Il Sole 24 ore: Gli ultimi regali
Non smentendo le loro encomiabili tradizioni di vigile presenza, i nostri autorevoli colleghi della Facoltà di giurisprudenza di Roma "La Sapienza" intervengono una volta di più contro il disegno di legge che istituisce la terza fascia del ruolo dei professori universitari.
Non smentendo le loro encomiabili tradizioni di vigile presenza, i nostri autorevoli colleghi della Facoltà di giurisprudenza di Roma "La Sapienza" intervengono una volta di più contro il disegno di legge che istituisce la terza fascia del ruolo dei professori universitari.
Non rifuggono dall'intervenire nemmeno in articulo mortis per un provvedimento che, tra l'altro, consentirebbe di mettere al riparo gli Statuti di autonomia dalle spericolate iniziative giudiziarie degli stessi autorevoli colleghi.
Evidentemente, il patto alla base dell'organizzazione di ciascun Ateneo non costituisce una delle " strutture portanti della nostra Università e, quindi, della nostra scienza", per parafrasare il nostro.
Sabino Cassese
Gli ultimi giorni di una legislatura sono pericolosi. I parlamentari si affrettano a far approvare provvedimenti che possano render loro in termini di voti. Il progetto di legge cosiddetto sulla terza fascia ne è un buon esempio. Il provvedimento è, all'apparenza, innocuo: prevede che i ricercatori universitari, conservando lo stesso stipendio, siano, per legge, collocati in una categoria di "professori ricercatori", denominata terza fascia del ruolo dei professori universitari, accanto alla prima (i professori ordinari) e alla seconda (i professori associati). All'apparenza, dunque, si tratta solo di un cambiamento di nome.
Nella realtà, però, il progetto di legge sulla cosiddetta terza fascia produrrebbe - se approvato - guasti certi e danni quasi sicuri. In primo luogo, il progetto fa discendere dalla nuova classificazione l'attribuzione ai ricercatori del diritto di partecipare agli organi accademici, in modo che la rappresentanza del personale docente sia assicurata "equilibratamente" alle tre cosiddette fasce. Due le conseguenze evidenti di tale disposizione. La prima che consigli di facoltà e altri organi, già oggi pletorici, saranno domani ingovernabili per l'alto numero di componenti. La seconda conseguenza è che negli organi delle università si consolideranno tre corporazioni. Invece di essere presenti per la funzione svolta, professori e ricercatori saranno presenti per il corpo di appartenenza. Ne deriverà una sindacalizzazione dell'università, un regime non diverso da quello precedente alla rivoluzione francese: il Parlamento era diviso per Stati, nobiltà, clero e borghesia. In secondo luogo, il progetto di legge fa discendere dalla nuova classificazione l'assegnazione dell'elettorato attivo per tutte le cariche accademiche. La conseguenza sarà che le elezioni dei rettori e dei presidi coinvolgerà, rispettivamente, migliaia e centinaia di persone. La selezione dei rettori e dei presidi avverrà, allora, secondo criteri partitici e sindacali, e premierà gli agitatori, non gli organizzatori o gli scienziati. Il terzo inconveniente derivante dal progetto di legge è un danno temuto. Collocare i ricercatori in una piramide unitaria di professori, ordinata per fasce, vuol dire rendere, domani, agevole eliminare le sottili linee di separazione, consentendo, senza concorso, il passaggio da una fascia all'altra per anzianità. Si avrebbe, così, una carriera universitaria nella quale si entrerebbe a 25-30 anni, procedendo, poi, senza verifiche, fino alla posizione di professore ordinario.
Ora, il mestiere di professore universitario è rimasto ancora un mestiere serio - nonostante un eccessivo allargamento - perché la selezione si svolge con prove successive, prolungate nel tempo, rimesse a commissioni diverse, che verificano capacità e produttività per un arco di tempo di almeno 15 anni (quanto, in generale, è necessario per passare i tre diversi esami di ricercatore, di professore associato e di professore ordinario). Se si eliminano queste verifiche (e gli incentivi che ne derivano), il sistema perderà le sue caratteristiche meritocratiche e degraderà in carriera burocratica. Se si toglierà ai giovani e brillanti ricercatori il diritto di concorrere, si finirà per assicurare a stanchi e improduttivi ricercatori il diritto di attendere una promozione per anzianità. A quest'ultima osservazione potrebbero esser rivolte due critiche, che vorrei confutare subito.
La prima è che, una volta giunti in cima, oggi non vi sono valutazioni istituzionalizzate: ebbene, questo è un buon motivo per introdurle lì, non per eliminarle nella progressione iniziale. La seconda è che il danno temuto è remoto: obietto che basta guardare quel che è successo nella magistratura con le due leggi Breganze e quel che sta accadendo con le leggi e i contratti Bassanini nel pubblico impiego, per rendersi conto che il pericolo è imminente.
Al progetto di legge che ho criticato si sta impegnando un ristretto manipolo di parlamentari, alcuni dei quali di notevole esperienza. Ma la lettura degli atti parlamentari dimostra l'estrema povertà del dibattito: vi si discute di categorie da soddisfare e di interessi da mediare. Nessuno che alzi lo sguardo da tali bassure e valuti l'effetto del progetto sulle singole facoltà, sulle strutture portanti della nostra Università e, quindi, della nostra scienza. Nessuno che si preoccupi di disegnare il futuro. Che tristezza!
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