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Forte preoccupazione per la situazione e le prospettive dell’università statale in Italia

Le organizzazioni sindacali e le associazioni universitarie con un documento unitario, rilanciano le loro proposte per un'Università Statale di qualità

07/07/2011
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Dopo un anno di scontro per impedire l’approvazione della legge Gelmini sulla riforma dell’Università e dopo mesi di confronto serrato in tutte le commissioni per mantenere forme di democrazia e di gestione partecipata nella redazione dei nuovi statuti dei singoli Atenei, le organizzazioni sindacali e le associazioni universitarie, rappresentanti i docenti, i tecnico-amministrativi, i precari e gli studenti, hanno deciso di rilanciare una proposta democratica generale, identificando i principi irrinunciabili sui quali non può che fondarsi la nuova università che vogliamo costruire, affinché diventi l’architrave dello sviluppo sociale e culturale del paese.
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ADI, ADU, AND, ANDU, APU, CISAL-Università,
CISL-Università, CONFSAL-SNALS-CISAPUNI, CoNPAss, CPU, FLC-CGIL, LINK,
RETE29Aprile, SUN, UDU, UGL-Università, UILPA-UR, USB-Pubblico impiego

Le organizzazioni sindacali e le associazioni universitarie, rappresentanti dei docenti, dei tecnico-amministrativi, dei precari e degli studenti, esprimono forte preoccupazione per la situazione dell’Università statale in Italia e per le sue prospettive.

Dopo la  formulazione del documento unitario “Per la democrazia negli statuti degli atenei italiani”, si deve constatare che le previsioni legate alle molte criticità della legge si stanno purtroppo realizzando.

Se da un lato il governo è in ritardo nell’emanazione dei previsti decreti attuativi – prolungando la paralisi di diversi aspetti delle attività universitarie – la redazione degli statuti nella maggior parte delle sedi non sta tenendo conto dei principi di partecipazione democratica evidenziati nel documento unitario.

In molte sedi le Commissioni (quasi mai individuate attraverso un’elezione dei componenti) non sembrano riuscire ad avere reale autonomia di manovra, in un processo che rimane guidato dagli establishment preesistenti. Nel complesso si delinea una Università fortemente verticistica e modellata – anche in seguito all’impronta della legge che  è del tutto evidente non migliora la situazione precedente e comprime ulteriormente gli spazi di libertà ed autonomia garantiti dalla Costituzione.

In questo quadro le organizzazioni e le associazioni universitarie ribadiscono alcuni principi irrinunciabili per l’Università statale, la quale deve operare per il bene comune, come motore fondamentale dello sviluppo sociale e culturale del Paese e deve restare, attraverso la formazione delle cittadine e dei cittadini, presidio di partecipazione consapevole alla vita politico-sociale della comunità.

Gestione democratica e partecipata degli atenei

Deve essere assicurata una reale e concreta partecipazione al governo degli Atenei di tutte le componenti della comunità universitaria.

Questo principio si realizza mediante componenti elettive nei Consigli di Amministrazione e nei Senati Accademici delle Università. Si deve evitare, allo stesso tempo, di snaturare la stessa logica partecipativa e collaborativa dei dipartimenti, come sta avvenendo affidando ad organismi ristretti ed elitari le principali scelte ad essi relative. Questo principio di gestione democratica e partecipata si realizza, altresì, con la partecipazione di tutte le componenti (docenti, tecnico-amministrativi, precari, studenti) all’elezione del Rettore, figura che, nel sistema previsto dalla legge 240/10 vede un enorme incremento dei propri poteri, e che dunque necessita di una larga legittimazione da parte della comunità dell’Ateneo. Si ritiene altresì fondamentale prevedere forme di consultazione collettiva nelle scelte più importanti per la comunità universitaria e, in particolare, nella definizione degli Statuti.

Autonomia e indipendenza della ricerca e della didattica

La libertà della ricerca e della didattica – costituzionalmente tutelata – è il principio cardine sul quale poggia l’intera istituzione universitaria. Questa libertà deve essere effettivamente garantita mediante una ricerca e una didattica autonome e indipendenti. Pensare di asservire l’Università alle necessità attuali e contingenti del mercato, senza tenere conto del bilancio sociale e arrivando a comprimere ricerca e didattica, è non solo concettualmente sbagliato ma anche controproducente. E’ attraverso ricerca e didattica libere che si dipana la possibilità di innovazione e di crescita culturale del Paese, condizioni imprescindibili per il progresso sociale e lo sviluppo economico.

Per questi motivi occorre sviluppare armonicamente la ricerca di base e applicata. E’ inoltre necessario ripensare una didattica che sia di qualità e accessibile a tutti, senza sbarramenti all’ingresso, valorizzando la qualità della formazione che non può essere ridotta all’adempimento di meri obblighi formali/burocratici. 

Precarietà

E’ necessario affrontare da subito l’esplosivo fenomeno della crescente precarietà nel settore dell’alta formazione. La situazione è aggravata dalla progressiva riduzione dei fondi e dall’espulsione degli attuali precari con il rischio della definitiva distruzione di un indispensabile patrimonio di competenza e di conoscenza, che altri e più lungimiranti Paesi si sono dimostrati pronti a utilizzare. Il sistema universitario ha bisogno di nuove intelligenze capaci di rinnovarlo e di garantire quella dimensione internazionale che tutti riconoscono come fondamentale.

E’ necessario non smantellare il sistema universitario: piuttosto occorre investire in esso per mantenere l’Italia fra i paesi più sviluppati, tenendo fede agli impegni presi in ambito europeo.

Per questo occorrono impegni concreti, tra cui, in particolare, la possibilità di reinvestire nel sistema universitario tutte le risorse che si renderanno disponibili dai pensionamenti, destinando oltre la metà di esse all’ingresso in ruolo degli attuali precari, che da anni già contribuiscono alle attività tecnico-amministrative, di formazione e di ricerca, spesso senza alcuna garanzia di tutela della titolarità del lavoro svolto e della produzione scientifica. Alle varie sedi universitarie, cui la legge affida la procedura di reclutamento attraverso regolamenti locali, spetta il compito di prevedere modalità che privilegino la trasparenza e che mettano al centro l’effettiva competenza dei candidati, nella prospettiva di un disegno culturale di medio-lungo termine che ogni Ateneo dovrebbe esplicitare per poter effettuare scelte coerenti.

Diritto allo studio

Il diritto allo studio, tutelato dalla Costituzione, non può ridursi a mera formulazione di principio ma deve assumere forme concrete. In questo senso risulta paradossale il taglio del 95%  al fondo nazionale che di fatto cancella il diritto allo studio e il sistema di servizi e borse di studio che ancora ad oggi supporta migliaia di studenti capaci e meritevoli, ma privi di mezzi. Dalla previsioni legislative non emerge alcun ripensamento che miri ad ampliare il sistema diritto allo studio, come pure accaduto in altri Paesi, ma si mira invece a trasformare in strumenti di indebitamento quello che dovrebbe essere una componente essenziale del welfare per gli studenti. Il principio dell’indebitamento si contrappone profondamente alla concezione dell’accesso al sapere non come costo, ma come investimento nella crescita e nello sviluppo del nostro paese, nonché come fattore principale della mobilità sociale. Inoltre il fondo per il merito e gli altri interventi che mirano a valorizzare esclusivamente i risultati accademici dello studente, prescindendo dalle sue condizioni economiche, non si possono configurare come interventi tesi a garantire il diritto allo studio, ma è necessario vincolare la ripartizione delle scarse risorse disponibili per garantire la parità d’accesso a tutti gli studenti. Su questo occorre che le istituzioni nazionali, assieme a quelle locali, si attivino per sostenere coloro che desiderano giungere ad una laurea per migliorare la propria formazione.

Le Università non devono in alcun modo sfruttare l’autonomia per una corsa a rialzo sulla tassazione studentesca, ma, soprattutto in un momento di forte definanziamento del sistema universitario, è necessario garantire in primis gli studenti, non facendo gravare su di loro il peso dei tagli. In questo contesto risulta prioritario ripensare e ampliare i diritti essenziali del welfare studentesco, garantendo da un lato la copertura totale delle borse di studio e dei servizi per tutti gli studenti idonei, dall’altro sviluppando nuove politiche sulle residenze studentesche e sostegni all’affitto, mense universitarie, trasporti, accesso alla cultura e assistenza sanitaria in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale.

Finanziamento del sistema universitario

L’Università statale italiana non può più continuare ad offrire il proprio fondamentale contributo alla comunità in una prospettiva di continuo definanziamento. Ora che la riforma è stata varata, il livello di finanziamento – attualizzato – deve essere almeno riportato a quel che era prima dei recenti tagli Il finanziamento deve tener conto delle legittime aspettative di carriera e dai contratti; gli atenei debbono essere messi in condizione di poter redigere dei piani strategici pluriennali di ricerca e di formazione potendo contare su risorse certe, nell’ambito di un processo di valutazione continua e rigorosa del loro operato scientifico. E’ necessario che le istituzioni centrali prevedano un investimento di medio-lungo periodo nel sistema universitario. Investimento che, particolarmente in condizioni di crisi economica – come hanno dimostrato anche le accorte politiche di altri paesi europei come la Germania –, è fondamentale se si vuole riavviare lo sviluppo.

L’attuale situazione del finanziamento universitario è assolutamente insostenibile: lo è il fatto che, da alcuni anni a questa parte, la sua entità sia sistematicamente prevista al di sotto di quella necessaria a retribuire i lavoratori, salvo prevedere variazioni dell’ultimo momento – in seguito a contrattazioni non sempre trasparenti con gli establishment attuali – appena sufficienti per mantenere in vita un anno di più il sistema universitario statale. In queste condizioni, in cui nulla è possibile – non la pianificazione, certo non la ricerca scientifica particolarmente innovativa e neppure la gestione delle semplici attività routinarie – il sistema non può che implodere, generando continui conflitti alla ricerca di una sterile sopravvivenza da ottenere, alla bisogna, anche attraverso la compressione dei diritti di chi nel sistema lavora e dovrebbe operare essendo valorizzato e coinvolto. Non marginalizzato e demotivato. E’ in questa prospettiva che – segnaliamo – non è più possibile immaginare di procedere a vista, magari puntando tutto sul volontariato dei docenti, siano essi professori ordinari, associati o ricercatori, o dei precari della ricerca e della didattica o ancora del personale tecnico amministrativo. Oppure sulla tolleranza degli studenti, contando sul fatto che possano per un anno ancora considerare normale e fisiologica una ormai cronica penuria di servizi causata dai continui tagli. Questa continua riduzione del finanziamento all’Università statale non fa che mettere, in modo assolutamente miope, diverse generazioni in condizione di marcata disparità rispetto ai coetanei di altri Paesi europei in competizione con il nostro. Si tratta di una disparità e di una miopia che, se non si modifica la rotta, l’intero Paese pagherà a caro prezzo, nel prossimo futuro.

Pubblico e privato

Non si può immaginare di affidare il sistema dell’alta formazione italiana al settore privato, che ha già dimostrato di non garantire livelli adeguati di qualità. Non è accettabile la progressiva contrazione dei finanziamenti all’università statale, né la delega al settore privato della gestione delle risorse statali, come lasciano intravedere la previsione legislativa del nuovo “modello” di CdA e il crescente interesse alla costituzione di fondazioni. E, in questo quadro, neppure è condivisibile – come abbiamo avuto occasione di dire in una recente audizione sul tema in Senato – l’ipotesi di abolizione del valore legale del diploma di laurea, che delegherebbe al “mercato” funzioni di natura e di interesse pubblici.

Soltanto lo Stato può essere garante di un sistema di ricerca e di alta formazione che sia effettivamente al servizio della crescita culturale del Paese. In questa prospettiva, mentre vanno certamente incentivate tutte le forme di leale e proficua collaborazione tra pubblico e privato, ci appare fondamentale garantire un sistema che funzioni avendo come guida l’interesse collettivo (gestione democratica e partecipata) e non oligarchico-baronale; un sistema nel quale la libertà di ricerca e di didattica vengano garantite e tutelate, anche trasformando finalmente la precarietà in stabile e proficuo impegno per l’istituzione; solo lo Stato può investire sulla propria cittadinanza rendendo effettivo il diritto allo studio, ed è allo Stato, quindi, che spetta – nell’interesse collettivo – il compito di definire questo investimento non come aspetto secondario e come un “problema di costi”, ma come priorità. Il ruolo centrale dello Stato è peraltro conseguente agli impegni assunti in sede europea.

Per discutere su tutte queste questioni saranno indette unitariamente negli Atenei Assemblee di tutte le componenti.

Nonno, cos'è il sindacato?

Presentazione del libro il 5 novembre
al Centro Binaria di Torino, ore 18.

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