Ancora prove e test truccati all’Università
Le indagini della Magistratura e della Guardia di Finanza svelano l’esistenza di reti organizzate per lucrare sui test di ammissione a Medicina
La scoperta da parte della Magistratura e della Guardia di Finanza di prove certe, o addirittura di flagranza di reato, nei test di ammissione alla Facoltà di Medicina in 4 Atenei, con molte persone denunciate, interne ed esterne a tali Università, rappresenta un duro colpo all’immagine degli Atenei italiani. Per un verso viene spontaneo chiedersi quanto sia ormai esteso e radicato il malcostume, negli esami e nei concorsi, e quanto ciò che è accaduto riveli un inquinamento ambientale fatto di collusioni, indifferenza al merito, complicità e scambi di favori, che negli episodi odierni giunge fino all’organizzazione di associazioni a delinquere, nate per estorcere migliaia di euro ai giovani aspiranti all’iscrizione a e alle loro famiglie. Questi episodi generano oggettivamente un clima di sfiducia nella capacità delle istituzioni universitarie di controllare quanto avviene al loro interno, e di porsi come riferimento autorevole di imparzialità e correttezza; e tutto ciò nonostante gli sforzi di assicurare le condizioni per un equilibrato svolgimento delle prove, come pare sia avvenuto a Bari ad opera del Rettore.E’ inquietante immaginare che una professione delicata come quella del medico venga svolta da persone che si sono formate attraverso prove ed esami inquinati, senza la necessaria competenza; il problema certo non riguarda solo Medicina, ma in tale campo è particolarmente grave, vista la crucialità della funzione professionale.
Per altro verso, l’accaduto interroga senza mediazioni il sistema universitario italiano e il suo governo interno: l’Università, come qualsiasi settore della società, ha al proprio interno mele sane e mele marce, in proporzione variabile.Compito delle regole e degli strumenti digoverno è impedire che i comportamenti malsani restino impuniti e, peggio,diventino pratica diffusa.I ripetuti allarmi degli ultimi anni pongono alla comunità universitaria una domanda non eludibile: è in grado l’autogoverno, nelle forme attuali o con gli opportuni correttivi, di costruire gli anticorpi sufficienti a ripristinare una condizione di “normalità” diffusa, tale da proiettare l’immagine di un’Università che offre opportunità, riconosce il merito, assicura una formazione di qualità?O la “normalità”, in certe aree, la può assicurare solo la Magistratura?La domanda è volutamente provocatoria, perché noi siamo convinti sostenitori del valore dell’autogoverno; ma è palese, oggi, che occorrono regole più stringenti, più valutazione della qualità, un maggiore controllo sulla discrezionalità dell’operare.
Le regole, tuttavia, e le architetture istituzionali, rappresentano solo uno deiversanti del problema: non c’è regola formale che non possa essere aggirata o ignorata se il suo rispetto non è garantito e presidiato da una volontà diffusa della comunità universitaria; se, in altre parole, alle regole non si accompagna la ripresa diffusa di un’etica dell’istituzione e della professione.Per questo sulla comunità universitaria intera grava l’onere di testimoniare quotidianamente, nei comportamenti concreti, la volontà di affermare le buone pratiche e di sconfiggere quelle cattive, operando negli organi di governo in modo conseguente, anche con il coraggio di rompere silenzi e indifferenze.Solo così, con buone regole e buone pratiche, può emergere il tessuto diffuso dei tanti che ogni giorno, onestamente e senza clamore, e siamo certi che siano la maggioranza, tengono in piedi l’Università italiana, nonostante la scarsità di fondi, di personale, di dotazioni.
Ma quanto è accaduto e accade interroga anche la politica, e chi ha l’onere di costruire le condizioni perché l’Università possa operare con trasparenza ed efficacia, e cioè il Ministero ed il Governo. Non c’è solo, nell’immediato, una questione di controllo di sistema e di sanzionamento esemplare delle pratiche corrotte; c’è visibilmente la necessità di produrre correttivi normativi stringenti, e al tempo stesso tali da incoraggiare negli Atenei e nella comunità accademica il senso dell’istituzione e l’orgoglio della sua identità.Le politiche degli ultimi anni hanno operato esattamente all’opposto, alimentando frustrazione e sfiducia, generando indifferenza crescente e svalorizzando il lavoro nell’Università pubblica.Siamo in grande ritardo rispetto all’urgenza dei problemi: il tempo è finito, ed è ora di passare dalle parole ai fatti.
Roma, 11 settembre 2007
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