Scuola: approvato definitivamente il decreto sui poli tecnico professionali
Avvio dei poli tecnico professionali, valutazioni della FLC e schede di approfondimento sull’art.13 del decreto sulle liberalizzazioni
Con la sua approvazione definitiva al Senato, il 2 Aprile 2007, diventa legge il Decreto sulle liberalizzazioni contenente, all’art. 13 , disposizioni urgenti in materia di istruzione tecnico-professionale.
Vengono dunque apportate modifiche al decreto legislativo 226/05, riguardante i nuovi ordinamenti della scuola secondaria superiore, applicativi della legge 53/03 di riforma del sistema di istruzione. Tali ordinamenti avrebbero dovuto avviare, a partire dal 2007, il doppio canale in cui realizzare il diritto-dovere all’istruzione e formazione professionale, canalizzando precocemente i ragazzi quattordicenni, in uscita dalla terza media, verso il sistema dei licei oppure verso il sistema regionale dell’istruzione e formazione professionale.
In attuazione del Programma elettorale dell’Unione, che prevedeva il superamento del sistema duale, il decreto legislativo 226/05 venne sospeso e la sua vigenza prorogata, ai fini di apportarvi le modifiche necessarie, con il decreto legge n. 173/06 .
Consideriamo molto positivo il recupero e la valorizzazione della cultura tecnico professionale, in grave crisi a causa della spinta verso la licealizzazione imposta dagli orientamenti Moratti. Già nel lontano 2002 ponemmo tale problema, consapevoli della deriva a cui sembravano condannati. Tuttavia il quadro generale relativo agli ordinamenti della scuola superiore che deriva dallo smontaggio chirurgico di alcune sue parti, rischia di uscirne confuso nel suo progetto generale e lacunoso rispetto alle modifiche necessarie.
Per esempio dalle abrogazioni contenute nel comma 8 bis, è sfuggito un particolare non insignificante che riguarda l’accesso degli istituti tecnici e professionali all’università. Infatti se non verrà modificato il comma 5 dell’art. 2 del D.lgs 226/05 l’accesso all’università rischia di essere precluso agli studenti in uscita dagli istituti tecnici e professionali.
Non mancano poi le ambiguità e le incertezze sullo sviluppo futuro degli istituti tecnici e professionali. Riguardo alla distinzione fra i due istituti è probabile che questa rimanga. Infatti se la formula utilizzata nel titolo di istruzione tecnico-professionale con il trattino farebbe presumere una completa fusione, le citazioni del testo, in cui i due istituti vengono sempre citati in modo disteso e distinto, sembrano escluderla.
Ma per un altro verso è dubbio che gli istituti professionali possano ancora rilasciare la qualifica triennale essendo finalizzati istituzionalmente al conseguimento del diploma di scuola secondaria superiore.
Come da noi proposto nella costruzione del sistema nazionale di formazione professionale , il rilascio di qualifiche e diplomi professionali è di competenza regionale, su questa precisa competenza che agisce nell’ambito della preparazione al lavoro e per il lavoro si deve attestare il sistema della formazione professionale che deve uscire dalle secche di un ruolo minore che si caratterizza per la supplenza alle mancanze della scuola, deve dotarsi di un sistema serio di accreditamento che garantisca la qualità dell’offerta formativa e diritti contrattuali ai lavoratori del settore, deve rilasciare qualifiche e diplomi professionali che abbiano spendibilità nazionale.
Siamo in questo in netto ritardo, l’Europa sta lavorando per garantire la circolarità e la capitalizzazione di tutti i percorsi formativi in una logica di educazione permanente e noi non siamo ancora in grado di garantire la spendibilità di tutte le qualifiche professionali sul territorio nazionale.
Ma c’è un altro aspetto, della riorganizzazione degli istituti tecnici e professionali, che solleva molti dubbi e perplessità, ed è quello che riguarda la canalizzazione degli studenti in uscita dal primo ciclo di istruzione. La canalizzazione precoce imposta dalla legge 53/03 si realizzava fra i percorsi liceali e i percorsi della istruzione e formazione professionale regionale, se questo sembra superato, pur nelle incertezze che la formula utilizzata in finanziaria lascia aperte, riguardanti la possibilità di separazioni discriminatorie fra percorsi didattici, ora si ripropone un’altra forma di canalizzazione interna al sistema dell’istruzione secondaria superiore, fra istituti superiori e licei.
Se infatti anche i licei non verranno ripensati nella loro articolazione disciplinare e nella loro riorganizzazione didattica adeguando l’impianto organizzativo e didattico , soprattutto del biennio, alla nuova funzione che l’innalzamento dell’obbligo di istruzione ha loro attribuito, continuerà a permanere una classificazione impropria delle scuole superiori basata su una gerarchia interna che spinge studenti e famiglie a scegliere il corso di studi su un principio di presunta difficoltà e non su una spinta vocazionale. L’esito è inevitabilmente quello di segregare invece di promuovere attitudini e opportunità.
Va in questa direzione la scelta di avviare la costruzione di Poli solo con gli istituti tecnici e professionali e non con i licei, con ciò scavando un solco netto fra il percorso dei licei destinati all’università e il percorso degli istituti a cui si offre l’uscita nei tecnici superiori.
I Poli, nella formula finale del decreto, non sono obbligatoriamente distribuiti su ogni provincia e se questo è logicamente da demandare ad un’altra sede decisionale che comprenda le Regioni a cui spetta la competenza sulla programmazione dell’offerta formativa regionale, immediatamente non garantisce la presenza capillare sul territorio nazionale dei soggetti adibiti a rilasciare qualifiche.
Non è prevista alcuna forma di governance che comprenda anche la presenza delle parti sociali così come è oggi nei Poli per gli IFTS.
Restano in ombra inoltre identità e struttura degli istituti tecnici superiori, oggi inesistenti, afferenti alla riorganizzazione degli IFTS prevista dall’art. 631 della finanziaria, ma tuttavia già nominati e l’identità del quarto soggetto dei Poli: “le strutture della formazione professionale accreditate ai sensi dell’art.1 comma 624 della legge 27 dicembre 2006”, cioè i percorsi triennali.
Ma tali corsi non erano finanziati solo fino alla messa a regime dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione? Se si tratta di una citazione sbagliata, va rapidamente corretta, in caso contrario, dobbiamo domandarci quale è il progetto che sta dietro tale scelta.
Molto negativa la scelta di non investire un euro in più di quanto già avviene per finanziare la costituzione dei Poli e la scelta di far pagare alla scuola statale, con la riduzione dei finanziamenti ad essa destinati, il costo delle defiscalizzazioni che vanno a beneficio dei donatori, sia che le donazioni riguardino la scuola statale sia che riguardino la scuola paritaria .
I contributi che le famiglie pagheranno alle scuole paritarie per sostenere tutta l’offerta formativa aggiuntiva, avranno dunque il vantaggio della defiscalizzazione che ricadrà sulle ormai fragili spalle della scuola statale, con riduzione dei finanziamenti ad essa diretti.
Il principio che ai finanziamenti privati corrisponda una riduzione dei finanziamenti statali, è un principio sbagliato e pericoloso che mette in serio pericolo il carattere pubblico della scuola.
Infine dobbiamo marcare un’assenza che va in ogni modo recuperata, quella degli istituti d’arte, che non vengono mai nominati e sembrano rimanere estranei al sistema dell’istruzione secondaria superiore ridefinito, con il decreto legge n. 7, come costituito dai licei e dagli istituti tecnici e professionali.
Per una lettura più completa del testo alleghiamo delle schede analitiche che forniscono un quadro dettagliato del provvedimento.
Schede:
1) l'Istruzione tecnico professionale
2) I politecnico-professionali
Roma, 13 aprile 2007
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