FLC CGIL

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Inizia la Tavola Rotonda, coordinata da Anna Villari, Presidente di Valore Scuola coop, dal titolo “Costi economici e costi sociali della precarietà nei settori della Conoscenza e dei Saperi” alla quale partecipano Fulvio Fammoni, segreteria nazionale Cgil; Marco Barbieri, Università di Foggia; Enrico Pugliese, Università Federico II di Napoli; Francesco Garibaldo, presidente I.p.L. di Bologna.

Anna Villari, dopo aver illustrato la scelta del tema della Tavola rotonda, rivolge una prima domanda ai partecipanti.

Domanda a Fulvio Fammoni, perché la Cgil si oppone all’ampliamento del precariato nel mercato del lavoro anche se è attenta ai suoi cambiamenti e alle nuove categorie che in esso operano?

Risposta Il problema del precariato c’è da molto tempo e i contratti hanno provato a cimentarsi. Oggi con questo governo c’è un salto di qualità perché diversa è la qualità del ruolo del precariato. A fine legislatura osserviamo che, escluse le leggi ad personam, la maggior parte degli interventi è sui temi del lavoro della formazione e dell’immigrazione. Tre anni fa iniziò la liberalizzazione del lavoro con la legge £0, oggi vanno avanti nell’applicazione della Legge 53. Immigrazione strettamente legato alla formazione: 3 milioni di immigrati legali fra adulti e bambini di cui 1/3 non accede alla scuola e il 30-40% è vittima della dispersione scolastica. Il governo prefigura modello di sviluppo sociale ed economico povero sia come qualità dello sviluppo che dei diritti con una competizione al ribasso concentrata sui costi e la formazione è un costo. Nel ragionamento della frammentazione del lavoro si ottiene il controllo del ruolo delle parti sociali che diventano inutili. I sindacati oggi hanno l’informazione se va bene e l’applicazione alle OO.SS. rimane o accettare o contrastare ma si contrasta un fatto avvenuto. Si deve avere un punto fermo perché se si esternalizzano i servizi si mette in discussione la qualità della formazione e quindi del lavoro.

Domanda a Marco Barbieri : la molteplicità dei contratti e rapporti di lavoro che crea dumping sociale e frammentazione quali conseguenze ha sulla nostra cultura giuridica?

Risposta L’idea che ci siano diritti specifici dei lavoratori dipendenti nasce in una certa fase dello sviluppo capitalistico (fra fine 800 e inizio 900) quando appare chiaro che il lavoro subordinato non è merce come le altre e che ci opera sotto un comando altrui cede nel rapporto una parte di se stesso. Il rapporto stato-capitale-lavoro, nel secolo scorso ha realizzato e codificato un sistema in cui hanno trovato cittadinanza i diritti del lavoro. Quel sistema è oggi messo radicalmente in discussione e le ideologie neo liberiste dominanti riportano il lavoro a merce come le altre. L’attuale modello in questo quadro si fonda sulla teoria secondo la quale la flessibilità e la precarietà determinano occupazione e maggiore libertà e autonomia negli individui. E’ falso. In realtà la flessibilità non aumenta l’occupazione e diminuisce la propensione al consumo individuale; la rigerarchizzazione dei rapporti di lavoro genera perdita del senso di se, estraniazione dai processi ed incide negativamente sulla qualità di processi prodotti.

Sul terreno dell’istruzione l’accumulazione della conoscenza, che è un bene comune, non può che essere realizzata attraverso strutture pubbliche.

Anna Villari chiede a Francesco Garibaldo : una scuola o un’università con tanto personale precario: secondo le vostre ricerche, quale effetto produce questa condizione lavorativa sulle persone, sul loro rapporto con il proprio lavoro?

Risposta Le nostre ricerche si occupano proprio di comprendere cosa accade alle persone coinvolte in questo tipo di processi. Non abbiamo ancora esaminato specificamente il settore della scuola, ma settori vicini ad essa come quelli delle produzione culturale, dei musei, biblioteche, editoria. In realtà lavorative fortemente depauperate, ossia fortemente gerarchizzate, caratterizzate dalla contrapposizione fra un nucleo di lavoratori garantiti e diversi cerchi intorno di lavoratori precari. Due sono le reazioni possibili in questi ultimi da noi riscontrate. O il lavoratore reagisce con una progressiva estraniazione dal lavoro oppure in modo opposto con quella che si chiama “soggettivizzazione” del lavoro. Il lavoratore, cioè, sviluppa una fortissima dedizione e identificazione con il proprio lavoro, esasperata al limite del patologico, trovando in questo investimento di sé nel lavoro la compensazione rispetto alla frustrazione della propria condizione di isolamento ed incertezza. Un altro dato interessante che sta maturando, soprattutto fra i lavoratori più giovani, è la percezione chiara che il processo in atto non produce – come si vuol far credere – che certe condizioni di lavoro valorizzino l’autonomia personale e la creatività individuale; in realtà il processo è di standardizzazione, di controllo. E’ un dato importante, su cui riflettere, anche nella prospettiva di una maggiore crescita della consapevolezza sindacale di questi lavoratori.

Un altro elemento ritengo molto importante da tenere presente rispetto all’analisi dei fenomeni: le linee, le logiche su cui si muove il Governo, seppure improntate ad una “americanizzazione” molto spinta che non ha corrispondenze in Europa, sono comunque all’interno e in sintonia con qielle fortemente presenti nei paesi europei.

Domanda ad Enrico Pugliese : cosa succede quando un lavoratore a 50 anni è ancora precario?

Risposta . Oggi c’è da una parte un’area di lavoro protetta e dall’altra precaria molto presente nelle piccole imprese, nei servizi e in agricoltura. Questo è avvenuto prima negli Usa e poi in Europa. In Italia c’è ora un attacco di fondo al diritto del lavoro. Flessibilità e precarietà sono molto presenti nel privato e hanno finito con l’indebolire il sistema dei diritti e delle relazioni sindacali. I dipendenti pubblici hanno un livello di protezione più elevato riferibile al modello sociale europeo; nell’università c’è una crescente presenza di persone che prestano un’opera del tutto simile a chi è di ruolo con retribuzione molto inferiore. Nella ricerca pubblica oggi chi è di ruolo non corre rischi occupazionali. Tuttavia il problema è costituito dall’assoluta impossibilità di accedere al mondo della ricerca. Si devono, a mio avviso, aprire canali d’ingresso per produrre un effettivo cambiamento e devono essere resi disponibili nuovi finanziamenti. Aumentare la platea dei possibili assunti pensando a percorsi di carriera e di accesso integrati è uno dei punti fondamentali per superare l’attuale blocco.

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