FLC CGIL

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Pietro Lucisano, docente di Pedagogia Sperimentale dell’Università La Sapienza di Roma

parte dalla necessità di avere un preciso punto di partenza: un programma forte per l’integrazione fra scuola, università, e ricerca per un grande investimento nel Pese e per recuperare i ritardi storici rispetto agli altri. Il doppio canale è sbagliato perché è dimostrato che nei Paesi che lo hanno adottato (Germania, Belgio...) va male rispetto alla media generale dei livelli di istruzione, contrariamente ai sistemi aperti (non selettivi) che presentano aspetti di eccellenza nettamente superiori. L’obbligo a 18 anni deve demistificare la proposte Moratti; è una proposta forte, con grande attenzione alle risorse necessarie per non renderlo un boomerang. Va bene il passaggio intermedio dell’innalzamento dell’obbligo a 16 anni. E’ ragionevole spingere in avanti le proposte come fa la CGIL. Abbiamo un Paese in cui le risorse sono distribuite con forti disuguaglianze. Per la formazione professionale sembrava ragionevole spingere in avanti la stessa sul territorio per farlo fuoriuscire dalla marginalità. Tele progetto è fallito perché la formazione professionale è a macchia di leopardo, con sacche degenerative in assenza di standard formativi condivisi. Il vero limite della formazione professionale è l’accettazione delle qualifiche da parte delle imprese. E’ stato questo anche un punto di caduta. Giusta la concezione dell’obbligo formativo come elemento propulsivo della formazione professionale anche come accesso all’università, ma su questo c’è stato un cedimento degli Enti, quelli religiosi a favore della scuola privata, quelli sindacali che si sono proiettati sulla formazione superiore più conveniente.

Accanto ai licei deve esistere un liceo professionale che porti alla maturità, che consenta l’accesso alla formazione universitaria e al mondo del lavoro.

Quindi, quale ipotesi istituzionale?

La competenza regionale dovrebbe attribuire tale compito alle regioni che, però, devono agire coordinandosi a livello nazionale. Non possiamo pensare però che il livello nazionale sia fonte di garanzia assoluta. Le matricole all’università si e ci chiedono quale sia l’utilità degli insegnanti? Noi possiamo rispondere che c’è una finalità professionale ma quale se è avulsa dal mondo del lavoro? Occorre riflettere criticamente anche sull’apprendistato, per quello che è stato negli ultimi anni. Stiamo facendo diventare l’apprendistato nuovamente un contratto di formazione/lavoro di vecchio stampo. Alcune cose che abbiamo disegnato erano belle nella teoria, poi l’impatto con la realizzazione è stato negativo. Pensare alla formazione professionale eliminando gli ecumenismi della formazione superiore che deve essere meno strutturata, breve, flessibile e mirata.

Rivista, la formazione superiore può essere un elemento di dinamicità del sistema formativo. Possiamo costruire un sistema di formazione professionale che affianchi l’impresa. Il liceo professionale pur impostato su abilità pratiche può essere un’occasione “per imparare ad imparare” acquisendo la capacità di modificare ed adeguare le proprie competenze sia tecnico-professionali Dobbiamo, infine, capire che nel sistema universitario e della ricerca c’è qualcosa che non va (abbandoni, enciclopedismo, ecc.). Dobbiamo evitare il rischio di una scuola che cambia continuamente rimanendo sempre uguale a se stessa.

Vogliamo una scuola attiva che rifiuti l’enciclopedismo, che sappia mettere il soggetto di fronte alla complessità della realtà, fornendogli strumenti culturali adeguati.

Occorre predisporre piani di formazione degli insegnanti, rompere una concezione schematica e gestionale dell’autonomia delle scuole, una visione meccanica delle attività di insegnamento. Bisogna coinvolgere anche le Regioni che non vanno messe fuori dal discorso sulla scuola.