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Liberazione: Lo stato giuridico dei professori universitari

Liberazione è una delle poche testate che ha rotto il muro di silenzio che avvolge i problemi dello stato giuridico e del reclutamenteo dei docenti universitari,

01/07/2000
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di Domenico Jervolino

Liberazione è una delle poche testate che ha rotto il muro di silenzio che avvolge i problemi dello stato giuridico e del reclutamenteo dei docenti universitari, che sono in realtà problemi generali e complessivi la cui soluzione sarebbe un presupposto per realizzare una università democratica e adeguata a dare delle risposte alla domanda sociale di formazione e di cultura, persino al tanto invocato approdo in Europa che ha senso solo se ci si confronta con le altre esperienze europee al loro livello più alto e non nei termini di un generale appiattimento sulla retorica dominante dell'adeguamento al mercato.

Qualche lettore si domanderà che fine abbia fatto, ad esempio, la vicenda annosa dei ricercatori, prossimi ad essere riconsciuti lo scorso anno come professori di terza fascia, e poi ricaduti una sorta di limbo nel quale si sono impaludati e dispersi due anni di lavori delle commissioni parlamentari di Camera e Senato. In effetti, nel clima da fine impero degli ultimi mesi, i ricercatori sono letteralmete desaparecidos, mentre comunque il volto dell'università cambia per effetto dell'introduzione delle nuove lauree di tipo " europeo ", per effetto degli accordi cosiddetti della Sorbona.

Quale che sia il giudizio su questi accordi, è certo che la mancata democratizzazione del corpo docente non lascia presagire nulla di buono. Per dirla sinteticamente, la mia impressione è che si vada verso una razionalizzazione del nocciolo duro del potere accademico esistente, persino con degli arretramenti rispetto a parziali conquiste realizzate negli scorsi anni e in certe sedi da parte dei professori di seconda fascia e dai ricercatori.

Ma ha veramente senso avere una docenza universitaria, con gerarchie al suo interno? O la funzione del docente universitario, come quella del magistrato, è sostanzialmente unica, sicché una volta previsto un congruo periodo di formazione e un trasparente meccanismo di reclutamento è ragionevole avere un ruolo unico di professori, con pari diritti e doveri, e con avanzamenti interni legati all'età, al tempo di lavoro dedicato all'università piuttosto che a libere attività professinali, e a periodiche verifiche da cui oggi nessun membro della comunità scientifica può ragionevolmente esimersi, a condizioni che si tratti di verifiche serie e controllabili, in base a parametri definiti dal consenso interno della medesima comunità scientifica (internazionale), tenendo conto della diversità dei settori disciplinari.

Questo è il modello riformatore cui per decenni si sono ispirate le forze democratiche del sindacalismo e dell'associazionismo dei docenti universitari, e questo è il modello invece che è stato da sempre contrastato con il ricorso a retoriche pseudomeritocratiche non di rado congiunti con con provvedimenti corporativi a favore di questa o di quella situazione particolare.

Ma soprattutto ogni, sia pure modesto tentativo di riforma, si è dovuto scontrare con un vero e proprio partito trasversale che rappresenta quela parte dle potere accademico più geloso dei propri privilegi (concentrati soprattutto in quelle facoltà dove il prestigio universitario è utilizzato come copertura per ben più lucrose attività professionali) Ancora una volta, alla Camera dei Deputati si profila sullo stato giuridico dei docenti un vasto accordo trasversale cui finora si è sottratta solo Rifondazione comunista che, attraverso l'on Maria Lenti, ha fatto proprie le proposte unitarie dei sindacati confederali ed extraconfederali della docenza. Basti confrontare come ha fatto ottimamente il curatore del sito internet della Cgil università e ricerca www.snur-cgil.org) le diverse proposte emendative del centro destra e del centro sinistra per verificare una sostanziale convergenza su un disegno che mantiene e anzi rende più rigide le gerarchie, punta alla risoluzione del problema degli attuali circa 20.000 ricercatori attraverso lo svuotamento per vie naturali (pensionamento) di tale fascia nei prossimi quindici-vent'anni, mentre prevedono per il futuro forme diffuse di precariato attraverso contratti di ricerca e di docenza a termine. Anche i futuri professori ricercatori sarebbero a termine.

La città accademica resterà una città con varie categorie di cittadini e con diversi gradi di cittadinanza. Vorrei sbagliarmi, ma temo che ai giovani studiosi venga riservato nel mondo dell'università e della ricerca lo stesso destino degli extracomunitari nella città europee di oggi. Lavoro duro e precario per molti anni, per una minoranza di eletti l'assimilazione ai cittadini di serie A, ma solo quando saranno sufficientemente integrati da diventare gelosi difensori dei privilegi acquisti rispetto agli immigrati di seconda o terza generazione.

È possibile contrastare questo processo ? Forse sì, ma a condizione di comprenderne la pericolosità e di rompere l'indifferenza e l'apatia. È un dato positivo che almeno in questo settore da anni ci sia una vasta convergenza unitaria delle varie organizzazioni Mercoledi 5 luglio alle undici si riprende a manifestare sotto Montecitorio.

Presentazione del libro il 18 novembre, ore 15:30
Archivio del Lavoro, Via Breda 56 (Sesto San Giovanni).

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