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Prende la parola Clotilde Pontecorvo docente di Psicologia dell’educazione Università di Roma

Come si fa a garantire un egual diritto di formazione a tutte le culture ed a tutte le religioni? C’è stata una battaglia durissima sull’insegnamento della religione cattolica, tra i sostenitori del doppio binario, e i sostenitori della logica concordataria. Noi laici abbiamo sempre assunto una posizione difensiva di fronte ad una assunzione di arrogante potere. C’è una relativa impotenza presente e passata su questo problema da parte delle forze laiche.

La laicità delle istituzioni non è ancora sempre presente, l’ultima parte della nostra storia è stata una storia di difesa.

Poi c’è stato tutto il problema della facoltatività e della opzionalità. Però se non si fa chiarezza sulla logica concordataria non veniamo fuori dall’ambiguità. Il problema si pone soprattutto nella scuola dell’infanzia e nella scuola elementare: la vera alternativa, che è quella di non fare nulla, non c’è ancora. C’è differenza tra i livelli di scuola.

Non è l’ora di religione, perché in realtà ci sono due ore di religione. E ancora più scandaloso è il fatto che quando i genitori si sentono inadeguati a questo compito educativo, lo trasmettono alle istituzioni ed in particolare alla scuola.

Vorrei ricordare il fatto che questo problema si pone in modo forte per quelle famiglie nelle quali è meno evidente un’identità.

Quando io, di famiglia ebrea, sono approdata in una scuola dove sono stata esonerata dalla religione, non mi sono sentita diversa. Lo dico perché non tutti sono consapevoli di come i bambini piccoli possono essere sensibili anche ai problemi politici.

Clotilde fa poi una carrellata di esempi molto significativi e di situazioni particolari vissute anche in prima persona.

Per chi è di un’altra cultura il problema è serio, soprattutto dopo la riforma Moratti ed alcuni suoi particolari interventi.

La cosa importante nella riforma non è che tu abbia una convinzione, ma che tu sia lì a testimoniare una presenza. Io non condivido la posizione di chi vuol eliminare gli aspetti “esterni” della religiosità, bisogna però garantire a tutti la libera espressione e bisogna forgiare l’autonomia di giudizio.

Ritengo che il dialogo sia molto più importante delle convinzioni e delle manifestazioni esteriori. Il fatto di aver insegnato a delle suore, non mia ha impedito, nonostante il loro vestire e le loro identità, di parlare con loro, di stabilire dei contatti e dei confronti. Non credo che sarei infastidita di avere delle ragazze con il velo tra le alunne, l’importante è riuscire a stabilire dei rapporti. La relazione è importante.

Per entrare più nel merito: faccio riferimento alla Carta dei diritti fondamentali dell’uomo, dove per fortuna non è apparsa l’origine cristiana delle nostre culture. Quindi non è importante solo definire le condizioni per un contesto laico di formazione, però mi pare che ci dobbiamo porre il problema di cosa uno stato democratico si pone come fine dell’educazione. Sono contraria al potere assoluto delle famiglie sulle scelte dei figli. E’ un diritto dei bambini la “scelta”.

Nella quotidiano, secondo uno studio che sto facendo, non c’è una preminenza d’interesse per la formazione religiosa.

Bobbio: la laicità è l’esercizio critico nei limiti della sola ragione

Il diritto di scelta delle famiglie va difeso, ma anche il diritto di creazione della singola e propria soggettività.

La dimensione dialogica della cultura dovrebbe essere alla base della formazione e dell’educazione in un progetto libero.

LA SCUOLA HA UN RUOLO DI CAMBIAMENTO NON DI CONFERMA DELLE DIFFERENZE

Noi abbiamo un’ identità di appartenenza ed un’identità di propria realizzazione, la seconda non è secondaria rispetto alla prima.

Dobbiamo rendere possibile che tutti siano capaci di libertà di giudizio e di scelta