Riordino degli istituti tecnici e professionali: incontro con le parti sociali
Presentato alle parti sociali l’ipotesi di schema di decreto di natura non regolamentare per la definizione di ambiti e criteri per ulteriori articolazioni delle aree d’indirizzo degli istituti tecnici e professionali.
Nel corso dell’incontro avuto al Miur, il Direttore Nardiello, ha presentato il percorso che il Ministero intende mettere in atto, a partire dal mese di novembre, per la l’applicazione del riordino degli istituti superiori, non ancora approvati definitivamene dal Consiglio dei Ministri.
È stato ribadita l’intenzione di agire già con le nuove iscrizioni per l’anno scolastico 2010/11, eventualmente con uno slittamento della scadenza di queste al 28 febbraio 2010.
In attesa del parere della Conferenza Unificata, i regolamenti sono stati trasmessi alle commissioni parlamentari così come prevede la procedura.
Successivamente all’approvazione definitiva, saranno predisposti i decreti ministeriali, di natura non regolamentare: per la definizione degli ambiti, dei criteri e delle modalità per l’ulteriore articolazione delle aree d’indirizzo degli istituti tecnici e professionali; per le indicazioni nazionali riguardanti le competenze , le abilità e le conoscenze con riferimento ai risultati d’apprendimento, per le classi di concorso.
Si procederà da subito con una campagna di comunicazione ed informazione per l’orientamento di studenti e famiglie, si considera il contenuto delle bozze di regolamenti di riordino sufficienti per dare nuove indicazioni alle famiglie e agli studenti delle terze medie che tra poco saranno impegnati nella scelta dei futuri indirizzi di scuola superiore.
Sono state quindi presentate delle ipotesi di proposte di articolazioni opzionali per ciascuno degli indirizzi previsti dallo schema di regolamento di riordino degli istituti tecnici .
Sono configurate come ulteriori articolazioni delle aree d’indirizzo per rispondere alle esigenze del territorio e ai fabbisogni formativi espressi dal mondo del lavoro e delle professioni di specifici settori produttivi.
Le opzioni potranno essere realizzate dalle istituzioni scolastiche facendo riferimento ad un apposito elenco nazionale contenente anche le indicazioni delle classi di concorso dei docenti da utilizzare.
Gli indirizzi e le opzioni andranno aggiornate con cadenza triennale.
Al fine della configurazione saranno utilizzati gli spazi di flessibilità: 30% dell’area d’indirizzo nel secondo biennio e 35% nell’ultimo anno.
Come CGIL ed FLC abbiamo rilevato che:
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i tempi di tutto il processo normativo non sono completati e le scuole non possono operare sull’incerto: tutte le operazioni che le scuole devono mettere in atto per l’orientamento degli allievi delle terze medie devono essere supportate da certezze che ad oggi non abbiamo. Non si può pensare che una scelta così delicata per le famiglie possa avvenire su ipotesi che ad oggi non hanno supporto normativo, che si suppone ci sarà! L’ipotesi di opzionalità per gli indirizzi degli istituti tecnici e professionali è un punto fondamentale per la scelta dell’indirizzo.
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La logica dei tagli ha preso il sopravvento e c’è il rischio ( o certezza?) che in questo modo si vada alla totale destrutturazione in particolare di questi settori della scuola superiore.
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La necessaria riorganizzazione dell’istruzione tecnica e professionale rischia in tal modo di non essere un rilancio, ma una sostanziale conferma dell’esistente, peggiorato dalla pesante riduzione delle risorse.
Cosa domanda il mondo del lavoro
Il mondo del lavoro avverte con forza l’esigenza di percorso tecnici-professionali forti e qualificati, rispondenti alle esigenze di innalzare le competenze professionali delle persone e di sostenere il riposizionamento del nostro sistema produttivo nella direzione della qualità e dell’innovazione.
Nuovo rapporto tra scuola e mondo del lavoro deve avere come riferimento non il sistema produttivo come è – con competitività e produttività declinanti – ma come deve diventare anche grazie al nuovo e più efficace contributo che il sistema formativo più qualificato può offrirgli.
Sappiamo che una parte delle imprese sta innovando e si riorganizza, si internazionalizza, ma vediamo anche una larga parte delle imprese in forti difficoltà specie quelle piccole e con specializzazioni tradizionali.
Sappiamo anche che si deve puntare più sull’innovazione di prodotto che su quella di processo, su nuovi e più avanzati settori produttivi, i settori strategici indicati dal progetto di politica industriale “Industria 2015”.
Il problema è allora di fare interagire sistema delle imprese e sistema delle università, favorire il trasferimento scientifico e innalzare la qualità del capitale umano necessario per i nuovi modelli di produzione e di organizzazione.
I profili professionali rispondenti allo sviluppo dell’innovazione sono caratterizzati da alta specializzazione e rapida trasformazione e pertanto esigono contemporaneamente una solida formazione di base e un alto livello di specializzazione. Non servono profili professionali rigidi e formazione specialistica precoce come se potessero durare immutati per tutta la vita lavorativa.
La formazione di base è essenziale per le competenze trasversali (progettare, risolvere problemi, comunicare, relazione, autonomia decisionale, creatività) e per l’apprendimento permanente (autonoma capacità di apprendere, occupabilità); mentre la specializzazione, che deve tener conto delle esigenze di sviluppo dei settori e dei territori, deve riguardare la parte finale del percorso formativo dei giovani ed essere piuttosto flessibile.
Conoscenze e competenze di base devono essere assicurate a tutti – non uno di meno – perché per promuovere l’innovazione serve il massimo della qualificazione possibile del capitale umano: nella globalizzazione cresce chi più innova.
I limiti della riorganizzazione proposta
Rimane la canalizzazione rigida e precoce di percorsi separati e con identità rigidamente definite, scelti alla fine della terza media, che confermano le gerarchie tradizionali,
E’ stata accantonata la prospettiva di costruire un biennio obbligatorio unitario e orientativo per tutta la scuola secondaria superiore, come invece richiederebbe un obbligo scolastico elevato.
Questa scelta ha due conseguenze negative:
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L’area dello svantaggio italiano e degli immigrati viene destinato ( relegato) ad un precoce inserimento nel mondo del lavoro, con una base culturale decisamente più scarsa ed insufficiente per l’occupabilità e l’esercizio della cittadinanza attiva.
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Gli studenti migliori continueranno ad essere attratti dai percorsi liceali, riservando a quelli tecnico-professionali gli studenti meno dotati.Si conferma la rigida divisione tra percorsi “disinteressati” e percorsi vocazionali, in una logica eccessivamente schematica e non corrispondente alle esigenze di una società e di un mondo del lavoro lontani da questa ripartizione gerarchica, obsoleta e fuori dal tempo. Ciò vale per tutta l’istruzione liceale, ma è una impostazione che diventa paradossale se si considerano i licei artistico, linguistico, tecnologico…, la cui distanza da qualunque formazione che prenda in considerazione il lavoro mette in discussione il senso stesso dei percorsi.
Complessivamente siamo di fronte all’assenza di un progetto e di finalità che non sia la sola logica del taglio: si è perso il legame con la politica industriale giocata sull’innovazione (Industria 2015 è stato definanziato e depotenziato) ed è caduto l’impulso innovativo della riorganizzazione tecnico-professionale: gli istituti professionali sono confinati ad un ruolo residuale, depotenziato e scarsamente distinto dalla formazione professionale regionale (sussidiarietà e surroga).
Si è perso per strada anche l’obiettivo, dichiarato, di individuare indirizzi “limitati e ampi” ed essenziali, dato che con le opzioni ormai siamo quasi alla conferma dell’attuale articolazione. Ciò che rimane è la riduzione oraria.
Anziché arricchire la formazione culturale di base si produce una sua riduzione, con la scomparsa di discipline a tal fine importanti (perdono ore diritto, economia, lingua straniera, ….).
Risultano messi da parte il nesso e l’interazione con i poli e l’istruzione tecnica superiore, l’integrazione con la formazione professionale, il rapporto con la programmazione territoriale.
Prevale piuttosto l’idea del rapporto diretto della scuola con le imprese o l’impresa o con l’universo frammentato delle piccole imprese, attraverso il Comitato Tecnico Scientifico, con il rischio di una subordinazione/curvatura degli obiettivi educativi alle esigenze di corto respiro di un mondo troppo legato ad una dimensione del qui ed ora, incapace di traguardare il futuro.
Esattamente il contrario di cui ha bisogno un sistema scolastico, che deve poter contare su un rapporto maturo con il territorio, in cui le dinamiche locali, per non diventare localistiche e quindi chiuse in sé stesse, vanno lette e interpretate nel loro intreccio con quelle nazionali ed internazionali.
Il territorio anzichè opportunità rischia di diventare limite, una gabbia che blocca la mobilità, sia sociale che territoriale.
Roma, 27 ottobre 2009
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