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Margherita Marengo, Coordinamento nazionale Immigrati FLC Cgil - Piemonte.

Abstract

Quali parole usare per parlare d'intercultura?
Quando le parole che spesso si rincorrono e vengono usate con significati diametralmente opposti al loro contenuto semantico e legate a situazioni che comunicano l'esatto contrario di quanto detto.
Tutti a parlar di radici, a dire gli altri sono razzisti, noi no.
Sicuramente una delle parole più usate è "radici", radici cristiane, celtiche, italiane, europee, lombarde, piemontesi… ricordi comuni, tradizioni, memoria condivisa.

Forse sarebbe il caso di ricordare le parole di Gustavo Zagrebelsky, Lezione per la Biennale della Democrazia, Torino aprile 2009: "Le parole non devono essere ingannatrici, affinché il confronto delle posizioni sia onesto. Parole precise, specifiche, dirette; basso tenore emotivo, poche metafore; lasciar parlar le cose attraverso le parole, non far crescere parole con e su altre parole; no al profluvio che logora e confonde".

Alcuni problemi su cui, secondo me, è necessario riflettere
Anche in situazioni, come il Piemonte, che hanno esperienze ricche, lunghe e consolidate di progettazione sui tempi dell'intercultura, la progettazione non è diventata sistema. Manca l'intervento politico che renda consuetudine le buone pratiche. Queste restano così affidate spesso alla buona volontà del singolo, sia esso insegnante, istituzione scolastica o anche amministrazione pubblica. Qualsiasi cambiamento (ad esempio il pensionamento che avverrà nei prossimi anni di molti d'insegnanti che hanno gestito i progetti ) può azzerare anni di lavoro e di progettazione.
L'approccio ad una scuola interculturale richiede che gli insegnanti, tutti a partire dalla Scuola dell'Infanzia per arrivare all'Università, abbiano una formazione specifica ed in itinere.
Purtroppo anche in questo caso parliamo di accesso ai corsi in forma assolutamente volontaristica.

I numeri del Piemonte
Utilizzo alcuni dati quantitativi che emergono da una ricerca in atto per analizzare i dati relativi ai progetti che le scuole hanno presentato per accedere ai finanziamenti della Regione Piemonte e dell'Ufficio Scolastico Regionale nell'anno scolastico 2008/09 e per l'anno in corso.
Sono dati parziali perché riguardano solo le scuole che hanno accesso al finanziamento, quindi scuole che hanno una presenza di almeno il 5% di alunni stranieri.
C'è un progressivo aumento delle scuole che fanno richiesta per accedere al finanziamento, questo ci rende evidente il fatto che l'integrazione di alunni non italiani riguarda ormai la quasi totalità degli istituti piemontesi. Aumentano in modo significativo anche nelle scuole superiori.

Nell'anno scolastico 2007/2008, 458 scuole (67,4%) della Regione hanno presentato richiesta di finanziamento per "integrazione alunni stranieri", per il corrente anno (2008/2009) la richiesta è di 511 istituzioni scolastiche (75,25%), +8,8%.
Le scuole, per l'anno scolastico 2007/2008, dichiarano la presenza di 39.304alunni stranieri pari al 12, 64% della popolazione scolastica, per l'anno scolastico 2008/2009 la situazione è la seguente: 46.571 alunni stranieri (+ 6013) pari al 12,6%. Nel 2009/ 2010 dichiarano 49.866 studenti stranieri pari al 13,40 % (dati ancora ufficiosi).
La domanda per accedere ai fondi, quest'anno, richiedeva alle scuole di scorporare i dati degli allievi tra prima e seconda generazione.
Possiamo così sapere che nelle scuole piemontesi abbiamo in media il 53% di allievi stranieri di prima generazione. Sono il 20 % nella scuola dell'infanzia e 81% negli istituti superiori. Nella scuola primaria le seconde generazioni raggiungono il 49%, nella scuola media il 24 %.

I dati sulle prime e sulle seconde generazioni ci richiedono come scuole di intervenire in modi differenziati, non si può da una parte continuare a considerare tutti i ragazzi come se fossero una massa indifferenziata di non parlanti, d'altra parte non si può fare finta che, molto spesso, l'essere nati in Italia non risolva tutti i problemi di lingua e d'inserimento degli allievi.

Pensando ad un curricolo interculturale
Ripensando alla premessa credo che in questo momento storico/politico la dimensione interculturale che la scuola deve agire sia quella della costruzione di una cittadinanza comune. Che ci coinvolga tutti, insegnanti e alunni. Una cittadinanza che non sia costruita solo su radici o accorpamento di radici, parte fissa sotterranea dell'albero, ma che, come dice Magris, si allarghi in rami e foglie, che cambiano, si modificano continuamente. Che si protendono verso altri rami o mani per stringerle.

Questo non riguarda solo il lavoro che facciamo con i ragazzi ma in special modo il nostro vivere come insegnanti nella scuola, è la possibilità che abbiamo di immaginarci il futuro e di costruirlo con le nuove generazioni.

Scarica l'intervento integrale

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