FLC CGIL

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Proseguono gli interventi del dibattito.

L’Ammiraglio Giano Pisi, presidente dell’INSEAN, ci tiene a precisare che l’INSEAN è un ente di nicchia che si occupa di idraulica navale sotto la vigilanza dei Ministeri della Difesa e dei trasporti. Si tratta quindi di un ente che non è strettamente legato al MiUR.

L’Ammiraglio sottolinea l’interesse per i temi del convegno, ma intende anche ricordare che il calo dei finanziamenti all’INSEAN hanno determinato enormi difficoltà anche per il pagamento degli stipendi. Ai precari ufficiali si aggiunge anche il personale stabile che rischia di sparire, se gli impegni assunti dal Ministro dei trasporti non saranno realizzati in tempi brevi.

L’Ammiraglio conclude il suo intervento sollecitando che la politica della Ricerca sia assunto come tema della Repubblica e non legato alle persone e ai vari Governi che si succedono.

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Settimo Termini, ordinario di Cibernetica, Università di Palermo, direttore Istituto di Cibernetica "Eduardo Caianiello" del CNR (Pozzuoli, Napoli).

"Grazie per l'opportunità offertami di presentare il mio punto di vista su un tema cruciale. Ottimo il titolo del convegno. Chi è coinvolto nella ricerca scientifica deve offrire il suo sostegno al paese più di chiunque altro. Il nostro paese è in profonda crisi. E' in declino e possiamo combattere il declino solo con grandi idee e azioni innovative. Tra queste la principale - e forse l'unica - e' quella di puntare sulla ricerca scientifica ponendo questa alla base di uno sviluppo economico e produttivo non subalterno. La ricerca, quindi, deve diventare l'asse portante della nuova competitività economica. E' interessante per noi osservare che, perché questo realmente avvenga, si deve puntare sulla ricerca tutta, quella di alto livello - senza distinzione tra ricerca di base o fondamentale e ricerca applicata. Ricerca aperta verso le domande importanti (quelle che sorgono da altri problemi scientifici e quelle che provengono dalla Società).

La settimana scorsa ho avuto il privilegio di ascoltare una relazione di Paolo Rossi (la prima dopo alcuni anni); interessantissima tutta, come sempre, mi ha colpito l'osservazione che all'origine della rivoluzione scientifica hanno svolto un ruolo cruciale non solo le Università ma anche le Accademie, alcune appena sorte, che si trovarono a svolgere ruoli estranei a quelli delle Università.

Per il nostro rilancio, oggi, dobbiamo aprirci a nuove esperienze: spingendo le Accademie esistenti a far sentire con più forza la loro voce autorevole, ripensando e potenziando gli Enti di ricerca pubblici. Un recente documento di Rino Falcone, consigliere del Ministro Mussi, va nella direzione di un loro profondo rinnovamento. Ma vorremmo che si passasse dai progetti alle azioni. La previsione fatta da alcuni di noi un anno fa che se non si fosse agito subito nel CNR si sarebbero trovate solo macerie si è purtroppo già realizzata al cinquanta per cento. Spero che non si dia tempo ai distruttori clientelari di completare l'opera.

L'idea di incardinare lo sviluppo economico sembra accettata da tutti. Meno chiara e' la consapevolezza che questo progetto deve essere perseguito trasformando il nostro modello di sviluppo. In un incontro a Napoli, lo scorso aprile, alcuni di noi hanno cercato di presentare queste tesi in modo radicale. Ci hanno confortato la presenza e le parole del ministro Nicolais che ha anche illustrato nuovi progetti e le finalità del ddl "Industria 2015". Desidero sottolineare un punto che ritengo cruciale. In tutti questi progetti, e' assente un dialogo vero tra mondo della ricerca e mondo della produzione e, ancora, la previsione di verifiche, valutazioni e controlli reciproci.

Infine una parola sul Sindacato. C'e' bisogno di più Sindacato nella società e nel mondo della ricerca: più Sindacato che si faccia carico dei diritti dei più deboli e della difesa di quei principi di eguaglianza e di apertura al nuovo , principi che sono centrali anche per lo sviluppo della ricerca scientifica e che hanno caratterizzato le sue azioni migliori, dalla difesa delle fabbriche nel '43 alla difesa dal terrorismo.

La sua storia passata mi da' la certezza che la Cgil saprà fare tutto questo e aiutare questo paese a uscire dalla crisi aiutando la ricerca scientifica a trovare il ruolo che le compete".

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Stefania Taralli, ricercatrice presso l’ISTAT.

"Il contributo che segue trae ampio spunto dalla riflessione e dalla elaborazione sviluppata negli ultimi anni dalla FLC Cgil Istat, una cui sintesi è contenuta nel documento politico di riferimento del convegno “Il rilancio e la salvaguardia della statistica pubblica in Italia: le proposte della Cgil”, tenutosi in Istat nel febbraio 2005".

"Visto che di ricerca si parla quasi sempre in termini di spesa, vorrei cogliere questa occasione per fare alcuni esempi concreti del valore che la ricerca pubblica può generare per il Paese, e vorrei farlo con riferimento agli Enti Pubblici di Ricerca che producono informazione statistica.
Spero anche, in questo modo, di contribuire a rendere chiaro ed evidente perché è importante che la ricerca condotta nell’ambito della statistica pubblica sia fatta da Enti Pubblici, con fondi prevalentemente pubblici, e perché è così importante che tali Enti godano della più ampia autonomia nei confronti del potere politico [attualmente invece sia i vertici che gli organismi di controllo dell’Istat sono di nomina governativa].

La ricerca che si fa nell’ambito della statistica pubblica serve a produrre informazioni ufficiali che vengono messe a disposizione dell’intera collettività, ma serve soprattutto a produrre metodologie e tecniche che assicurino informazioni imparziali, trasparenti, pertinenti, esaustive e condivise. E’ certo questo l’aspetto più qualificante, anche se il meno visibile, del nostro lavoro, perché la misurazione dei fenomeni sociali ed economici implica scelte definitorie, metodologiche e tecniche che non sono neutre rispetto ai risultati (le informazioni) che si producono.

In ogni Paese avanzato l’informazione statistica ufficiale è la base del dibattito democratico [anche in questi due giorni di lavoro si è ampiamente attinto alle statistiche ufficiali]: è questo utilizzo che ne denota il carattere essenziale di bene pubblico, di patrimonio collettivo.
Sulla disponibilità di adeguate informazioni statistiche si fonda la possibilità per i cittadini, le imprese, i governi di comprendere e valutare la situazione economica e sociale e di scegliere consapevolmente.

La statistica ufficiale (anche in adempimento di obblighi comunitari) assolve la delicata funzione di produrre numerosi indicatori che hanno impatti importanti - diretti e indiretti - sulla vita dei cittadini: gli indici dei prezzi al consumo, la certificazione del deficit pubblico, gli indicatori di convergenza economica e sociale a livello europeo (inflazione, stime ufficiali di occupazione e disoccupazione, rapporto deficit/pil, etc.).
Le informazioni prodotte sono molte ed importanti. Molte sono anche quelle che non si producono ancora o che non si producono più, anche se i nostri Enti hanno accumulato nel tempo le competenze scientifiche e tecnologiche per farlo: non si producono più (almeno per il momento) le stime ufficiali della povertà in Italia; non si producono ancora, ad esempio, informazioni esaustive sui temi dell’ambiente e dell’energia, che rappresentano una delle frontiere più avanzate delle politiche non solo nazionali. Molte sono le informazioni che potrebbero essere migliorate: ad esempio le misure delle retribuzioni del settore pubblico, che attualmente non consentono di distinguere le dinamiche dell’area dirigenziale e non. Non esistono statistiche ufficiali sulle retribuzioni nette, cioè su ciò che resta ai lavoratori dopo il versamento delle imposte sul reddito e dei contributi a loro carico: eppure sarebbero misure importanti anche per capire qual è il valore che nel nostro Paese si attribuisce al lavoro. Molte, infine, sono le informazioni che potrebbero essere messe a disposizione della collettività in maniera più articolata e complessa di quanto si riesce a fare attualmente, perché la territorializzazione e la settorializzazione delle politiche richiedono dati e indicatori più sensibili alle differenze tra gruppi sociali, tra segmenti del sistema economico o tra territori; perché proprio sull’analisi di queste differenze si basa la possibilità di valutare il grado di coesione sociale del nostro Paese, di capire cioè se tutti i settori della società o se tutti i territori partecipano in uguale misura alle dinamiche descritte a livello nazionale.

Nessuno sviluppo, nessun miglioramento sono a costo zero.
L’Italia destina alla statistica 2,6 euro per abitante l’anno, contro i 6,5 della media UE (Dati 2004, UE a 15).
7 anni di blocco continuativo delle assunzioni hanno prodotto, pur in presenza di un crescente ricorso a forme di lavoro precario, un drammatico ridimensionamento della consistenza di personale negli Enti; non solo la precarizzazione, ma anche l’auto-sfruttamento del personale di ruolo [la cui professionalità è stata peraltro gravemente mortificata dal perdurare del blocco] hanno permesso agli Enti di assicurare comunque la produzione. All’Istat negli ultimi 5 anni si è passati da circa 2.700 a 2.300 presenze totali, inclusi anche i lavoratori non di ruolo: è per questo che il solo turnover previsto a partire da gennaio 2008 non sarà sufficiente a recuperare massa critica; per questo è necessario rimuovere almeno il vincolo delle assunzioni a invarianza della spesa per assicurare un reclutamento adeguato [non tutti gli EPR beneficeranno, peraltro, del piano straordinario di reclutamento previsto dal MUR].

L’incertezza delle risorse disponibili ha spinto talvolta anche ad esternalizzare fasi dei processi di produzione che rappresentano invece il core delle attività e sui quali si sono investite notevoli risorse professionali, finanziarie, tecniche e tecnologiche. All’Istat questo ha generato il paradosso della rete di rilevazione “professionale e precaria”, che assicura la produzione delle stime ufficiali di occupazione e disoccupazione [dati che peraltro l’Italia deve obbligatoriamente fornire a Eurostat con cadenza trimestrale]. La rete è composta da 320 lavoratori Co.Co.Co., che sono “fuori-legge” e per i quali è stato necessario che la FLC Cgil facesse inserire nella finanziaria un emendamento che autorizza l’Istat a prorogare i loro contratti fino al 31 dicembre di quest’anno. Per questi lavoratori è urgente e necessario trovare una soluzione di inquadramento adeguato se si vuole impedire che 5 anni di investimenti in formazione e sviluppo tecnologico vadano definitivamente persi, e con essi molte concrete possibilità di migliorare e sviluppare da subito l’informazione statistica disponibile per la collettività".

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Rocco Ruggeri, ricercatore del CNR

Appaiono numerosi gli elementi di preoccupazione: è stato mancato del tutto l’obiettivo di Lisbona, si osserva una perenne carenza di risorse e livelli ampi e diffusi di precarietà nella ricerca pubblica. D’altro canto, anche lo spostamento della produzione e dell’innovazione verso altri paesi e continenti che presentano investimenti molto più elevati in ricerca e sviluppo inducono al pessimismo.

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