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Orazio Colosio, presenta l'esperienza dell'Istituto comprensivo di Asolo. Gli istituti comprensivi, fin da subito si sono palesati come un modello organizzativo originale ed hanno evidenziato la possibilità di affrontare concretamente ed efficacemente alcuni nodi problematici della scuola di base italiana: primo tra tutti quello dell’unitarietà
dell’insegnamento come condivisione, tra scuole di diverso ordine ma chiamate a intervenire sugli stessi allievi, di obiettivi da raggiungere, strategie e metodologie di lavoro, criteri e modalità di valutazione, pratiche educative.Gli istituti comprensivi, proprio perché inclusivi, sotto un unico cappello, di tre ordini scolastici (scuola materna, elementare e media), attraverso la pratica dei collegi dei docenti e delle commissioni di lavoro unitariehanno potuto, per la prima volta e concontinuità, far sedere al tavolo del confronto docenti che altrimenti avrebbero continuato a comunicare solo saltuariamente.La costruzione del curricolo verticale d’Istituto, quale percorso unitario necessario per accompagnare i bambini di tre anni della scuola materna fino all’ultimo anno della scuola media nello sviluppo delle loro competenze in ambito disciplinare, metodologico e socio-affettivo, è stato, in questi anni, lo sforzo continuo di numerosi istituti comprensivi, i cui collegi dei docenti hanno avvertito la necessità:

·di condividere alcuni presupposti educativi e le conseguenti pratiche didattiche per superare le eccessive discontinuità, altrimenti imposte agli alunni in situazioni di separatezza tra ordini di scuola;

·di dare sempre più fiato a una pratica di collegialità come indispensabile corollario per la trasformazione in gruppi di lavoro di quelle giustapposizioni di individui che troppo spesso rispondono alle definizioni di consiglio di classe o team di modulo.

Purtroppo questo sforzo, che i ministeri precedenti all’attuale, considerando i comprensivi quali “laboratori per l’innovazione”, avevano supportato con appositi investimenti per la formazione e teorizzato nella C.M. n°227 del 30/9/99, dove nella parte relativa agli “Apprendimenti e competenze degli allievi: verso un curricolo verticale integrato” venivano esplicitate due idee fondamentali, e cioè:

1.che l’istituto comprensivo è un sistema complesso ove interagiscono variabili curricolari, organizzative, metodologiche, professionali;

2.che l’idea stessa di curricolo verticale consente di rimettere in discussione modelli di insegnamento rigidi, centrati in prevalenza sulla trasmissione di repertori informativi, per promuovere invece lo sviluppo di abilità procedurali (metodo di lavoro, saperi operativi, strategie di controllo dell’apprendimento) e competenze comunicative (padronanza di linguaggi, forme di espressione e di produzione culturale);

non trova attualmente il sostegno del ministro Moratti, che nel suo testo di riforma e nelle indicazioni applicative accompagnatorie, non solo non dice una parola sugli istituti comprensivi, ma a mala pena richiama l’idea della continuità, centrandola soltanto sulla prospettiva dell’allievo che apprende (passaggio del portfolio da una scuola all’altra) e non anche sulla prospettiva complementare e necessaria dell’organizzazione didattica e dell’offerta formativa unitaria.Di più, la riaffermata separatezza ordinamentale tra scuola primaria (elementare) e secondaria di primo grado (media) sembra fatta apposta per sottolineare una relazione gerarchica tra i due gradi scolastici, laddove l’”ambiente verticale” dell’istituto comprensivo invita a riscoprire, giorno per giorno, le ragioni dello stare insieme tra soggetti diversi, senza perdere la propria identità, ma costruendo contemporaneamente una nuova prospettiva di lavoro proiettata verso il futuro.Gli istituti comprensivi hanno indicato una strada e fatto intravedere la possibilità di una organizzazione didattica più rispondente alle necessità formative dei bambini e dei preadolescenti italiani e pertanto se ne auspica lo sviluppo. Anzi, sarebbe bene che questo modello organizzativo fosse generalizzato su tutto il territorio nazionale. Va detto, però, che, allora, per rendere più fattivo il confronto tra i docenti e più efficace e significativo il loro lavoro, si dovranno necessariamente affrontare due questioni spinose:

1.una riforma ordinamentale che metta sullo stesso piano, per quanto attiene l’orario di lavoro e il trattamento economico, tutti i docenti della scuola di base;

2.l’introduzione delle due ore settimanali obbligatorie di programmazione anche per i docenti della scuola dell’infanzia e della scuola media.

Senza queste due precondizioni, in molti istituti, i docenti, per un verso continueranno a guardare con diffidenza i colleghi ritenuti più “fortunati” perché appartenenti ad un ordine scolastico portatore di privilegi e, per l’altro verso, la progettazione e l’attuazione di forme di cooperazione sarà resa difficile dalla mancanza di tempo da dedicare al confronto.

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