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Unione Europea. Rapporto sui progressi compiuti nel settore istruzione e formazione rispetto agli obiettivi del 2010

A fine marzo, è stato pubblicato il secondo rapporto sui risultati e i progressi compiuti dai sistemi d’istruzione e formazione dei paesi membri dell’Unione Europea rispetto agli obiettivi definiti al summit di Lisbona del 2000.

18/04/2005
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A fine marzo, è stato pubblicato il secondo rapporto sui risultati e i progressi compiuti dai sistemi d’istruzione e formazione dei paesi membri dell’Unione Europea rispetto agli obiettivi definiti al summit di Lisbona del 2000.Vi sono analizzati i29 indicatori e i cinque benchmark, individuati da esperti dei paesi partecipanti e adottati dal Consiglio: gli abbandoni precoci, il completamento della scuola secondaria superiore, le competenze alfabetiche, la partecipazione all’apprendimento per la vita e il numero di laureati in matematica, scienze e tecnologia.
Il monitoraggio periodico del processo di Lisbona costituisce un elemento importante per individuare punti di forza e di debolezza e definire le correzioni di tiro e le strategie necessarie all’attuazione degli obiettivi per il 2010, attraverso il cosiddetto metodo aperto di co-ordinamento. Tale metodo, definito per aiutare i Paesi membri a sviluppare progressivamente le proprie politiche, prevede

  • la definizione di linee guida per l’Unione, associate a tempi prestabiliti, per l’acquisizione degli obiettivi nel breve, medio e lungo termine;

  • la definizione, dove opportuno, d’indicatori e benchmark quantitativi e qualitativi e tagliati sulle necessità dei differenti paesi membri e settori, in quanto strumenti di confronto delle migliori pratiche;

  • la traduzione delle linee guida europee in politiche nazionale e regionali, definendo obiettivi specifici e adottando misure opportune;

  • monitoraggi periodici, valutazioni e controllo tra pari, intesi come processi d’apprendimento reciproco.

Come si evince dal rapporto, i cinque benchmark adottati dal Consiglio nel Marzo 2003 costituiscono ancora, a metà del cammino, una sfida seria per i sistemi educativi e formativi europei, soprattutto per quanto riguarda l’innalzamento degli apprendimenti, la partecipazione al lifelong learning e la riduzione degli abbandono scolastici.
Il rapporto evidenzia, anche, un altro elemento di crisi: la necessità di trovare circa un milione di docenti, entro il 2015, in sostituzione di quelli che andranno in pensione. Un campanello d’allarme già lanciato mesi fa dall’ETUCE e finalmente fatto proprio dall’Unione Europea.
Quasi la metà dei Paesi Membri sono tra i tre paesi leader in almeno una delle cinque aree individuate. Le buone pratiche ed esperienze non sono, quindi, confinate a pochi paesi. Oltre ai soliti paesi del Nord Europea, vanno segnalati gli eccellenti standard raggiunti in un alcuni campi dai paesi nuovi membri, come la Polonia, la Repubblica Ceca, la Lituania, la Slovacchia e la Slovenia.

Roma, 18 aprile 2005
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L’alto numero d’abbandoni precoci dalla scuola costituisce un ostacolo alla possibilità di assicurare una maggiore coesione sociale nell’Unione Europea

Sebbene ci sia stato un miglioramento nella riduzione del numero d’abbandoni precoci nel periodo 2000-2003 (-1,5%), dovuto soprattutto all’ingresso dei paesi dell’Est europeo, nel 2004 ancora il 15,9% dei giovani tra i 18 e i 24 anni nell’Unione Europea ha abbandonato la scuola con il rischio di trovarsi al margine od escluso dalla società della conoscenza. Il Consiglio ha stabilito di ridurre l’abbandono scolastico del 10% entro il 2010, obiettivo irragiungibile se non si diminuisce in modo efficace il tasso degli abbandoni. I paesi che hanno raggiunto i risultati migliori in questo campo sono: Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, che condividono con Danimarca, Austria, Lituania, Finlandia e Svezia un tasso d’abbandoni inferiore alla media UE. Ovunque, l’abbandono da parte delle ragazze è inferiore rispetto ai maschi, con differenze anche molto significative in alcuni paesi.
A parere del gruppo di lavoro estensore del rapporto, l’acquisizione di tale obiettivo richiederà azioni politiche ed impegni sostanziali. Soprattutto occorre potenziare i percorsi connessi alla seconda opportunità formativa, sviluppare la cultura dell’apprendimento per la vita, di cui costituisce parte integrante il riconoscimento degli apprendimenti non formali ed informali. Un ruolo importante lo devono giocare anche le imprese, che sono in grado di raggiungere larghe fasce di popolazione una volta uscite dall’istruzione formale. Si suggeriscono incentivi finalizzati all’espansione degli investimenti nella formazione all’interno dell’imprese e in settori trasversali, al fine di aiutare i lavoratori nell’accesso all’apprendimento.

E’ necessario un numero adeguato di laureati nelle discipline matematiche, scientifichee tecnologiche per la società della conoscenza
Il Consiglio ha definito due obiettivi: aumentare almeno del 15% il numero dei laureati nel settori scientifici, matematici e tecnologici entro il 210 e contemporaneamente ridurre il gap per quanto riguarda la differenza di genere. Le attuali tendenze sono positive, soprattutto rispetto al primo obiettivo che, probabilmente, verrà raggiunto, anche se si potranno incontrare difficoltà nel suo mantenimento, dato il calo demografico che caratterizza la maggior parte dei paesi dell’Unione Europea.
I paesi che registrano il livello più alto di laureati in queste disciplineogni 1000 abitanti tra i 20 e i 29 anni sono: Irlanda; Francia e UK, mentre in Portogallo, Estonia e Lituana si registra il migliore bilancio tra i generi, che resta, in media, ancora troppo “sbilanciato”: nel 2001 solo il 31% dei laureati nel campo scientifico, matematico e tecnologico erano donne.
Va, inoltre, sottolineato che in Europa la percentuale di laureati in questi settori è più alta che negli USA e in Giappone (rispettivamente 25%, 17% e 22%), ma non si riesce a capitalizzare questo potenziale, in quanto ci sono meno persone che lavorano nell’ambito della ricerca .
Un altro problema è relativo agli stanziamenti. L’UE colloca solo il 1,9% del PIL in ricerca contro l’obiettivo del 2010 del 3% eciò costituisce uno dei fattori che incidono sulla fuga dei cervelli . Circa 85.000 ricercatori e scienziati europei lavorano negli USA. Per avere la stessa percentuale di ricercatori attivi che negli USA, l’Unione Europea dovrebbe aumentare i propri ricercatori di 550.000 unità, entro il 2010.
Secondo il gruppo di lavoro, la sfida maggiore consiste nell’evitare la fuga dei cervelli verso altri settori economici o in altre regioni del mondo e nel rendere attraente il lavoro del ricercatore in Europa. L’altra sfida riguarda il bilancio tra i generi, per cui occorre individuare metodi innovativi per convincere le ragazze a proseguire gli studi nel campo matematico, scientifico e tecnologico.

Una partecipazione efficace alla società della conoscenza richiede una conoscenza di base che corrisponda al livello di scuola secondaria superiore

Il Consiglio ha stabilito che entro il 2010 almeno l’85% dei 22enni nell’UE abbiano completato la scuola secondaria superiore. Dal 2000 il tasso fluttua intorno al 76,5%, mentre dovrebbe crescere di 1,5 puntil’anno se si vuole raggiungere l’obiettivo prefissato. Attualmente, in ben 14 paesi membri della UE i dati sono al di sotto del 80%, mentre sono soprattutto i paesi dell’Est ad avere buoni risultati, con tassi anche superiori al 90%, come la Repubblica Ceca e la Slovacchia.
Ovunque, la percentuale delle ragazze che terminano gli studi è più alta rispetto ai maschi, con differenze anche superiori ai 10 punti, come in Estonia, Grecia, Spagna, Lettonia e Portogallo.
Per quanto riguarda gli immigrati, gli esiti sono tendenzialmente inferiori nella scuola secondaria superiore e i risultati più bassi nelle competenze relative alla lettura (ricerca PISA).Nel 2004 il differenziale UE nel livello dei risultati tra studentidi origine locale e straniera era del 18,1% (del 20% nel 2003), con le differenze maggiori registrate in Grecia, Germania, Olanda e Svezia.
A parere degli estensori del rapporto, in assenza d’iniziative e maggiori sforzi, sarà molto difficilmente raggiungere tale obiettivo.Si suggerisce di imparare dalle buone pratiche, soprattutto nel confronto di paesi come la Finlandia, che mostrano come sia possibile coniugare qualità con equità.
Il gruppo di lavoro ritiene, inoltre, necessario sviluppare nuovi indicatori nell’area delle competenze chiave, soprattutto per quanto concerne le abilità che un adulto deve possedere, l’imprenditorialità, l’imparare ad apprendere e il possesso delle lingue straniere.
Maggiore attenzione deve essere, inoltre, data agli esiti dei ragazzi, dei giovani bisognosi di insegnamenti speciali e degli alunni di origine straniera.

Gli individui devono aggiornare e completare le loro conoscenze, competenze e abilità attraverso la partecipazione al lifelong learning
Nel 2004, una media pari al 9,4% degli adulti tra i 25 e i 64 anni ha partecipato ad attività formative, con una maggiore presenza delle donne. L’aumento annuale nel tasso di partecipazione in attività di lifelong learning dovrà crescere dall’attuale percentuale dello 0,1-0,2% allo 0,5% nel periodo 2004-2010, se si vuole raggiungere l’obiettivo del 12,5%, entro il 2010.
Inoltre, dal 2002 si è allargata la forbice tra i possessori di titoli di studio medio alti e quelli con titoli di studio basso: nel 2004 solo lo 0,5 % della popolazione tra i 25-64 anni con titolo di studio inferiore alla secondaria aveva partecipato a percorsi formativi, nelle 4 settimane precedenti all’indagine. I paesi con i migliori risultati sono: Svezia, Danimarca e Finlandia e UK, seguiti da Slovenia ed Olanda. .
L’obiettivo del Consiglio di arrivare entro il 2010 ad un tasso del 12,5% richiede che i Paesi Membri rafforzino le iniziative per sviluppare una strategia di lifelong learning integrata, coerente e inclusiva. La sfida per l’Europa non consiste solo nell’aumentare il tasso di partecipazione, ma anche nell’assicurare una cultura coerente relativamente all’apprendimento per la vita. Mancano indicatori appropriati relativi ad elementi essenziali come l’accesso, il tutoraggio, l’orientamento e la flessibilità dei sistemi di apprendimento.
Occorre, inoltre, porre maggiore attenzione sui gruppi socio-economici più esclusi dai percorsi formativi, come i migranti, i ragazzi con bassi titoli di studio.

L’acquisizione delle competenze di base costituisce un primo gradino per partecipare allo sviluppo della società della conoscenza
Nel settore fondamentale delle competenze nel campo della lettura, i dati più recenti evidenziano che, nel 2003, circa il 20% dei ragazzi, al di sotto di 15 anni, degli stati membri della UE erano in grado di raggiungere solo il primo livello. Un dato assai preoccupante, in quantosignifica che ogni anno circa un milione di giovani entrano nella vita lavorativa senza le principali competenze di base. Rischia così di diventare irraggiungibile l’obiettivo prefissato per il 2010: ridurre il tasso al 15,5%. I paesi con i migliori esiti sono: Finlandia, Irlanda e Olanda. Per quanto riguarda l'Italia, si tratta di uno dei paesi in cui le differenze tra migliori e peggiori risultati è più bassa, ma che registra un numero piuttosto elevato d’alunni al primo livello o inferiore ad esso.

L’Unione Europea si caratterizza per i bassi investimenti nelle risorse umane, specialmente nell’istruzione superiore
Gli investimenti pubblici in istruzione e formazione come percentuale del Prodotto Interno lordo sono cresciuti, ma in modo troppo lento da quando è stata adottata la strategia di Lisbona. Soprattutto ci sono stati scarsi progressi negli investimenti nell’istruzione secondaria e superiore, mentre sono aumentati in maggiore misura gli investimenti per alunno nella scuola primaria, a causa della diminuzione complessiva del numero di alunni.
Danimarca e Svezia sono i due paesi che investono di più con il 7% del PIL destinato all’educazione
Il livello di spesa dei paesi della UE in rapporto al PIL è simile a quello degli USA, mentre è più elevato rispetto al Giappone. Sono, invece, rispettivamente di otto e di tre volte inferiori, rispetto a USA e Giappone, gli investimenti privati nell’istruzione superiore.Solamente in Lettonia eGermania gli investimenti privati in istruzione e formazione superano l’1% del PIL.
A parere del gruppo di lavoro, occorre attivare politiche per incentivare la presenza di capitali privati soprattutto nell’istruzione terziaria .

L’Unione Europea ha bisogno di attrarre più di un milione di persone alla professione docente

Attualmente nell’Unione Europea ci sono circa 6milioni di docenti nell’educazione primaria e secondaria. Mantenendo costante il rapportoalunni/docenti e prendendo in considerazione il trend demografico e le proiezioni,nel periodo 2005-2015 dovrà essere sostituito più di un milione di docenti. Germania, Danimarca e Svezia sono i paesi con la più alta percentuale di docenti ultracinquantenni nella scuola primaria,a livello di scuola secondaria ci sono ancora la Germania e la Svezia, insiemecon l’Italia.
A parere del gruppo di lavoro, per evitare l’accrescersi del fenomeno del reclutamento di personale non qualificato, è necessario lavorare su due piani paralleli: attivare politiche di incentivazione all’insegnamento per sostituire, da subito, i docenti che vanno in pensione con persone qualificate ( ad es. assunzione d’insegnanti in pensione, esperti dal mondo del lavoro, incentivi economici per le materie in cui c’è maggiore carenza) e lavorare per politiche di lungo termine relative alla formazione in ingresso e in servizio,affinché si crei un corpo docente in possesso delle abilità e delle competenze necessarie a svolgere il loro ruolo nella società della conoscenza, nei prossimi anni.
La Commissione intende, in co-operazione con esperti dei paesi membri, ampliare gli indicatori relativi ai docenti, aggiungendo a quelli già usati di carattere quantitativo,altri di carattere qualitativo, quali le politiche relative all’assunzione, al reclutamento e alla pensione.

La maggior parte degli alunni dell’Unione Europea non raggiunge l’obiettivo dell’acquisizione di almeno due lingue straniere

Nel 2002, per ogni alunno èstata insegnata una media di 1,3 e 1,6lingue straniere negli stati membri, rispettivamente nell’educazione secondaria inferiore e superiore.
Il numero medio di lingue straniere insegnate per alunno dovrebbe crescere di almeno del 25% per raggiungere l’obiettivo della conoscenza di almeno due lingue straniere per allievo.
L’inglese è la lingua maggiormente studiata, con il 46% degli alunni nella scuola primaria e il 91% nella secondaria.
A parere del gruppo di lavoro,occorre innalzare e diversificare il profilo delle lingue straniere nel curriculum scolastico in modo che gli alunni possano avere accesso ad un numero maggiore di lingue ed in età più precoce. Ciò anche al fine di impedire il monopolio dell’inglese.

Imparare dalle buone pratiche

Presentazione del libro il 18 novembre, ore 15:30
Archivio del Lavoro, Via Breda 56 (Sesto San Giovanni).

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