una verifica”. Il segretario ha tenuto a precisare che la verifica della rappresentanza sindacale è una questione di democrazia ed è interesse di tutte le grandi organizzazioni avere un rapporto diretto con le persone a cui chiedono un mandato. Ha sfidato il ministro Brunetta a prendersi le sue responsabilità, perché il problema delle RSU lo riguarda direttamente, e invece su questo è stranamente silente. La CGIL firmerà l’accordo sui comparti. La loro riduzione porterà maggiore ordine nel lavoro pubblico, dunque la CGIL firma quando i contenuti lo meritano. Ma sulla data delle elezioni è pronta a dare battaglia.

Epifani ha concluso ringraziando i lavoratori pubblici di avere portato dentro la Cgil l’orgoglio di chi sa di svolgere un lavoro importante e ha mantenuto questa consapevolezza anche di fronte ad attacchi odiosi (sono tutti fannulloni).