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Dronero. Akim e l’aquilone

Qualche istantanea da un paese che rischia di dividersi intorno alla sua scuola

07/03/2025
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In realtà l’istituto comprensivo è uno, ma le scuole che raccoglie sono tante, ben 13 plessi: 4 scuole dell’infanzia di cui due paritarie, 7 primarie, 2 secondarie di primo grado di cui una con annesso convitto Alpino

Akim e l’aquilone è un libro multilingue, citato da Vinicio Ongini in Noi domani. Un viaggio nella scuola multiculturale, Laterza. A scrivere il libro multilingue, otto per la precisione, tante quante erano quelle presenti allora nella scuola, sono state due maestre proprio della primaria di Dronero

Il libro di Ongini è del 2011. L’aquilone di Akim, se c’è ancora, è impigliato da qualche parte. E, a dire il vero, gli ostacoli in cui impigliarsi sembrano davvero non mancare.

Dronero è un paese, all’ingresso della Val Maira, Cuneo, assurto nelle ultime settimane alle cronache mediatiche come caso di scuole primarie, intese come plessi, separate: alcune solo per i figli di immigrati, con cittadinanza italiana o meno, altre per italiani autoctoni.

Il Sindaco ricorda che tra i residenti, circa settemila, la percentuale di immigrati è la più alta del circondario: 18 %. Qui c’è lavoro e bisogno di manodopera: nella fabbrica di biciclette, in quella di falci a mano, in quella di telescopi ed anche nei frutteti. Non è un fenomeno recente. Molti immigrati qui hanno messo su famiglia e anche comprato casa, grazie a un mercato che offre case a prezzi abbordabili, concentrate grosso modo in due zone del paese. E hanno iscritto i bambini a scuola, nella scuola più vicina, raggiungibile a piedi. 

Nel cuneese c’è una realtà variegata di scuole primarie o di soluzioni alternative. C’è chi sceglie l’istruzione parentale, tra questi diversi cinesi; chi la “Scuola nel bosco”; chi i plessi con un corpo docente più stabile; chi la “Scuola senza zaino”. Quest’ultima in realtà è integrata a pieno titolo nel PTOF dell’istituto comprensivo di Dronero e realizzata in due plessi dislocati in frazioni dove non ci sono però bambini figli di immigrati.  

Ognuno ha le sue ragioni per iscrivere i figli altrove o lasciarli dove sono: la vicinanza dei nonni, l’orario, la proposta formativa… non manca però la preoccupazione, a volte ammessa con fatica: in una classe con tutti questi stranieri non si rallenterà l’apprendimento? Non se ne abbasserà la qualità? Il mio bambino non resterà “indietro”?

Sarà forse per questa ampia possibilità di scelta che si è determinata una sorta di polarizzazione e in due plessi c’è una forte percentuale di frequentanti con back ground migratorio, in alcune classi molta alta. Molti di loro sono nati qui, anche da coppie miste. I NAI sono veramente pochissimi. Eppure la concentrazione fa una certa impressione; così come peraltro la loro assenza negli altri plessi. Sembra che situazioni analoghe siano presenti anche in altri comuni del territorio. 

C’è chi difende la libertà di scelta e chi invece, per riequilibrare la composizione delle classi, vorrebbe imporre l’iscrizione in base alla territorialità. Ma la normativa non lo consente. E se sul numero degli alunni per classi sono possibili e previste deroghe, sulle iscrizioni pare di no. Qualcuno ha preso in considerazione la possibilità di iscrivere alcuni alunni, figli di immigrati, in altri plessi; ma come scegliergli? Come si diceva quasi tutti sono italiani. 

Si diffondono il malcontento, il disagio, forse anche una sorta di fastidio per un modello specifico di scuola che presenta una proposta molto forte, connotata e coesa, quasi un esempio impossibile che oscura il lavoro degli altri. La cosa finisce sui giornali e le dinamiche conflittuali rischiano di acutizzarsi. I toni si fanno a tratti veementi. 

Eppure…

Eppure, dopo discussioni in Collegio Docenti e nel Consiglio d’Istituto è stato istituito un Tavolo di confronto, aperto a tutti i soggetti della comunità educante, che si avvarrà anche del contributo di un esperto di pratiche dialogiche in situazioni complesse.  

Eppure il Comune organizza una rassegna, partecipatissima, di eventi che si intitola “Il ponte del dialogo” parafrasando la denominazione dell’antico “Ponte del diavolo” che congiunge le due sponde del Maira che attraversa il paese. Tra gli ospiti Gad Lerner, Eraldo Affinati, Esperance Hakuzwimana, autrice de I bianchi di scuola

Eppure il Sindaco ci ha ricevuti per un incontro, pur senza preavviso. 

Eppure la Dirigente Scolastica e vari docenti, diversamente coinvolti nella vicenda, hanno risposto con disponibilità a ogni nostra domanda.

L’Imam è un signore ivoriano. Ha una bambina che frequenta la scuola. Ci ha detto di non aver mai incontrato particolari problemi a scuola, ma che, ultimamente, la figlia qualcosa gli ha detto di quel che sta succedendo.

Ci racconta che tempo fa è nato un problema intorno al locale dove i musulmani del posto si riunivano per pregare. Qualcuno, anche allora sulla stampa, ha sollevato il problema che quella moschea non era a norma. La comunità islamica si è organizzata e ha comprato uno stabile, messo a norma, che ora usa come moschea.

Insomma, qualche problema nel corso degli anni c’è stato, nella relazione tra autoctoni e immigrati. Qui tutto sembra composto, ordinato, molto ben tenuto. Come se ognuno sapesse stare al “suo” posto. Il problema forse è come si determina quale sia il posto di ciascuno e come si promuove, o non si promuove, l’interazione. L’impressione è più di una realtà multiculturale che di grande scambio interculturale.

Chiediamo all’Imam come immagina Dronero tra quindici o vent’anni. Risponde che, forse, lui allora sarà tornato al suo paese d’origine, ma i suoi figli di certo no: sono nati e vissuti e vivranno qui e quindi saranno protagonisti della loro vita e della vita del posto dove vivono.

Vengono alla mente le analisi degli economisti e dei demografi, condivise spesso dagli imprenditori più avveduti, che illustrano il fabbisogno di immigrati per il mercato del lavoro europeo, un fabbisogno che, se non soddisfatto, porterà all’implosione dell’Europa stessa nel corso di pochi decenni. A quel punto considereremo ancora i figli dell’Imam come immigrati, come “stranieri”?

Ma, chi lavora con consapevolezza e responsabilità a questo futuro? Chi si preoccupa di educare tutti, soprattutto le giovani generazioni, a una convivenza che sia rispettosa, pacifica e democratica, se la scuola viene meno a questo compito, se la scuola suo malgrado divide nei fatti per provenienza e/o per origine, un’origine peraltro sempre più lontana?

Sì, l’aquilone di Akim si è impigliato. Ma qui spesso tira vento e forse, con impegno, con un lavoro paziente sulla gestione dei conflitti, con una progettualità interculturale in primis della scuola, ma anche del territorio e della comunità tutta, quell’aquilone potrà riprendere il vento facendo volare le storie, le lingue, i racconti, i saperi, le vite.

La conoscenza, l’istruzione e la ricerca
pubbliche sono alla base
del futuro del Paese.

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