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L'intervento di Giovanni Biondi, Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, chiude il dibattito.

Il dottor Biondi sottolinea che la formazione in servizio è sempre stata un optional perché il contratto di lavoro non la prevede. Nella formazione ci sarebbero, infatti, sempre i soliti insegnanti magari quelli che non ne avrebbero bisogno. In passato era invece un diritto/dovere.

Biondi ricorda la sua lunga esperienza nel settore. Ha assistito alla nascita del sistema IRSAE /DDP e ha seguito l’evoluzione di queste strutture.

La prima missione è quella della formazione che naturalmente avrà anche uno stretto legame con la valutazione da svolgersi attraverso strutture autonome e indipendenti. Gli IRSAE avevano una loro autonomia senza la quale non ci può essere qualità. Per quanto riguarda i contenuti è evidente che si deve avere qualcosa da proporre alle scuole altrimenti si favorisce l’inerzia del sistema che riproduce se stesso. Questo non significa che si debbano utilizzare metodologi top down, l’obiettivo è il supporto alle scuole.

Biondi ricorda il periodo in cui la formazione in servizio si chiamava aggiornamento e la reazione nelle scuole era “belle prediche”. La semplice diagnosi non fornisce strumenti. La formazione deve essere strettamente legata con la valutazione degli apprendimenti con il cambiamento e il miglioramento dell’insegnamento. I processi di apprendimento avvengono in classe e tutti i supporti devono riguardare la classe. Per fare un esempio i laboratori di informatica non possono essere luoghi separati dove si confezionano ipertesti pensati altrove.
Molte buone pratiche sono sorelle ma se facciamo solo documentazione rischiamo di amplificare solo quello che c’è favorendo l’inerzia del sistema senza introdurre innovazione.

L’Ente invece dovrà intercettare l’innovazione. Inoltre le buone pratiche documentate per essere consumate. Si deve, quindi, uscire da una logica di documentazione archivistica.

Per quanto riguarda il rapporto con l’università per Biondi si deve sempre aver presente che la pedagogia proposta dalle facoltà è spesso vecchia.

Nelle conclusioni Biondi ricorda la storia dell’Indire il cui fondatore è stato Giuseppe Lombardo Radice, mentre Lucio ne è stato un grande sostenitore. L’idea era quella di una scuola attiva, la scuola del fare. L’opposto della didattica di Stato. Si tratta del primo istituto di ricerca del nostro paese. Purtroppo un ministro ha avuto l’infelice idea di distruggerlo lasciandoci solo i cocci.

Oggi però grazie al lavoro dei commissari si è entrati in un'ottica di sistema. Insomma, una fusione forzata ha portato alla costruzione di un rete perché bene o male si è stati costretti (ex irre ed ex indire) a convivere. E’ vero, prosegue Biondi, c’è stata una relazione spesso conflittuale, anche tra i lavoratori che in alcuni casi dura tutt’ora ma sono stati fatti grandi passi in avanti dal punto di vista dell’integrazione.

Le relazioni sindacali ci sono state sempre (è il caso del primo accordo sui diritti dei collaboratori che in parte ha anticipato la normativa di legge.

Per quanto riguarda il futuro, conclude Biondi, si dovrà costruire un grande ente di ricerca nazionale quindi dotato della sua autonomia, ma per fare ciò serve una vera dotazione finanziaria. Si sta lavorando per quello. I tempi del resto li detta la normativa taglia enti e la delega al Governo sul riordino.

FERMIAMO L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA!

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