“La scuola in cifre 2006”
Una nuova indagine sulle scuole italiane del Ministero Pubblica Istruzione
il MPI, con una nuova indagine sull’istruzione, presenta una serie di dati relativi alla scuola pubblica degli ultimi anni che meritano un’accurata riflessione, di cui forniamo una prima lettura .
L’indagine analizza dati che non sempre sono presi in considerazione dalle indagini internazionali (vedi OCSE, PISA) ma danno una visione reale delle tipicità della scuola italiana.
La prima parte dell’indagine è rivolta alle risorse:
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emerge che il problema non è tanto la quantità della spesa, paragonabile a quella dialtri paesi avanzati, ma la sua composizione. I dati vanno analizzati considerando che si utilizza una definizione ampia di spesa pubblica per l’ istruzione. Si tratta di una definizione globale dell’impegno finanziario pubblico per l’istruzione , sia diretto (istituti di natura pubblica) che indiretto ( finanziamenti ad istituti di istruzione privata, sostegno al singolo o alla famiglia finalizzato alla fruizione dell’istruzione).
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Il finanziamento dell’istruzione in Italia appare condizionato dall’assetto storico tradizionale del sistema d’istruzione, dato il maggiore impegno sulla scuola primaria e secondaria inferiore.
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Si evidenzia un impegno poco reattivo all’evoluzione sociale e demografica; un esempio è dato dalla scuola dell’infanzia che non riceve un finanziamento equivalente a quello dei segmenti successivi. Un’analisi attenta delle statistiche sulla scuola dell’infanzia (l’orario scolastico lungo, il servizio della mensa) sottolinea come la non obbligatorietà fa scaturire un impegno minore della scuola pubblica statale specialmente nei territori particolarmente deprivati, vedi il sud. I primi due livelli dell’istruzione (primaria, secondaria inferiore) sembrano essere considerati un bene primario che deve essere esteso al maggior numero di cittadini; per questo motivo le risorse dedicate aumentano corrispondentemente alla crescita del PIL pro-capite che rappresenta un indicatore di sviluppo non solo economico ma anche sociale. Il collegamento tra Pil e spesa in istruzione primaria e secondaria è rafforzato dal fatto che la spesa, nel bilancio del MPI, è costituita per oltre 88% dalla retribuzione degli insegnanti.
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La distribuzione della spesa appare fortemente diversificata fra le diverse aree del paese: si evidenziano notevoli disparità soprattutto per via delle carenze d’investimenti degli enti locali al sud nel settore dell’istruzione: minore presenza di mensa, di sezioni per l’infanzia gestite dallo Stato.Non ci sono invece dati, altrettanto diversi tra nord e sud, sul tempo pieno per la scuola primaria e il tempo prolungato per la scuola secondaria di primo grado.
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Unitamente a ciò si evince che il contributo delle famiglie è esplicitamente differente nelle varie zone del Paese: nel centro nord l’impegno supera del 40% la media nazionale con maggiori picchi per la scuola dell’infanzia e primaria.
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Un problema a parte si evince dai dati sull’istruzione superiore: se un diplomato costa il 30% in più di uno studente per il MPI, considerato il numero di giovani che arriva al diploma, aggregando i dati con i finanziamenti delle Regioni, che nel caso dell’istruzione superiore risultano in alcuni casi determinanti (incidono fortemente i casi di abbandono precoce ); ci si trova davanti ad un quadro altamente disomogeneo a discapito degli studenti del Meridione.
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Sempre nel capitolo risorse si evidenzia la presenza massiccia delle donne tra il personale (oltre 81%) e l’età piuttosto elevata (più della metà degli insegnanti italiani sono ultra cinquantenni).
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Si registra un miglioramento delle dotazioni informatiche, dedicate alla didattica, in particolare al sud (principalmente per gli investimenti dei fondi europei, quali i pon) che oggi dispongono di un numero di computer che può essere paragonato a quello delle scuole del nord. A fronte di ciò però, per ogni computer al nord vi sono due studenti in meno rispetto al sud.
Il secondo capitolo, dedicato agli studenti, evidenzia:
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il numero degli alunni negli ultimi anni sembra stabilizzato, anche se con una ripartizione diversa nelle regioni.
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Aumento delle iscrizioni ai licei a discapito degli istituti tecnici professionali.
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Aumento degli alunni stranieri.
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Aumento dei disabili inseriti a scuola.
Un capitolo a parte per l’istruzione e formazione:
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I percorsi triennali di istruzione e formazione messi in atto con l’accordo quadro 19 giugno 2003 tra Stato e Regioni: diffusione e tipologie.
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I percorsi sperimentali in alternanza scuola lavoro
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I poli IFTS: sono oltre 80 i poli ifts costituiti. L’esperienza dei percorsi ifts, benché rappresenti una tipologia di notevole interesse sul piano complessivo necessita ancora di riorganizzazione
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Le reti territoriali tra CTp e corsi serali aumentano.
Una parte specifica per i risultati scolastici evidenzia:
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Il numero di diplomati è maggiore nei licei e con votazioni più alte. Il numero dei giovani che consegue un titolo di livello superiore è in crescita rispetto al passato.
L’indagine termina conun capitolo sul dopo il diploma:
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Il giovane si inserisce nel mondo del lavoro in modo inversamente proporzionale al voto del diploma: lavorano dopo 3 anni i giovani con votazione inferiore a 70/100, mentre gli altri, con votazioni più alte,scelgono di continuare lo studio.
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L’attività lavorativa è intrapresa maggiormente da diplomati con un taglio spiccatamente professionalizzante.
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Il proseguimento degli studi post diploma è strettamente legato alla tipologia di famiglia e al grado di scolarità presente in essa.
In estrema sintesi, andando oltre una lettura asettica dei dati, si conferma che anchesull’istruzione esiste una vera e propria questione meridionale, a partire dalle risorse, che penalizzano gli studenti del sud, dal momento che gli enti locali lì investono sulla scuola molto meno di quelli delle aree del centro nord.
Ciò ci fa dire che siamo ancora lontani dalla garanzia delle pari opportunità per tutti per quanto attiene al diritto all’istruzione e di conseguenza le spinte regionalistiche che si stanno facendo ogni giorno più forti su questi terreni trovano una smentita dai dati pubblicati dal MPI.
Esse, se realizzate, finirebbero infatti per aggravare le disuguaglianze fra aree del paese, che penalizzerebbero ulteriormente chi è palesemente debole e da solo non potrà mai sollevarsi da questa situazione di difficoltà.
I dati sulla dispersione scolastica confermano che nelle stesse aree si concentrano i tassi più alti e che c’è quindi bisogno di interventi perequativi a livello nazionale, per affrontare e risolvere questa vera e propria piaga sociale.
C’è insomma la necessità di rielaborare un’offerta formativa ai fini della garanzia di pari opportunità per tutti, in cuil’apporto delle regioni è fondamentale non già per sostituire quello dello Stato ma per potenziarlo, aumentando e diversificando gli interventi, in risposta alla diversità dei contesti locali.
Roma, 27 aprile 2007
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