FLC CGIL

14:30

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Ad Adriana Timoteo, Segretaria nazionale della FLC, il compito di introdurre i lavori del pomeriggio sul tema: “la contrattazione del lavoro nella Conoscenza: tra aspettative dei lavoratori e qualità della formazione”.

Si deve mettere in evidenza, afferma Adriana, la fase difficile che il mondo della conoscenza sta vivendo, un mondo lacerato dai provvedimenti di questo Governo, dai processi di privatizzazione, dai tagli dei finanziamenti, dalle riduzioni degli organici, dal blocco delle assunzioni. Se non si considera il contesto nel quale ci muoviamo è difficile anche affrontare il tema delle aspettative dei lavoratori e della qualità del lavoro prodotto (non solo formazione, ma anche conoscenza).

Abbiamo discusso lungamente ed in più momenti prima di affrontare questo seminario, quali aspettative hanno i lavoratori? Se pensiamo al prossimo sciopero del 18 marzo, diremmo: il contratto. Certo, i lavoratori vogliono il contratto, ma non solo questo. Nei dibattiti affrontati è emersa una grande volontà da parte dei lavoratori di condizioni di lavoro che consentano di fornire un servizio di qualità. Si vuole soprattutto “lavorare bene”, ed è questo che viene ostacolato da ciò che dicevo in premessa. Nei contratti noi cerchiamo di creare la possibilità che ciò avvenga, sottolineiamo le esigenze degli utenti, delle amministrazioni, accettiamo anche dei vincoli formalizzandoli, che non sarebbe necessario neppure scrivere nel testo contrattuale (basti pensare solo ai codici disciplinari), ma esistono ben altri scogli che non consentono una piena resa positiva del lavoro svolto. Quali sono i limiti principali? Uno senz’altro è la precarizzazione del rapporto del lavoro, sempre più estesa (20% nella scuola, 50% nell’università e nella ricerca), che spezza l’organizzazione del lavoro, impedisce la costruzione di una esperienza professionale che fornirebbe risultati migliori, nega il diritto ai lavoratori ad una formazione continua, e quindi il conseguente arricchimento professionale. Un altro limite è costituito dalle esternalizzazioni, fenomeno sempre più diffuso ed altrettanto nocivo, in quanto deresponsabilizza i lavoratori, rendendo confusi i centri di responsabilità e frantumando le filiere lavorative. Ci sono poi gli aspetti legati fortemente alla contrattazione. Pensiamo ad esempio al comparto della ricerca: il quadriennio 94-97 vede due contratti separati tra tecnici ed amministrativi e ricercatori e tecnologi, chiaro segnale di uno spezzettamento dell’organizzazione del lavoro, con una separazione dei due settori che il contratto successivo (1998-2001) non è ancora riuscito a colmare. Pensiamo all’università, dove esistono i docenti non contrattualizzati e il personale tecnico-amministrativo regolato dalla contrattazione. Qui l’organizzazione del lavoro spesso è difficile per la distanza che esiste tra le norme che regolano i rapporti di lavoro di queste categorie.

Noi chiediamo sempre, e sempre ci viene negata, la contrattazione sull’organizzazione del lavoro. Il timore dell’Aran di interferire con le potestà regolamentari delle amministrazioni ci impedisce di dare un forte contributo, quale noi vorremmo, affinché la qualità delle prestazioni venga resa al meglio. La centralità dell’organizzazione del lavoro per avere i migliori risultati nella formazione, nella ricerca, in tutte le nostre istituzioni, non può essere negata. Discutendo l’organizzazione del lavoro riusciamo a rendere veramente protagonisti i lavoratori, a superare quelle frantumazioni che esistono per motivi storici, o per le forti differenze delle regole cui ciascuna figura è sottoposta. Abbiamo discusso a fondo su quali sono i punti di attrito che si riscontrano tra i lavoratori e che impediscono, talvolta, di ottenere buoni risultati; come sono i rapporti tra personale ata e docenti della scuola o delle accademie e conservatori, i rapporti tra docenti universitari e personale tecnico-amministrativo negli atenei, i rapporti tra tecnici e ricercatori degli enti di ricerca. Abbiamo verificato che se c’è un processo di pieno coinvolgimento delle varie figure, tanti problemi si superano, perché ciascuno sente che tutti sono coinvolti a raggiungere determinati obiettivi, tutti si sentono responsabili dei risultati che si registreranno. E sono queste le vere aspettative dei lavoratori: riconoscimento del ruolo, della professionalità, per un lavoro migliore, di qualità.

Marco Broccati, vice Segretario generale della FLC, presenta i partecipanti alla tavola rotonda e sottopone tre temi agli interlocutori.

Al prof. Mario Ricciardi, componente del Direttivo dell’ARAN, pone il problema sul fatto che negli anni ’90 si è mutato il quadro delle regole della contrattazione nei settori pubblici, che doveva avvicinarsi allo schema della contrattazione nel privato. Invece esistono tante fasi burocratiche che rallentano e complicano il processo contrattuale (e ne è un esempio il comportamento del Ministero dell’Economia e delle Finanze che ha trattenuto 4 mesi fermi i contratti siglati prima di rilasciarli). Quali sono le possibili analisi e soluzioni che tali problemi aprono?

Il prof. Ricciardi, afferma che la domanda merita una risposta politica, oltre che tecnica. E’ evidente che un sistema contrattuale che non funziona, o funziona male e a rilento, nuoce tanto ai lavoratori quanto all’amministrazione. Il sistema negoziale, oggi definito nel Dlgs 165, ha funzionato bene per un certo periodo: se penso, per esempio, alla scuola non posso che sottolineare come la contrattazione abbia svolto un ruolo importante in termini di sostegno e accompagnamento dell’autonomia scolastica. A ripensarci compiendo un’impresa titanica, come è quella di spostare dal vecchio Ministero di Viale Trastevere e dai Provveditorati poteri e competenze verso le scuole; la contrattazione ha spostato un vecchio sistema di relazioni sindacali nelle scuole, ha creato strumenti come la RPD o le funzioni strumentali, insomma ha reso possibile praticare l’autonomia che considero l’unica vera riforma. Non che non ci siano state debolezze e forse qualche errore ma oggi quel meccanismo è completamente inceppato. Senza voler enfatizzare il passato o demonizzare il presente voglio ricordare che i contratti precedenti si sono chiusi sulla base di un accordo politico, oggi invece ad un deficit di risorse evidente corrispondono scelte discutibili sul dove indirizzare le risorse, cioè scelte politiche. C’è un problema di risorse, quindi, cui si somma un problema di relazioni sindacali che prima hanno permesso di condividere, con le parti sociali, le scelte riformatrici. Tutto questo ha effetti anche sulla qualità delle scelte negoziali. Come si fa, per esempio, a parlare di qualità della prestazione sanitaria quando il contratto interviene sulle prestazioni nei fatti effettuate tre anni prima?

Oggi il sistema della contrattazione rischia la dissoluzione perché qualcuno pensa che sia più facile aggirare il confronto scegliendo la strada legislativa, perché si tende a depotenziare il contratto nazionale, per esempio nel dibattito sul federalismo,

Non mi preoccupano i cambiamenti condivisi, è preoccupante il decadimento: dallo sfinimento della contrattazione nessuno trae guadagno.

A Vincenzo Bavaro, Docente di Diritto del Lavoro, Broccati rivolge la seguente domanda: “Le buone regole non bastano se non sono accompagnate dalle buone pratiche. Ad Esempio, Moratti sta spegnendo l’autonomia tagliando le risorse. In questi ultimi anni si è fatto un uso “disinvolto” della contrattazione ed esiste una situazione contraddittoria sul piano della legificazione e contrattualizzazione. Come colmare i vuoti che si creano in tale situazione disordinata?

Il prof. Bavaro afferma che parlare del lavoro della conoscenza è parlare del paradigma del lavoro salariato. Difficile è il rapporto tra legge e contrattazione, ed è cambiato negli anni, però si può creare un rapporto corretto nel lavoro della conoscenza. Esiste un parallelismo tra pubblico e privato: chi è il ricercatore? Ci sono differenze di status. C’è un eccesso di legificazione ed un eccesso di contrattazione. La trasformazione della figure del ricercatore universitario in una figura contrattualizzata, individuerebbe immediatamente la tipologia del lavoratore co.co.co.. Occorrerebbe una legge che definisca lo statuto giuridico per chi fa ricerca ed anche per chi è docente. Nel contratto vanno a costruirsi le distinzioni, ad esempio utilizzando lo strumento della meritocrazia.

A Fulvio Fammoni, Segretario nazionale della CGIL, viene posto il problema che la professione “docente” e la professione “ricercatore” ora si trovano in una situazione confusa, in quanto non è chiaro come deve essere la formazione iniziale, quale deve essere il percorso per tali professioni. Spesso si collega giustamente il precariato alla scarsa qualità. In tale contesto come si approccia la legge 30?

Fammoni, riferendosi a quanto detto in mattinata sostiene di non condividere che ad un cambio di legislatura non si possa “ripartire da capo” cancellando quanto precedentemente legiferato. A volte si può e si deve, purché una forza politica che si candida a governare, assieme a quanto vuole cancellare dica anche cosa vuole proporre in sostituzione.

Nel merito di quanto posto dalla domanda a lui rivolta sostiene che le proposte: innanzitutto, di merito anche sui questi temi derivano dall’idea complessiva che si ha della società e dal modello di sviluppo economico e sociale. Nella scuola il modello si sta alterando, risponde pari pari alla filosofia della legge 30: precariato, taglio delle risorse, degli organici e la conseguente gerarchizzazione, le esternalizzazioni, il blocco della contrattazione. Questa è la filosofia che sta alla base della legge 30. E questo denuncia la scarsa considerazione del ruolo del lavoro intellettuale, legando il ruolo del “produttore della conoscenza” dal rapporto con la società.

Sul ruolo della contrattazione: al contrario di quanto avveniva in passato, oggi si sono chiusi quasi tutti i contratti del privato con risultati superiori all’inflazione programmata. Non è avvenuto nel settore pubblico dove c’è in atto un evidente tentativo di cancellare il principio della privatizzazione del rapporto di lavoro. Quando si vuole definire per legge ciò che invece il contratto dovrebbe decidere, così come quando si vanifica l’autonomia scolastica non erogando le risorse, questo principio si mette in discussione.

Alcune domande vengono poste dai partecipanti al seminario.

Gianna Cioni chiede quali sono le materie da delegare alla legge e quali vanno inserite nei contratti, fermo restando che l’ordinamento professionale non materia di legge.

Un’altra domanda viene posta da Paola Poggi che richiede delle soluzioni a fronte di un sistema contrattuale che non funziona, per cui nessuno risponde sulla mancata attuazione del contratto.

Massimo Mari pone la domanda relativa la rapporto della legge 30 nel pubblico impiego e nel privato, anche in relazione alla certificazione riguardante la qualificazione del rapporto di lavoro.

Il prof. Bavaro sostiene che i criteri di valutazione che riguardano esclusivamente contenuti propri del rapporto di lavoro non possono che essere affidati alla contrattazione. Bisogna comprendere quanto avanzerà il processo di privatizzazione. La certificazione, invece, dimostra il processo di depauperizzazione dell’università che viene distolta dai suoi compiti istituzionali.

Fammoni afferma che l’accordo del 23 luglio va modificato, un elemento, ad esempio, è la questione della vacanza contrattuale. La CGIL è decisamente contraria alla certificazione tanto che non partecipa a nessuna commissione istituite appositamente presso la Direzione del Ministero del Lavoro.

Il prof. Ricciardi, sottolinea che c’è sicuramente un problema di aggiornamento delle regole: il protocollo del 23 luglio 93 aveva ottimisticamente previsto una rigorosa tempistica della contrattazione, ma le regole pattizie hanno valore e funzionano in quanto le parti le condividono. La vera sanzione, purtroppo, è che il sistema non funziona e tutte le parti ne soffrono, anche i privati, che si trovano a distribuire aumenti salariali senza punti di riferimento reali. Per quanto riguarda le legge 30, l’unica università finora autorizzata alla certificazione è quella di Modena. Richiama l’attenzione su un punto delicato oggi nel Pubblico Impiego: l’aumento del numero di COCOCO che, dopo il parere della Corte dei Conti a sezioni riunite, che stranamente consente di attivare quei rapporti di lavoro senza limiti e per coprire posti di organico, rischia di esplodere. Segnala l’inizio di un confronto sulle prestazioni coordinate e continuative nel pubblico impiego, mentre ritiene opportuno riflettere sul lavoro somministrato.

Su tre questioni di fondo occorre ragionare per trovare le soluzioni: blocco degli organici, ideologia della liberalizzazione, utilizzazione dei lavoratori precari.