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Lo smantellamento della scuola pubblica in barba alla Costituzione

Antonio D'Andrea, docente di diritto costituzionale all'università di Brescia, nella sua relazione sul diritto costituzionale all'istruzione ha spiegato come questo diritto sociale, obbligatorio, garantito a tutti, gratuito, obblighi il soggetto pubblico a fornire una prestazione. Oggi il soggetto pubblico si ritira sempre più da questo obbligo, uscendo da un contesto costituzionale. Come avviene tutto questo? Con un'operazione ideologica e finanziaria. Si parla di sistema integrato di istruzione mettendo sullo stesso piano scuola pubblica e scuola privata. Il prof. D'Andrea spiega che invece nella Costituzione è indicato il primato della scuola pubblica, l'unica in grado di osservare il principio di uguaglianza sostanziale. Infatti nella Carta vige un principio meritocratico, quello che i capaci e meritevoli devono essere aiutati e sostenuti nel caso non abbiano i mezzi necessari. "la scuola, quindi – continua D'Andrea – è un veicolo di uguaglianza sostanziale". Inoltre la scuola pubblica è laica, non è né confessionale né ideologica, il reclutamento dei docenti è tale da garantire la libertà di insegnamento... è un'istituzione funzionale all'assetto democratico del Paese. La stessa parificazione della scuola privata non è automatica ma avviene in seguito a un atto autoritativo dello Stato che controlla criteri, requisiti e valuta le equipollenze. Secondo il costituzionalista diminuire le prestazioni pubbliche in campo scolastico attraverso i tagli è una scorciatoia per introdurre una sorta di sussidiarietà verticale con il sistema privato: un'insidia penetrata nella Costituzione con la riforma del titolo V. Lo scenario che ci viene presentato è il seguente: con il finanziamento pubblico della scuola privata lo Stato risparmia e il privato è chiamato a svolgere una funzione di pubblica utilità. Inoltre ci dicono che istituire scuole private non è un business (come invece è), ma una forma di pluralismo contro il monopolio statale. Ma lo Stato il monopolio lo detiene sul controllo della qualità in base alla quale valuta se una scuola privata ha diritto, ad esempio, alla parità. Stanno inoltre giocando ambiguamente sulla libertà delle famiglie di scegliere l'educazione per i propri figli: ma la Costituzione parla di diritto-dovere delle famiglie, diritto del minore e dovere dei genitori a reclamarlo, non certo di una scuola su misura o à la carte. D'Andrea parla di una lettura ideologica della Costituzione da parte del Governo. La situazione si complica con il federalismo. La Corte costituzionale ha spiegato che l'emanazione di norme generali è di competenza esclusiva dello Stato, i principi fondamentali sono di competenza dello Stato e delle Regioni. Come se ne viene fuori? Con la leale collaborazione tra le due istituzioni su tutte le materie. In tutto questo l'autonomia scolastica non ha davvero molto spazio.

Dal bilancio di competenza al bilancio di cassa

Il professor Marcello Degni, docente di contabilità pubblica all'università di Pisa, ha aperto la sua relazione parlando della durezza della manovra del governo e della sua iniquità e spiegando come si sarebbe potuto drenare risorse intervenendo, ad esempio, sui grandi patrimoni e raddoppiando l'imposizione sui capitali rientrati invece di bloccare gli stipendi. Poi, con l'ausilio di slide, Degni si è soffermato su due leggi che hanno (avranno significative ricadute nella scuola): la legge 42/09 sul federalismo fiscale e la legge 196/09 che cambia il sistema di contabilità pubblica. Sono entrambe molto complesse, prevedono molte deleghe e la loro applicazione presenta più possibilità.

Degni ha fatto una rapida cronistoria sulle vicende del bilancio dello Stato, sulle forzature costituzionali della pratica dei decreti-legge e dei voti di fiducia sui maxiemendamenti che hanno di fatto esautorato il Parlamento. Il professore sostiene che quindi c'era bisogno di una riforma della struttura del bilancio dello Stato e non solo per adeguare la normativa italiana a quella europea. "Un aspetto cruciale del progetto di riforma riguarda la struttura del bilancio che, attraverso lo strumento della delega, istituzionalizza l'articolazione in missioni e programmi di spesa", questi ultimi saranno il risultato "della decisione politica, da un lato, e della struttura amministrativa preposta alla realizzazione, dall'altro". L'aspetto che più interessava (e preoccupava) i partecipanti al seminario riguarda il passaggio dal bilancio di competenza a quello di cassa e la sistemazione dei crediti che le scuole vantano nei confronti del Miur. Il professor Degni ha voluto rassicurare tutti dicendo che il passaggio da un sistema all'altro avverrà in tre anni dopo una sperimentazione. Dopo una complessa spiegazione sugli aspetti tecnici del nuovo sistema di contabilità pubblica, una ricognizione su limiti e ambiguità, e sull'integrazione con il federalismo, Degni non ha nascosto la sua preferenza per il passaggio al bilancio di cassa che permette una più precisa programmazione delle risorse, impedisce di giocare sui residui, responsabilizza le scuole e gli enti erogatori. "È evidente – ha poi precisato – che nella fase di transizione i residui attivi maturati devono essere trasferiti". Molto più complesso sarà sbrogliare i nodi del federalismo scolastico nel dedalo di competenze tra Stato e Regioni da esercitare in diverse sedi decisionali. Inoltre la definizione di standard è resa più difficile da tante variabili, tra cui gli squilibri territoriali.

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