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A Roberto Ferraris il compito di relazionare i lavori del quarto gruppo: Secondaria superiore.
Innanzitutto gli insegnanti del gruppo scuola superiore ringraziano Antonio Giacobbi che ha coordinato e moderato il gruppo con competenza.
Abbiamo affrontato i nodi cruciali dell’inserimento di alunni stranieri nella scuola superiore.
A questo ordine di scuola afferiscono adolescenti e giovani, che molto spesso sono portatori di un bagaglio di scolarizzazione nel paese d’origine, e questo crea problemi di inserimento e di riconoscimento del titolo e delle competenze. Naturalmente i maggiori problemi non riguardano chi ha comunque già fatto una parte del proprio percorso di scolarizzazione in Italia, ma proprio chi si inserisce arrivando direttamente dal paese d’origine. Quelli che vengono definiti “non parlanti italiano”. Il cosiddetto livello zero. In alcune scuole superiori, questo livello comprende il 20-25 % del totale degli stranieri inseriti.
Abbiamo evidenziato come elemento cruciale il momento dell' inserimento in classe e della relativa accoglienza.
Questo è il momento in cui la scuola italiana dimostra le proprie carenze strutturali.
Il semplice inserimento in una classe della stessa leva scolastica, come recita la normativa, non risolve i problemi e in alcuni casi li complica.
L’inserimento tra i pari età è importante per la socializzazione con le compagne ed i compagni, consente una buona integrazione, è strumento per la formazione all’accoglienza e al riconoscimento di culture “altre” da parte degli studenti italiani ed è sicuramente utile e necessario anche per l’apprendimento della lingua italiana. Ci sembra tuttavia di dover evidenziare che nella scuola superiore l’inserimento in una classe di pari età o nella classe immediatamente inferiore, come vuole giustamente la norma, può costituire un problema quando lo studente che arriva non ha alcuna competenza linguistica e manca anche di competenze disciplinari che lo mettano in grado di affrontare l’anno scolastico con buone probabilità di successo. La presenza di discipline fortemente strutturate caratterizza infatti la scuola superiore a differenza di quella dell’infanzia e primaria e, in parte, anche della secondaria di primo grado. In questo caso il Collegio dei docenti dovrebbe poter valutare la situazione ed essere in grado di attivare tutti gli interventi possibili. Lo studente deve essere messo nelle condizioni di: a) apprendere la lingua italiana, sia come lingua per la comunicazione che come lingua per l’apprendimento; b) recuperare in breve tempo le conoscenze e le competenze necessarie per seguire l’attività didattica nella classe in cui viene inserito. Per questo servono alle scuole risorse economiche e di personale, un elevato livello di formazione dei docenti, la possibilità di un’ampia flessibilità nei percorsi di formazione.
Se tutto questo manca, anche la norma che prescrive in quali classi inserire lo studente immigrato, letta come mero adempimento, rischia di non aiutare il successo scolastico e formativo.
Certo: successo formativo! Perché è questo che adolescenti e giovani stranieri chiedono alla scuola italiana. Quando arrivano, anche se hanno già 17 o 18 anni, le famiglie si rivolgono alla scuola. Sanno che la scuola è un motore di promozione sociale; sanno che il titolo o gli anni di studio nel paese d’origine poco contano, e chiedono la certificazione delle loro competenze con un titolo di studio della scuola italiana.
Addirittura alcuni ne hanno bisogno anche se già diplomati, per andare all’Università in Italia. Ma la maggior parte si iscrive per il diploma e poi si accontenta della qualifica triennale, se l’istituto la rilascia.
Infatti non è detto che abbiano scelto una scuola professionale: molte famiglie si rivolgono alla scuola più vicina all’abitazione, ad una scuola conosciuta tramite la comunità di riferimento, senza che l’indirizzo di studi sia quello più confacente alle loro aspirazioni o alle competenze già acquisite.
Strutturalmente, per l’appunto, manca un orientamento in ingresso che tenga conto di queste competenze, poiché su questi studenti si riverserà già la difficoltà della lingua, e sarebbe bene che almeno potessero giocare bene le carte in loro possesso.
Qualche struttura, in carico al volontariato o agli enti locali, che si occupa di orientare esiste, ma è poco conosciuta o sottoutilizzata. Potrebbero svolgere questa funzione i CTP del territorio, di cui gli insegnanti di scuola superiore hanno una buona opinione e di cui si fidano gli stranieri che li frequentano. Quando invece è la scuola che predispone accertamenti delle competenze in ingresso, e poi sconsiglia l’iscrizione, sembra si tratti di un rifiuto ed è meno ben accetto.
Serve in ogni caso che la scuola italiana predisponga un preorientamento obbligatorio per coloro i quali arrivano senza competenze in lingua italiana. E la struttura che se ne dovrebbe occupare deve conoscere bene le opportunità proposte dalle scuole superiori del territorio, che come sapete sono differenti le une dalle altre.
Facciamo fatica ad orientarci noi, quando si tratta dei nostri figli, tra le mille offerte della scuola superiore italiana; tanto più le famiglie straniere. Ben vengano la modulistica tradotta e i libretti che spiegano com’è fatta la scuola italiana…
Serve definire un vero e proprio protocollo per le famiglie straniere che arrivano direttamente dall’estero. Va testata la competenza linguistica in italiano, ma anche quella matematica: è il secondo grande alfabeto di cui si dispone, senza il quale alcuni livelli superiori di competenza (ad esempio negli istituti tecnici) non si potranno mai raggiungere.
Altresì è chiaro che certificare che non sanno una parola di italiano non basta!
Cosa può offrire la scuola italiana in questi casi?
Una buona classe di italiano come seconda lingua che accompagni le studentesse e gli studenti almeno per un primo periodo, fino a quando non si possiede una discreta abilità nella “lingua per studiare” che è cosa diversa dalla “lingua per comunicare”. Essa dovrebbe funzionare anche in orario aggiuntivo (come già spesso avviene); dovrebbe consentire anche il recupero di conoscenze e competenze disciplinari e accompagnare la presenza in classe dello studente.
(Nella città di Torino era stato presentato un progetto per quattro aree, insieme ai CTP, ma è rimasto lettera morta)
Dove trovare le risorse per realizzare questo? Ma soprattutto dove trovare l’elasticità di un insegnamento che si realizza per periodi intensivi, che “promuove” i suoi studenti in corso d’opera, verso il rientro in una classe comune? Qui si è levata un’ode ai CTP e alla loro flessibilità, ma l’istituzione di cattedre di italiano come seconda lingua potrebbe essere una valida alternativa a questa ‘esternalizzazione’. Meno efficace (in quanto meno strutturale) il distacco…
In ogni caso, serve una formazione linguistica specifica e un aggiornamento, diciamo obbligatorio, per tutti, compreso il personale ATA.
Inoltre dopo il primo periodo il sostegno e il rinforzo serve ancora, ma si può realizzare oltre l’orario ordinario, per permettere la fruizione di tutte le lezioni.
Primo periodo potrebbe realisticamente significare fino a Natale, Con tanto di sospensione provvisoria dei giudizi di tutte le materie fino a quando non si impadroniscono delle minime competenze per poter comprendere le lezioni e studiare.
Esistono risorse per finanziare attività in favore degli inserimenti?
Sono poche e spesso sono solo quelle di origine contrattuale previste dall’art. 9, integrate in Piemonte da quelle che ha aggiunto la Regione con un recente protocollo d’intesa con l’Ufficio Scolastico Regionale e sindacati. Poi ci sono le fondazioni private.
Ci pare di capire che in Val d’Aosta ce ne sono anche di più… forse quel che manca in alcune scuole sono le informazioni!
Le scuole ci segnalano tuttavia con sempre maggior preoccupazione che le risorse finanziarie sono solo una parte della risposta: ciò che serve veramente è il personale per i corsi di lingua italiana. Non si può pensare di poter fare corsi di lingua solo con ore aggiuntive di docenti che spesso hanno la buona volontà ma mancano di una competenza specifica per insegnare italiano come lingua 2.
Ma sull’uso dei fondi abbiamo evidenziato il ruolo dei Dirigenti Scolastici, che dovrebbero avere una maggior leadership educativa ed essere in grado di conoscere e usare fino in fondo il DPR sull’autonomia. Ma questo dovrebbero farlo anche i Collegi…
Nel gruppo era presente anche personale ATA, assistenti amministrativi e collaboratori scolastici. Anche a partire dal loro importante contributo alla discussione, il gruppo ritiene che un buon processo di integrazione non può non vedere coinvolto, a tutti i livelli, anche il personale ATA, che deve essere appositamente formato, sia sotto il profilo normativo che professionale.
Uno strumento utile per conoscere quantomeno quel che già si fa, potrebbe essere una pagina del sito più bello del mondo (della scuola), organizzato semplicemente con i link a tutte le pagine dei siti scolastici delle scuole che hanno cercato e messo in pratica soluzioni innovative (best practices), e ai siti delle associazioni che si occupano dei problemi.
Certo il clima politico non incoraggia né facilita interventi nei confronti degli stranieri.
Sono ricomparse scritte sugli zainetti e non solo che non fanno presagire nulla di buono; eppure la scuola non deve rinunciare al suo ruolo educativo, neanche quando si chiama secondaria di secondo grado.
Servizi e comunicazioni
Agenda
- 18-19-20 NOVEMBRE | Prosecuzione lavori rinnovo CCNI mobilità. MIM
- 19 NOVEMBRE | Informativa su Sperimentazione 4+2 anno scolastico 2025-2026. Da remoto, ore 18:00
- 20 NOVEMBRE | Riunione su sistema di valutazione dirigenti scolastici. MIM, ore 10:30
- 21 NOVEMBRE | Riunione su retribuzione di risultato e reggenze a.s. 2023-2024 e avvio contrattazione FUN 2024-2025 dirigenti scolastici. MIM, ore 11:30
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