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Alla ripresa dei lavori il prof. Enzo Persichella, sociologo presso l'Università di Bari dichiara che non è affatto agevole sviluppare un discorso riguardante gli effetti della “riforma Moratti” su una realtà particolarmente complicata e diversificata qual è quella meridionale. Conviene farlo assumendo come criterio guida la nozione di socializzazione intesa come processo o meglio come sviluppo delle competenze comunicative dei soggetti nonché delle loro capacità di prestazione. Per la scuola dell’infanzia si può affermare che per le nuove generazioni meridionali la partecipazione ha raggiunto livelli superiori al 97 per cento.Tante e notevoli sono però le differenze con cui si trova a fare i conti la nostra scuola di base. Il sistema scolastico pone le sue condizioni normative, curricolari, organizzative e comportamentali. Evasioni ed abbandoni sono i segnalatori più evidenti ed immediati del fenomeno di vera e propria descolarizzazione che continua a colpire le fasce sociali più deboli delle regioni meridionali in tutti i segmenti del sistema di istruzione nonostante il tasso di scolarità abbia raggiunto livelli elevati. L’elevato grado di dispersione evoca conseguenze negative sul piano sociale, a livello individuale e di sistema scolastico per la produzione di pericolose sacche di marginalità: situazioni che diventano esplosive quando questi elementi si condensano e si intrecciano all’interno di particolari condizioni ambientali (a Napoli come a Bari, a Taranto come a Palermo, Catania, Messina).

Anche a livello universitario il fenomeno della dispersione si presenta allarmante.

Passando al settore della formazione professionale, l’apporto di questa insostituibile e cruciale componente del complessivo sistema formativo meridionale, appare ancora del tutto inadeguato e notevolmente discriminatorio, quale strumento insostituibile di efficaci politiche attive di sviluppo.

Molto dipende allora dal tipo di sistema formativo integrato che un dato territorio è capace di mettere in piedi, capace di perseguire obiettivi formativi, tali da sostenere realistiche politiche attive del lavoro e da influenzare positivamente le scelte e le decisioni riguardanti le linee di sviluppo economico,ma anche gli orientamenti e i comportamenti dei giovani e delle loro famiglie,nonché le convenienze offerte all’iniziativa imprenditoriale dall’esistenza di forza lavoro preparata adeguatamente. Si tratta di un sistema formativo integrato formato da scuola e formazione professionale. Entrambe queste funzioni sono insostituibili e non già da pensare disinvoltamente o surrettiziamente interscambiabili. Tutto questo naturalmente assume un senso preciso in presenza di un certo tipo di scuola secondaria superiore che non può essere quello disegnato dalla Moratti.Va anche osservato che nel disegno morattiano per la secondaria superiore si tocca un punto nevralgico e mi riferisco alla ricollocazione all’interno del sistema formativo integrato dell’istruzione professionale di Stato. Anche per questo occorre porre mano decisamente alla riorganizzazione del sistema regionale di formazione professionale dando piena attuazione ai meccanismi di delega alle province, valorizzandone poi i criteri di efficacia ed efficienza. Sono proprio anche queste necessità che ”alla prova dei fatti” portano a valutazioni estremamente critiche delle politiche formative morattiane. Sono valutazioni negative che riguardano il metodo e il merito e sono riferibili a tutti i livelli del sistema formativo.da quello dell’istruzione di base a quello della formazione superiore, nonché a quello della ricerca.

Sul piano del metodo ad esempio la Moratti ha scelto di arrivarci attraverso un percorso non condiviso, forzando in vario modo l’attuazione, evitando forme di dibattito e catturando demagogicamente per via mediatica le famiglie quali espressione esaustiva dell’intera opinione pubblica enfatizzando i pacchetti di una sperimentazione rivolta di volta in volta ai diversi settori del sistema. Tutto questo richiama un'altra questione fondamentale che va ben oltre il metodo ed attiene ad un attacco portato costantemente all’autonomia, a quella delle scuole come a quella delle università e degli enti di ricerca e quindi come inesorabile riaffermarsi di una concezione e di una condotta che non possiamo non denotare come vero e proprio centralismo.

Un discorso a parte richiede infine tutta la questione degli anticipi alla scuola dell’infanzia ed alla scuola elementare. Un’intervista qualitativa condotta nel 2003 su un campione eterogeneo di genitori pugliesi ci presenta un vasto campionario di opinioni, aspettative, valutazioni a volte disparate e contrastanti ma ha almeno il merito di fare un poco di chiarezza tipologica rispetto all’insieme famiglia.

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