Christian Raimo: la vera storia? O è problematica o non è storia
Riflessioni sull’ultimo articolo di Ernesto Galli della Loggia
Galli della Loggia è uno degli editorialisti principali del Corriere della sera e uno dei membri della commissione governativa di revisione delle Indicazioni nazionali. Da questa doppia posizione di potere si propone di essere la voce di riferimento, non solo intellettuale ma anche ufficiale, del muscolare progetto pedagogico di questo governo. Lo fa sempre con più frequenza e con più decisione.
Il suo pezzo sul Corriere della sera del 29 gennaio titola addirittura: “Insegniamo la storia. Ma vera”.
Come se nelle scuole italiane esistesse una masnada di docenti e studiosi che invece vogliono insegnare una storia falsa, finta, farlocca. Il suo editoriale è un insieme di fallacie logiche – soprattutto falsi dilemmi – e la dimostrazione di una misconoscenza abbastanza dichiarata, o di un’estraneità ostile, del dibattito sulla didattica della storia degli ultimi trent’anni (si può leggere il libro appena uscito da Einaudi di Andrea Micchiché, Igor Pizzirusso e Marcello Ravveduto e sullo stato dell’arte della didattica della storia per farsi un’idea della distanza galattica tra le osservazioni di Della Loggia e il contesto in cui dovrebbe muoversi chi discute seriamente di questi temi).
La prima evidenza discutibile è che un professore che fa parte della commissione della revisione delle Indicazioni nazionali usi il suo ruolo per essere così predittivo su quello che si deve insegnare in classe. È la dimostrazione che Galli della Loggia non abbia proprio recepito o non condivida lo spirito con cui, ormai da un paio di decenni, si è passati dai Programmi alle Indicazioni nazionali. Della Loggia addirittura usa l’espressione astrusa “Indicazioni nazionali per i programmi scolastici”.
A scuola non si fa più, o almeno non si dovrebbe fare più, distinzione tra contenuti e metodi. Quando noi insegniamo e impariamo qualcosa è perché quel qualcosa, quel fatto, quell’insieme di fatti, è problematico, è una questione, ci stimola, ci provoca dei ragionamenti.
Non possiamo, come sembra sottintendere tutto l’articolo di Della Loggia pensare che fare storia anche con i bambini sia una narrazione pacificata di fatti (o fatterelli, aneddoti, storielle locali come immagina nel suo libro Insegnare l’Italia). O la storia è problematica o non è storia. Altrimenti si eleva la norma a senso comune.
Per questo per esempio può essere importante partire dalla preistoria e non dalle storie vicine, anche sfruttando l’amore che molti bambini hanno per i dinosauri, la loro curiosità per un mondo antico e lontanissimo in cui non c’erano nemmeno gli esseri umani.
Galli della Loggia insiste invece che la “storia vera” sia quella che lui ritaglia sui confini geografici della penisola italiana. Lo fa anche qui da decenni, nel suo testo del 1998 “L’identità italiana” era dichiarato questa idea “geografica” prima che storica dell’Italia.
Verrebbe davvero da replicare prima: ma perché?
Chi ha letto quello che scrive Della Loggia non solo sui giornali, sa che è almeno dalla fine del novecento, che ce l’ha con quello che lui stesso definiva negli anni novanta “marxismo-braudelismo”, ossia una prospettiva di ricerca che si muove al di là delle storie nazionali.
Il nemico ideologico di Della Loggia sembra quel po’, per fortuna sempre di più, di storiografia innovativa che vive nel lavoro educativo di molti docenti e comincia a trovarsi, nonostante tutto, in alcuni nuovi manuali scolastici.
Della Loggia, pieno di nostalgia per tempi non antichi ma datati, fa una caricatura della storia mondiale, parla del cosmopolitismo come una specie di irenismo alla volemose bene (“l’empito [sic] universalistico”); mentre chi studia seriamente queste cosa sa che la storia mondiale è un’arena di conflitti, che le dialettiche tra macro e micro nella storia contemporanea sono una questione molto più seria di una contrapposizione tra storie nazionali e storie mondiali, e che è davvero deprimente immaginare lo studio della storia a scuola come una grande lente sul proprio ombelico magari grande quanto la penisola italiana o un fantasmatico occidente.
Sarebbe bello potersi dire che questi articoli sono talmente provocatori nel loro essere regressivi che stimolano reazioni, ma la verità è che sembrano davvero un modo per mostrare come basti il potere della propria posizione, istituzionale e culturale, per poter prescindere da qualunque metodo argomentativo.
Servizi e comunicazioni
I più letti
- Nuove Indicazioni curricolari nazionali:una scelta strategica per la scuola italiana, che non può passare nel silenzio. L'allarme da un documento di Massimo Baldacci e Antonio Brusa
- Elezioni RSU. Alcuni sindacati promettono in cambio del voto ricchi premi e cotillons
- Mercato dei titoli. FLC CGIL: intervenire subito, serve una gestione statale e accessibile
- Pensioni scuola: quota 103, opzione donna, ape sociale e proroga a 67 anni del limite ordinamentale per accedere alla pensione