Mercato del Lavoro. Le nuove norme sul contratto a termine all’insegna di una deregulation selvaggia
Con la legge n. 133, di conversione del DL 112, il governo cancella le modifiche positive portate dalla legge 247/2007 e peggiora le stesse norme contemplate nel D.lgs 368/2001 originario. Ora l’apposizione del termine è consentita anche se le ragioni giustificative sono riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro. Così viene ulteriormente precarizzato il lavoro.
1. Tra gli interventi peggiorativi per i lavoratori in materia lavoristica introdotti dal governo di centro destra con la Legge 6 agosto 2008 n. 133 di conversione del DL 112/08 vogliamo, in questa sede, soffermarci solo sulle novità riguardanti il rapporto di lavoro a tempo determinato, rinviando ad un altro momento il commento e l’analisi delle restanti e preoccupanti modifiche della normativa volute dall’esecutivo.
Come già segnalato l’obiettivo di questo governo è deregolamentare il lavoro muovendosi su quattro direttrici: a) stravolgere le misure della legge 247/07 (accordo sul Welfare) sulle tipologie di impiego; b) intervenire sull’orario di lavoro, sugli appalti e sul sistema solidaristico della tutela della malattia; c) stravolgere gli strumenti di registrazione e di controllo dei rapporti di lavoro in maniera tale da impedire i controlli ispettivi; d) segmentare gli interessi salariali dei lavoratori con le misure relative alla detassazione degli straordinari e dei premi di produzione.
Ebbene le modifiche delle norme sul contratto a tempo determinato rappresentano un tassello importante di questa strategia che, in ultima analisi, mira a dividere e frantumare il mondo del lavoro sia pubblico che privato attraverso la cancellazione dei risultati raggiunti dal movimento sindacale con l’accordo sul Welfare e il ripristino, in versione riveduta e corretta, di norme che fanno arretrare i diritti e le tutele dei lavoratori.
Le norme rivisitate in peius in materia lavoristica si combinano con gli altri interventi, presenti sia nella legge 133/2008 che negli altri provvedimenti sulla scuola di cui al DL 137, sull’università, sulla ricerca, sulla sanità, sul pubblico impiego e sulla sicurezza che nel loro complesso prefigurano una ben precisa idea di società fondata sull’esclusione, sulla privatizzazione dei servizi pubblici e uno sviluppo tutto subordinato alla mera logica del mercato e dell’impresa.
2. Nel merito del contratto a termine. Come è noto il D. Lgs. 368/2001 ha introdotto una disciplina del lavoro a termine che ha innovato in maniera rilevante quella previgente, contenuta principalmente nella L. 230/1962, di cui si è prevista contestualmente l’abrogazione. E’ altrettanto nota la posizione di netta contrarietà espressa dalla CGIL manifestata in quell’occasione.
Successivamente, incisivi interventi di modifica sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato sono stati attuati dalla L. 247/2007, che nel recepire l’accordo sul Welfare del 23 luglio 2007 ha novellato in vari punti la disciplina in materia recata dal D. Lgs. 368/2001.
In primo luogo, è stato introdotto espressamente nell’ordinamento il principio in base al quale il rapporto di lavoro subordinato è di norma a tempo indeterminato.
In secondo luogo il c.d. “causalone” ovvero le esigenze tecniche, produttive, organizzative o sostitutive è stato limitato alle attività aziendali “non ordinarie”.
In terzo luogo è stata introdotta una disciplina tesa a limitare la possibilità di prevedere continui rinnovi dei contratti a tempo determinato con lo stesso lavoratore; ciò per evitare un uso improprio dello strumento del lavoro a termine prevedendo, quindi, che se per effetto della successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra il datore di lavoro e il lavoratore supera complessivamente una certa durata ossia i 36 mesi, il rapporto di lavoro viene considerato a tempo indeterminato a decorrere dal momento in cui viene superata detta durata.
Ora con la legge 133/2008, di cui all’art. 21, quegli interventi di modifica vengono nuovamente cancellati e viene riscritta in peius per i lavoratori la nuova disciplina.
3. Al
comma 1 dell’art. 21 della L. 133/2008 che novella l’articolo 1, comma 1, del menzionato D.Lgs. 368/2001, viene previsto che l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo riconducibili anche all’attività ordinaria dell’azienda. Questo comma mina il principio generale, sempre previsto dalla legge, in base al quale il rapporto di lavoro è di norma a tempo indeterminato, sdoganando di fatto e di diritto il ricorso al contratto a termine. L’intento palese è quello di ristabilire il principio di equivalenza tra lavoro a termine e lavoro stabile, lasciandolo al solo insindacabile desiderio dell’impresa.
Dopo l’art. 4 del D.Lgs 368/01 viene introdotto, con il
comma 1 bis dell’art. 21, un nuovo articolo il 4 bis che contempla una “disposizione transitoria” relativa al contenzioso giudiziario sui contratti a termine in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione ovvero al 21 agosto 2008. Fatte salve le sentenze passate in giudicato, tutte le altre situazioni che hanno comportato una violazione delle ragioni che legittimano il termine al lavoratore non compete più il diritto alla reintegra ma solo il risarcimento del danno individuato in una indennità non inferiore a 2,5 mensilità e non superiore a 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale. Vi è in questo caso una violazione sia della tutela reale sia di quella obbligatoria tanto che è stato sollevata da più parti la incostituzionalità di tale norma.
Con il comma 2 dell’art. 21 si modifica il comma 4- bis dell’articolo 5 del D. Lgs. 368/2001, introdotto dalla citata L. 247/2007. La nuova norma dispone che la disciplina di cui al menzionato comma 4-bis dell’articolo 5 del D. Lgs. 368/2001, introdotto dalla L. 247/2007, volta a limitare la possibilità di prevedere continui rinnovi dei contratti a termine con lo stesso lavoratore, non si applica nel caso in cui dispongano diversamente i contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Si tratta di una norma pericolosa che non va sottovalutata in quanto affida alla contrattazione collettiva nazionale, territoriale e aziendale un “ ruolo derogatorio in peius” i cui effetti sono facilmente immaginabili.
Con il comma 3 dell’art. 21 viene modificato il comma 4- quater dell’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, anch’esso introdotto dalla citata L. 247/2007 relativo alla precedenza nelle assunzioni, di cui al menzionato comma 4- quater dell’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, introdotto dalla L. 247/2007. Ora il diritto di precedenza non è più assoluto in quanto può essere derogata dalle eventuali diverse previsioni dei contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Come nel comma 2 viene riproposto il ruolo derogatorio in peius da parte della contrattazione collettiva nazionale, territoriale e aziendale.
Con il comma 4 si prevede che, dopo 24 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, il Ministro del lavoro procede ad una verifica degli effetti delle norme di cui ai commi precedenti dell’articolo in esame con le organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Roma, 8 settembre 2008
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