Rinviata – e’ la seconda volta – la legge Frattini alla consulta
Una seconda Ordinanza (la prima è del 1 aprile) di un altro Giudice del Lavoro a Roma rinvia la legge Frattini, la legge dello spoils system, alla Corte Costituzionale.
Una seconda Ordinanza ( la prima è del 1 aprile) di un altro Giudice del Lavoro a Roma rinvia la legge Frattini, la legge dello spoils system, alla Corte Costituzionale. Un Dirigente Generale rimosso, a seguito della Legge 145/2002, a metà del proprio incarico si è rivolto al Giudice del Lavoro argomentando che la legge citata, attraverso la riduzione dell’incarico e l’eliminazione di una durata minima dell’incarico stesso, avrebbe realizzato una sostanziale sudditanza al potere politico. L’innovazione normativa, secondo il ricorrente, avrebbe prodotto quattro effetti negativi che vale la pena di riportare: precarizzazionee fidelizzazione della Dirigenza; possibile espansione di tale rischio ai livelli inferiori della Dirigenza; attribuzione impropria al Ministro di sostanziali poteri gestionali senza correlativa responsabilità; indebita estensione alla maggioranza parlamentare della funzione pubblica neutrale che è invece propria della dirigenza.
Interessanti le motivazioni del Giudice nel rinviare alla Consulta la Legge Frattini, con riferimento ad un numero impressionante di articoli della Costituzione: artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36, 70, 97, 98.
La Legge Frattini “apre di fatto la possibilità per l’Amministrazione di revocare gli incarichi in modo affatto arbitrario all’ipotizzabile fine di redistribuirli a dirigenti ritenuti più affidabili dal punto di vista della consonanza politica”. Inoltre, a causa di questa norma i dirigenti sarebbero “portati alla ricerca di un improprio “gradimento” politico più che all’imparziale gestione”. Il vincolo fiduciario che così si stabilisce “appare inammissibile”.
Anche la tesi del ricorrente sul trasferimento al potere politico di un potere gestionale senza responsabilità è accettata dal Giudice che dice “ Il Ministro consegue di fatto un’impropria potestà gestionale, non prevista dalla legge ed anzi non bilanciata dalle correlative responsabilità”.
Estremamente interessante appare poi l’argomentazione del Giudice sulla violazione delle garanzie del dirigente che per la brevità degli incarichi non è valutato e può essere rimosso ad nutum. Ma, ancor di più, il Giudice individua la centralità del Contrattoladdove sostiene che “pare sussistere una lesione del generale principio di affidamento sulla stabilità dei Contratti …………….ove il datore di lavoro pubblico possa porre nel nulla i contratti di cui è parte mediante una legge, così utilizzando lo strumento legislativo ovvero contrattuale secondo convenienza, mentre il lavoratore rimane privo di qualsiasi tutela”.
Ribadiamo, anche alla luce di queste autorevoli considerazioni giuridiche, che si aggiungono a quelle della precedente Ordinanza, che la Legge Frattini ha creato un vulnus serio all’imparzialità dell’Amministrazione con conseguenze gravi (per l’unilateralità dell’incarico, per la sua durata arbitraria) anche sull’autonomia del Dirigente Scolastico. E l’intera questione non può non avere riflessi, come abbiamo sempre affermato richiedendo il ritiro della CM 49/2003 del MIUR, anche sulla valutazione del Dirigente Scolastico.
Roma 10 5 2004
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testo seconda ordinanza
TRIBUNALE DI ROMA
Sezione I Lavoro
nella persona del Giudice ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nella causa in primo grado iscritta al n. 213387 del Ruolo generale affari contenziosi dell’anno 2003, vertente
TRA
…………….., elettivamente domiciliata in Roma, via ……………………..rappresenta e difende per procura in atti
RICORRENTE
E
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI, in persona del Ministro pro tempore, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, e DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato che li rappresenta e difende ex lege
CONVENUTI
NONCHE’
domiciliato in Roma, ………………., presso lo studio ………………………
CONVENUTO – CONTROINTERESSATO
OGGETTO: mansione e ius variandi – dequalificazione da spoils system – ripristino incarico equivalente a direttore generale – risarcimento danni.
IL GIUDICE
visti gli atti del giudizio;
sentite le parti in udienza;
considerato quanto segue.
1. Si riepilogano preliminarmente i fatti di causa, sì come emergenti dagli scritti defensionali, ai fini della ricognizione dell’oggetto del giudizio.
1.1. Con ricorso depositato il 10.6.2003 espone: di aver ricoperto l’incarico di capo del dipartimento dello spettacolo del Ministero per i beni e le attività culturali dal 9.7.1999; di aver successivamente sottoscritto il 1°.3.2001 contratto a tempo determinato ai sensi dell’art. 19 d.lgs. 3.2.1993, n. 29 di conferimento di un incarico di direzione di un ufficio di livello dirigenziale (direttore della direzione generale per il cinema) per la durata di cinque anni; di aver espletato l’incarico in modo ampiamente positivo, senza ricevere contestazioni in ordine all’inosservanza di direttive generali del Ministro o ai risultati raggiunti; di essere stata inserita in commissioni e di aver svolto incarichi in rappresentanza dell’amministrazione; che peraltro in corso di rapporto è entrata in vigore la l. 15.7.2002, n. 145, il cui art. 3, co. 7, ha introdotto una disciplina transitoria ed altre disposizioni in materia di incarichi di funzioni dirigenziali a modifica dell’art. 19 d.lgs. 30.3.2001, n. 165; che con nota prot. n. 12570 del 19.9.2002 il Ministero per i beni e le attività culturali le ha comunicato la decadenza dall’incarico ricoperto ex art. 3, co. 7, l. n. 145/2002 e l’avvio del procedimento di attribuzione di un incarico di studio per la durata di un anno, peraltro senza motivazione; di aver poi sottoscritto con riserva il contratto del 2.10.2002 relativo all’incarico di studio; che in pari data, con nota prot. n. 13091, l’amministrazione ha proposto l’attribuzione dell’incarico di direttore della direzione generale per il cinema a…….che inoltre l’amministrazione ha illegittimamente attribuito tutti gli altri incarichi per i restanti posti di funzione dirigenziale di livello equivalente, sicché la ricorrente è rimasta esclusa da tali attribuzioni; che nel corso dell’espletamento dell’incarico di studio non le sono state fornite indicazioni ai fini della definizione dello stesso e che, nondimeno, ha predisposto un rapporto di studio provvisorio inviato all’amministrazione, ma rimasto senza riscontro.
1.2. Ciò posto, la …….. ha dedotto l’incostituzionalità dell’art. 3, co. 7, l. n. 145/2002.
Ha premesso al riguardo: che la disciplina della l. n. 145/2002, pur ribadendo talune scelte strutturali operate dal precedente d.lgs. n. 80/1998, comporterebbe una drastica rottura rispetto al regime precedente con riferimento alla durata degli incarichi, laddove ne riduce la durata massima e – soprattutto – non prevede più una durata minima dell’incarico; che in tal modo la l. n. 145/2002 avrebbe realizzato una sostanziale sudditanza del dirigente rispetto al potere politico, posto che l’incarico di pochi mesi non consentirebbe valutazione alcuna; che da ciò conseguirebbe necessariamente il conferimento ad personam, affatto fiduciario, dell’incarico malgrado il disposto dell’art. 19 d.lgs. n. 165/2001, vecchia e nuova versione; che tale innovazione normativa indurrebbe quattro effetti negativi: il primo, di c.d. precarizzazione e fidelizzazione della dirigenza; il secondo, di possibile espansione di tale meccanismo fiduciario ai livelli inferiori e non dirigenziali; il terzo, di impropria restituzione al Ministro di poteri sostanzialmente gestionali senza la correlativa responsabilità (amministrativa, contabile e penale), comunque formalmente dirigenziale; il quarto, infine, di un’indebita estensione dei poteri della maggioranza parlamentare alla funzione pubblica neutrale rappresentata dalla dirigenza. Argomenta altresì che solo per gli incarichi di funzione dirigenziale generale – automaticamente cessati al sessantesimo giorno dall’entrata in vigore della l. n. 145/2002 (cioè il 7.10.2002) – si determinerebbe un integrale ed improprio sistema di spoils system, consentendosi soltanto al Governo in carica, ma non anche a quelli successivi, di nominare quali dirigenti generali persone di fiducia al posto di quelle in carica in virtù di assegnazioni effettuate dal Governo precedente.
Ha svolto, pertanto, le seguenti censure di incostituzionalità all’art. 3, co. 7, l. n. 145/2002:
1) violazione dell’art. 3 cost. per irragionevolezza. Parte ricorrente ritiene la norma transitoria intimamente contraddittoria poiché o i dirigenti generali hanno la stessa natura contigua al potere politico al pari dei segretari generali dei Ministeri e dei capi dipartimento (ed allora lo spoils system dovrebbe essere garantito a tutti i Governi), oppure la dirigenza generale, come quella di secondo livello, partecipa alle funzioni di gestione e non anche di indirizzo politico (ed allora non si comprenderebbe perché la prima è sottoposta a spoils system una tantum e non la seconda);
2) violazione degli artt. 3, 4, 35 e 97 cost. per deroga ingiustificata al principio di stabilità dei contratti individuali di lavoro. La norma censurata disciplinerebbe un illegittimo meccanismo di destituzione automatica del dirigente a prescindere da ogni valutazione delle attitudini e delle capacità professionali, nonché del raggiungimento degli obiettivi prefissati, senza previsione di motivazione circa la cessazione dall’incarico, talché i dirigenti generali non potrebbero riporre affidamento nel contratto stipulato con l’amministrazione e subirebbero un trattamento deteriore rispetto a quello generalmente riservato agli lavoratori, pubblici e privati. In sostanza, posto che l’ordinamento non prevede in genere la recedibilità ad nutum dai contratti individuali di lavoro, nel caso in esame la rimozione del dirigente avverrebbe in carenza di motivazione, senza garanzia procedimentale o di contraddittorio;
3) violazione del diritto alla personalità professionale (artt. 1, 2, 3 e 4 cost.). Tale diritto sarebbe riconosciuto ai dirigenti privati e negato, con la norma de qua, a quelli pubblici in virtù del percorso discendente dalle (concrete) funzioni precedenti all’incarico di studio (sostanzialmente privo di contenuti) fino alla messa in disponibilità del dirigente. Inoltre, l’incarico di studio non sarebbe rapportabile a quello previsto dall’art. 19 d.lgs. n. 165/2001 nuovo testo in via istituzionale e permanente, quale incarico inserito nella programmazione annuale, fornito di supporto personale e materiale, valido per la progressione in carriera;
4) violazione del diritto all’affidamento del cittadino (art. 3 cost.). La norma censurata inciderebbe indebitamente su rapporti contrattuali liberamente stretti dalle parti;
5) violazione degli artt. 97 e 98 cost. in relazione all’effetto di c.d. fidelizzazione di fatto del dirigente al Governo in carica. Detto effetto sarebbe indotto dal meccanismo di decadenza automatica dagli incarichi e dalla loro durata breve, con conseguente abbattimento di ogni garanzia di autonomia del dirigente, al quale non sarebbe consentito un esercizio imparziale dei compiti e quindi di assicurare l’imparzialità dell’azione amministrativa. Inoltre, sarebbe annullata ogni distinzione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e attività gestionale;
6) eccesso di potere legislativo (artt. 70 e 97 cost.). Il Parlamento avrebbe adottato, nella specie, una legge con effetti propri di un atto amministrativo, per giunta incidente su un ambito tipicamente riservato all’autonomia privata quale quello contrattuale.
1.3. Argomentato ulteriormente per l’illegittimità (anche a prescindere dal giudizio di costituzionalità dell’art. 3, co. 7, l. n. 145/2002) della mancata attribuzione di un incarico equivalente per carenza di istruttoria, di valutazione comparativa e di motivazione in ordine alle attitudini ed alla capacità professionale, la ricorrente, premesse ulteriori notazioni in punto di conseguenze patrimoniali e risarcitorie per il lamentato danno da demansionamento, ha concluso in via principale chiedendo ordinarsi al Ministro per i beni e le attività culturali di ripristinarla nelle originarie funzioni di direttore della direzione generale per il cinema fino al 31.12.2006 e, in via subordinata, per l’attribuzione di altro incarico equivalente, con condanna in ogni caso alla corresponsione della retribuzione originariamente pattuita ed al risarcimento dei danni da demansionamento, da perdita di chance, nonché da lesione della reputazione personale, del prestigio e della dignità professionale.
1.4. Con comparsa di risposta depositata il 26.11.2003 si sono costituite le amministrazioni convenute deducendo: che in sede cautelare ante causam era stata ritenuta la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale; che la circolare del Dipartimento della funzione pubblica del 31.7.2002 ha enfatizzato la connotazione provvedimentale del conferimento dell’incarico dirigenziale nel nuovo assetto ordinamentale della dirigenza, marginalizzando il contratto come meramente accessivo; che la ratio della disciplina transitoria di cui all’art. 3, co. 7, l. n. 145/2002 risiederebbe nella finalità di rendere applicabili le nuove disposizioni – e specificamente quelle in tema di conferimento di incarichi – anche ai rapporti in essere; che la ristrettezza dei termini previsti dall’art. 3, co. 7, l. n. 145/2002 consentirebbe forme semplificate di comunicazione partecipativa, come riportato nella circolare menzionata; che, sempre sulla scorta della circolare menzionata, non sussisterebbe nessuna prelazione del dirigente cessato dall’incarico sui posti vacanti alla data di entrata in vigore della legge, dovendo provvedersi ad una complessiva e contestuale valutazione della tipologia degli incarichi da conferire; che alla ……… era stata comunicata, con nota prot. n. 13165 del 2.10.2002, l’impossibilità di attribuirle un incarico di livello retributivo equivalente al precedente per carenza di disponibilità di idonei posti di funzione verificata all’esito delle altre assegnazioni agli uffici di livello dirigenziale generale; che l’amministrazione sarebbe tenuta ad una valutazione dei possibili incarichi da attribuire ai dirigenti non confermati, ex post, successivamente cioè alla definizione dell’assetto delle altre assegnazioni agli uffici di livello dirigenziale; che il conferimento dell’incarico presupporrebbe “da un lato, la valutazione da parte dell’Amministrazione della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente e, dall’altro, la sussistenza del carattere fiduciario del rapporto tra dirigente e apparato politico”; che, inoltre, “il dirigente cessato dall’incarico non può sostituirsi all’apparato politico nella valutazione della tipologia e della natura dell’incarico da attribuire: per tale ragione non può essere condiviso l’assunto della ricorrente in base al quale la medesima sarebbe stata illegittimamente pretermessa nel proprio incarico a favore di altro dirigente” (il controinteressato ………); che, in definitiva, alla ………… era stato revocato l’incarico per ragioni strettamente fiduciarie e senza necessità di motivazione, mentre alla stessa non era stato conferito l’incarico equivalente per la carenza di disponibilità di idonei posti di funzione, verificata all’esito delle altre assegnazioni agli uffici di livello dirigenziale generale, “per una ragione, dunque, puramente oggettiva, non determinata da una valutazione delle capacità e dell’esperienza professionale”, sicché tra l’altro doveva ritenersi inconferente la richiesta della ricorrente volta ad una valutazione comparativa del suo curriculumvitae con quello del …….. Quanto alle domande risarcitorie l’Avvocatura ha poi dedotto che con nota prot. n. 9436 del 29.10.2003 era stato conferito alla ……… un nuovo incarico di studio della durata di un anno ai sensi dell’art. 19, co. 10, d.lgs. n. 165/2001, sicché nella specie doveva ritenersi insussistente il demansionamento. Ha quindi concluso per il rigetto del ricorso.
1.5. Con memoria depositata il 20.11.2003 si è costituito ………. contestando partitamente le deduzioni di controparte in punto di incostituzionalità dell’art. 3, co. 7, l. n. 145/2002. Ha in ogni caso argomentato nel senso della sussistenza, nella specie, di pura ed insindacabile discrezionalità legislativa e che la ratio legis sarebbe quella di affidare gli incarichi dirigenziali anche sulla base di un consapevole intuitus personae, volendosi ricondurre la discrezionalità relativa all’affidamento degli incarichi ad un parametro di riferimento rappresentato dall’individuazione degli obiettivi e dei programmi per la cui attuazione si rende necessaria l’attribuzione di ciascuna funzione dirigenziale, con connessa garanzia di maggiore economicità ed efficacia all’azione amministrativa. Ha quindi sostenuto che l’incarico dirigenziale gli era stato affidato proprio in attuazione di siffatta esigenza. Inoltre, il conferimento in suo favore dell’incarico dirigenziale, motivato sulla base della sua provenienza dal mondo dell’imprenditoria privata, non avrebbe comportato nessun disconoscimento dei meriti della …….., meriti che comunque non sono stati – né dovevano essere, secondo il convenuto – presi in considerazione. Concludeva per la reiezione del ricorso.
2. Appare opportuno ripercorrere i dati positivi oggetto di verifica di costituzionalità.
2.1. L’art. 3, co. 7, l. n. 145/2002, specificamente censurato da parte ricorrente, dispone: “Fermo restando il numero complessivo degli incarichi attribuibili, le disposizioni di cui al presente articolo trovano immediata applicazione relativamente agli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale e a quelli di direttore generale degli enti pubblici vigilati dallo Stato ove è prevista tale figura. I predetti incarichi cessano il sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della presente legge, esercitando i titolari degli stessi in tale periodo esclusivamente le attività di ordinaria amministrazione. Fermo restando il numero complessivo degli incarichi attribuibili, per gli incarichi di funzione dirigenziale di livello non generale, può procedersi, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, all’attribuzione di incarichi ai sensi delle disposizioni di cui al presente articolo, secondo il criterio della rotazione degli stessi e le connesse procedure previste dagli articoli 13 e 35 del contratto collettivo nazionale di lavoro per il quadriennio 1998-2001 del personale dirigente dell’Area 1. Decorso tale termine, gli incarichi si intendono confermati, ove nessun provvedimento sia stato adottato. In sede di prima applicazione dell’art. 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dal comma 1 del presente articolo, ai dirigenti ai quali non sia riattribuito l’incarico in precedenza svolto è conferito un incarico di livello retributivo equivalente al precedente. Ove ciò non sia possibile, per carenza di disponibilità di idonei posti di funzione o per la mancanza di specifiche qualità professionali, al dirigente è attribuito un incarico di studio, con il mantenimento del precedente trattamento economico, di durata non superiore ad un anno. La relativa maggiore spesa è compensata rendendo indisponibile, ai fini del conferimento, un numero di incarichi di funzione dirigenziale equivalente sul piano finanziario, tenendo conto prioritariamente dei posti vacanti presso l’amministrazione che conferisce l’incarico”.
2.2. La l. n. 145/2002, considerata nel suo complesso, reca indubbie novità nella disciplina degli incarichi di funzioni dirigenziali posta dall’art. 19 d.lgs. n. 165/2001 (già art. 19 d.lgs. n. 29/1993).
In sintesi, e per quel che qui interessa, nel previgente sistema si stabiliva: le cessazione degli incarichi dirigenziali esistenti, da confermarsi entro novanta giorni (secondo la previsione transitoria dell’art. 8, co. 2, d.P.R. n. 150/1999); la conferma, revoca, modifica o rinnovo dei più alti incarichi dirigenziali (segretari generali dei ministeri e capi di dipartimento) entro novanta giorni dal voto di fiducia al Governo; la predeterminazione della durata di tutti gli incarichi dirigenziali per non meno di due e non più di sette anni; la possibilità di nominare esterni quali dirigenti, anche generali, nella percentuale del 5 per cento dei posti di ciascuna fascia dirigenziale.
Il nuovo testo dell’art. 19 d.lgs. n. 165/2001, come modificato dall’art. 3 l. n. 145/2002, stabilisce ora: la cessazione degli incarichi di direttore generale, da attribuirsi ex novo, eventualmente allo stesso titolare; la conferma degli incarichi dirigenziali non generali in atto, se non attribuiti ad altri entro novanta giorni; la cessazione degli incarichi di segretario generale e di capo dipartimento dopo novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo; la temporaneità della durata di tutti gli incarichi dirigenziali nel massimo per tre anni (dirigenti generali) e cinque (per quelli di livello non generale), ma senza predeterminazione della durata minima (nuovo testo dell’art. 19, co. 2, d.lgs. n. 165/2001, come modificato dall’art. 3, co. 1, lettera b), l. n. 145/2002); la possibilità della nomina di esterni quali dirigenti generali (nel limite del 10 per cento dei posti) e quali dirigenti (nel limite dell’8 per cento). Non può poi mancarsi di richiamare la spinta marginalizzazione del contratto individuale di lavoro, accessivo al provvedimento amministrativo di conferimento dell’incarico dirigenziale (individuante l’oggetto, gli obiettivi e la durata dell’incarico), contratto che, a seguito della l. n. 145/2002 (art. 3, co. 1, lettera b), cit.), definisce ormai il solo trattamento economico del dirigente.
Ciò posto, giova notare che entrambe le discipline prevedono un effetto di sostanziale azzeramento degli incarichi dirigenziali per la fase di prima applicazione (ciò che parte ricorrente qualifica come spoils system una tantum).
Elemento di continuità dell’assetto della dirigenza è poi costituito dal permanere, anche con la l. n. 145/2002, dei due fondamentali caratteri della temporaneità degli incarichi e dell’assegnazione degli stessi a seconda della valutazione degli obiettivi e dei risultati raggiunti dal dirigente.
Nondimeno, la differenza significativa tra le due discipline sembra risiedere nell’abbassamento della soglia temporale di durata massima degli incarichi dirigenziali, nonché, soprattutto, nella mancata previsione della durata minima degli incarichi (prima biennale ed ora possibile eventualmente per periodi temporali molto limitati, inferiori all’anno; in ipotesi anche per un solo mese).
2.3. Circa il profilo della durata massima dell’incarico dirigenziale, il co. 1, lettera b), dell’art. 3 l. n. 145/2002 riformula l’art. 19, co. 2, d.lgs. n. 165/2001 nei seguenti termini testuali: ”Tutti gli incarichi di funzione dirigenziale nelle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, sono conferiti secondo le disposizioni del presente articolo. Con il provvedimento di conferimento dell’incarico, ovvero con separato provvedimento del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro competente per gli incarichi di cui al comma 3, sono individuati l’oggetto dell’incarico e gli obiettivi da conseguire, con riferimento alle priorità, ai piani e ai programmi definiti dall’organo di vertice nei propri atti di indirizzo e alle eventuali modifiche degli stessi che intervengano nel corso del rapporto, nonché la durata dell’incarico, che deve essere correlata agli obiettivi prefissati e che, comunque, non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre anni e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale, il termine di cinque anni. Gli incarichi sono rinnovabili. Al provvedimento di conferimento dell’incarico accede un contratto individuale con cui è definito il corrispondente trattamento economico, nel rispetto dei principi definiti dall’articolo 24. E’ sempre ammessa la risoluzione consensuale del rapporto”.
In relazione all’assenza della predeterminazione della durata minima dell’incarico dirigenziale un’opzione ermeneutica, in qualche modo adeguatrice, potrebbe essere quella di ancorare la durata minima dell’incarico alla scadenza annuale prevista per l’adozione da parte del Ministro degli atti di indirizzo politico-amministrativo di cui all’art. 14 d.lgs. n. 165/2001. Una siffatta opzione, peraltro, appare fortemente controvertibile in quanto sfornita di base testuale.
2.4. In epoca anteriore all’emanazione della l. n. 145/2002, il Tribunale amministrativo regionale per la Regione Lazio, con ordinanza 21.6.2000, n. 676, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, co. 4, lett. a), secondo periodo, l. 15.3.1997, n. 59 e degli artt. 15, co. 1, 19, 21, 23 e 24, co. 2, d.lgs. n. 29/1993, nel testo risultante dalle modificazioni apportate con i dd.lgss. nn. 80/1998 e 387/1998, in relazione a taluni ricorsi proposti da dirigenti generali.
Il Giudice amministrativo ha ritenuto la non manifesta infondatezza della questione poiché la normativa suddetta avrebbe disatteso, anche sulla scorta dei principi fissati dalla Corte costituzionale in risalenti pronunce, quel “valore sostanziale” per il quale “ai vertici degli apparati burocratici deve essere assicurato uno status coerente al dovere di imparzialità e buon andamento. E tale non può ritenersi una disciplina che assoggetta l’acquisizione e la conservazione dell’incarico di direzione degli uffici di livello dirigenziale generale, ossia la naturale destinazione del dirigente di prima fascia del ruolo unico …, e quindi la sua carriera e il trattamento economico, al gradimento del vertice politico dell’amministrazione. Se può ammettersi, infatti, che già in forza dell’art. 25 del d.P.R. n. 748 del 1972, …, il rapporto anzidetto presentasse una connotazione parzialmente fiduciaria, non di meno, anche a prescindere dalla eccezionalità delle nomine di personale non proveniente dalla stessa amministrazione, la stabilità pressoché assoluta, nella qualifica e nell’incarico, di cui godeva il dirigente generale, era tale da offrire sufficiente garanzia circa l’esercizio della funzione in condizioni di reale indipendenza ed autonomia, al servizio esclusivo della Nazione. Il quadro normativo di riferimento, oggi radicalmente mutato, sembra invece esporre l’esercizio della funzione dirigenziale ad un pesante condizionamento, con grave pregiudizio dei menzionati principi. … L’incarico, inoltre, è caratterizzato da una intrinseca precarietà” in ragione del conferimento a tempo determinato e, soprattutto, della sua revocabilità per responsabilità dirigenziale.
Il Giudice amministrativo ha ritenuto poi, per altro verso, irragionevole il nuovo regime delle dirigenza in relazione al fondamentale principio di separazione tra l’indirizzo politico (proprio del Ministro) e la gestione amministrativa (demandata ai dirigenti) fissato dalle riforme del 1993-1998.
2.5. La Corte costituzionale, con ordinanza 30.1.2002, n. 11, ha, tra l’altro, dichiarato la manifesta infondatezza della suddetta questione di legittimità costituzionale.
L’ordinanza, nel confermare una volta di più la coerenza tra c.d. privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici e principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, chiarisce che rientra nella discrezionalità del legislatore disegnare l’ambito di estensione della privatizzazione del pubblico impiego, e ciò anche con riferimento ai dirigenti generali (per i quali non vi è una garanzia costituzionale di autonomia come per i magistrati), con il limite del rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione e della non irragionevolezza della disciplina differenziata. Prosegue la Corte affermando che la disciplina del rapporto di lavoro dirigenziale, nei suoi aspetti qualificanti (con particolare riferimento al conferimento degli incarichi, assegnati tenendo conto delle attitudini e delle capacità professionali, ad alla revoca degli stessi, per responsabilità dirigenziale, nonché alla procedimentalizzazione dell’accertamento di tale responsabilità), “è connotata da specifiche garanzie, mirate a presidiare il rapporto di impiego dei dirigenti generali, la cui stabilità non implica necessariamente anche stabilità dell’incarico, che, proprio al fine di assicurare il buon andamento e l’efficienza dell’amministrazione pubblica, può essere soggetto alla verifica dell’azione svolta e dei risultati perseguiti”, sicché “i dirigenti generali sono quindi posti in condizione di svolgere le loro funzioni nel rispetto del principio di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione, tanto più che il legislatore delegato … ha accentuato il principio di distinzione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo degli organi di governo e funzione di gestione e attuazione amministrativa dei dirigenti, escludendo, tra l’altro, che il ministro possa revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti”.
Dunque, l’ordinanza, nel respingere le censure mosse alla previgente disciplina degli incarichi dirigenziali e muovendo dai fondamentali canoni di imparzialità e buon andamento, indica nella verifica dell’azione svolta e dei risultati perseguiti dal dirigente – cui compete la gestione – la garanzia minima a presidio di un incarico che ben può essere a termine poiché funzionale, in ultima analisi, ad obiettivi di efficienza.
3. Tanto richiamato, la questione di legittimità costituzionale deve ritenersi rilevante ove sollevata con riferimento non solo all’art. 3, co. 7, l. n. 145/2002 (disciplina transitoria), ma altresì al co. 1, lettera b) del medesimo art. 3 (sostitutivo del co. 2 dell’art. 19 d.lgs. n. 165/2001), nella parte relativa al termine di durata dell’incarico dirigenziale.
Per vero, la richiesta avanzata in via principale da parte ricorrente (integrale reviviscenza dell’incarico originario, anche con riferimento alla durata dello stesso) potrebbe risultare all’esito comunque inaccoglibile ove si ritenesse senz’altro applicabile alla fattispecie de qua, il limite triennale della durata massima dell’incarico, fissato da una norma imperativa di legge sopravvenuta al contratto originario e suscettibile, come tale, di conformarlo anche quanto alla durata. Una siffatta opzione interpretativa parrebbe in effetti parrebbe evincersi dalla circolare del Dipartimento della Funzione pubblica del 31.7.2002 (cfr. parr. 6, 12, lettera j) – sia pure con riferimento ai dirigenti di livello non generale – e 13 della circolare).
4. Orbene, l’art. 3, co. 1, lettera b), e 7, l. n. 145/2002, nel prevedere che gli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale cessano il sessantesimo giorno dall’entrata in vigore della stessa, esercitando i titolari degli incarichi cessati ope legis in tale periodo esclusivamente le attività di ordinaria amministrazione, con riattribuzione solo eventuale a quei titolari di incarichi di minore durata, nemmeno predeterminata nel minimo, pone una disciplina che appare esibire più di un profilo di incostituzionalità.
Sembrano infatti non ricorrere, nella specie, i canoni generali richiamati dall’ord. n. 11/2002 cit. La questione di costituzionalità deve ritenersi, pertanto, non manifestamente infondata in relazione ai seguenti rilievi.
4.1. L’art. 3, co. 1, lettera b), e 7, l. n. 145/2002, consentendo all’amministrazione scelte per le quali non è previsto obbligo di motivazione, almeno quanto alla mancata riattribuzione dell’incarico dirigenziale, apre di fatto la possibilità per l’amministrazione di revocare gli incarichi in modo affatto arbitrario, all’ipotizzabile fine di redistribuirli a dirigenti ritenuti più affidabili dal punto di vista della consonanza politica e, loro volta, ulteriormente soggetti ad una condizione di istituzionale debolezza indotta dal termine di scadenza triennale (o anche minore) dell’incarico dirigenziale, termine più breve di quello dell’ordinaria durata in carica del Governo.
In tal modo, peraltro, sembra evidenziarsi la violazione degli artt. 97 e 98 cost. quali norme che – nel prevedere per i pubblici dipendenti il dovere di imparzialità, l’accesso di regola mediante concorso, la determinazione delle sfere di competenza, delle attribuzioni e delle responsabilità, l’obbligo del servizio esclusivo della Nazione, il divieto per i dipendenti pubblici membri del Parlamento di conseguire promozioni se non per anzianità, la possibilità di limitazioni all’iscrizione ai partiti politici – recano un complessivo statuto del dipendente pubblico sottratto ai condizionamenti politici.
La stessa Corte costituzionale, del resto, proprio nel confermare la legittimità costituzionale della regolazione privatistica del rapporto di lavoro del dirigente, ha individuato nei principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento un limite invalicabile, laddove i detti principi impongono, anche in un contesto di c.d. privatizzazione del rapporto di lavoro dirigenziale, quelle “specifiche garanzie” circa “la verifica dell’azione svolta e dei risultati perseguiti” di cui all’ord. n. 11/2002 cit., significativamente ribadite più di recente da C. cost. 16.5.2002, n. 193, per la quale, ai fini di un’interpretazione delle norme conforme a Costituzione, la distinzione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e attività gestionale dei dirigenti generali comporta, da un canto, un maggior rigore nella responsabilità degli stessi e, dall’altro, un’esigenza di rafforzamento della posizione dei medesimi dirigenti generali “attraverso la specificazione delle peculiari responsabilità dirigenziali, la tipicizzazione delle misure sanzionatorie adottabili, nonché la previsione di adeguate garanzie procedimentali nella valutazione dei risultati e dell’osservanza delle direttive ministeriali”. Inoltre, sin dalla sent. n. 313/1996, la Corte costituzionale ha avuto cura di chiarire che “l’applicabilità al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti delle disposizioni previste dal codice civile comporta non già che la pubblica amministrazione possa liberamente recedere dal rapporto stesso, ma semplicemente che la valutazione dell’idoneità professionale del dirigente è affidata a criteri e a procedure di carattere oggettivo – assistite da un’ampia pubblicità e dalla garanzia del contraddittorio –, a conclusione delle quali soltanto può essere esercitato il recesso”.
Le norme in questione sembrano dunque violare, alla luce della giurisprudenza costituzionale, tanto l’art. 97 che l’art. 98 cost. in quanto vi è il fondato pericolo che i dirigenti generali – necessariamente sottoposti alla riconferma da parte dello stesso vertice politico che li ha nominati e con scarse possibilità di una valutazione obiettiva dei risultati della gestione in relazione all’insussistenza di un termine minimo dell’incarico – siano portati alla ricerca di un improprio “gradimento” politico più che all’imparziale gestione ai fini del buon andamento dell’attività amministrativa. In tal modo, in sostanza, i dirigenti cessano di essere al servizio della Nazione e viene meno il principio costituzionale di imparzialità e di buon andamento dell’attività amministrativa.
Tale dubbio di incostituzionalità della norma appare ulteriormente rafforzato dalle stesse tesi difensive dell’amministrazione, la quale sembra invocare una sorta di esenzione generale da qualsiasi obbligo – di correttezza, di buona fede, di motivazione, di contraddittorio – per scelte ritenute in ultima analisi di valenza “politica” e, in quanto tali, sottratte a qualsiasi sindacato giurisdizionale. Al contrario, l’essenzialità della valutazione dei risultati – e del correlato obbligo di motivazione – ai fini dei successivi incarichi sembra chiaramente individuata dalla Corte costituzionale come un necessario presidio dei principi di cui agli artt. 97 e 98 cost.
4.2. Dunque, le norme in esame cancellano questo presidio e, come testé detto, consentono che gli incarichi siano assegnati non sulla base dei risultati raggiunti, ma su un’affinità politica – definita come fiducia – fra Ministro e dirigente, in assenza di qualsiasi motivazione e di altra garanzia procedimentale.
Ora, tale vincolo fiduciario appare inammissibile già in tesi generale giacché l’amministrazione, imparziale secondo la sua posizione costituzionale, non può prestare “adesione” ad orientamenti politici del Governo
Nel concreto, non sembra dubbio che una siffatta relazione di consonanza tra vertice politico e dirigenza finisca per comportare una radicale violazione del principio di separazione tra indirizzo politico e gestione amministrativa, a suo tempo introdotto proprio per rafforzare l’imparzialità dell’amministrazione evitando che l’azione amministrativa corrente potesse essere influenzata dal vertice politico: ebbene, appare affatto verisimile che il dirigente, al fine di guadagnare la riconferma da parte del vertice politico che l’ha nominato, tenda ad ottemperare ad ogni richiesta.
E’ peraltro di tutta evidenza che, in tal modo, il Ministro consegue di fatto un’impropria potestà gestionale, non prevista dalla legge ed anzi non bilanciata dalle correlative responsabilità – amministrative, contabili e penali – che comunque permangono in capo al dirigente quale titolare formale della stessa. Ciò, una volta di più, in violazione degli artt. 97 e 98 cost.
4.3. La possibilità di scelte arbitrarie da parte dell’amministrazione sembra poter essere, in effetti, criticamente considerata anche in punto di eccesso di potere legislativo.
Infatti, se l’amministrazione fosse stata abilitata a riconsiderare gli incarichi utilizzando gli ordinari strumenti provvedimentali o contrattuali, il dirigente avrebbe potuto avvalersi delle tutele proprie di tali strumenti e, segnatamente, di quelle discendenti dal generale obbligo di motivazione degli atti amministrativi. Invece, la diversa soluzione perseguita con la l. n. 145/2002 finisce per evidenziare un improprio utilizzo dello strumento legislativo per conseguire effetti propri di un atto amministrativo (appunto la revoca dell’incarico dirigenziale), con la conseguenza di privare il lavoratore, quale controparte dell’amministrazione nel rapporto di lavoro, di ogni tutela ed in violazione degli artt. 70 e 97, co. 1 e 2, cost.
Tuttavia, proprio della necessità di queste tutele si è più volte occupata la Corte costituzionale,specialmente per quanto riguarda la possibilità di recesso del datore di lavoro, circondata di particolari cautele, anche quando si tratta di dirigenza privata, contro il licenziamento ingiustificato (tra le altre, C. cost., sentt. 3.4.1987, n. 96 e 31.1.1991, n. 41) e l’assenza di forme di garanzia procedimentale. La Corte costituzionale ha in particolare richiamato la tutela che si deve riconoscere ex lege contro fatti che ledono la dignità di uomo e di lavoratore (per esempio, licenziamento intimato senza l’atto scritto; licenziamenti discriminatori; licenziamenti disciplinari senza osservanza di norme che richiedano il riconoscimento di garanzie procedimentali), mettendo in rilievo altresì che in via generale, i contratti collettivi di categoria prevedono la possibilità di adire un collegio arbitrale ai fini dell’accertamento della mancanza di idonea giustificazione dell’intimato licenziamento (così C. cost., 1.7.1992, n. 309).
4.4. La cessazione ex lege degli incarichi dirigenziali parrebbe trovare un’immediata e piana giustificazione nella necessità di applicare la nuova disciplina della dirigenza prevista dalla l. n. 145/2002 contestualmente per tutti gli incarichidirigenziali. In tal senso argomentano, tra l’altro, le parti convenute anche richiamando talune pronunce rese in sede cautelare.
Nondimeno, tale giustificazione sembra mal accordarsi, da un lato, con il dato fattuale – ma non per questo secondario – della perdurante insussistenza di validi controlli sull’operato dei dirigenti e, dall’altro, con quanto più sopra osservato in ordine alla sostanziale continuità delle linee-guida del nuovo rapporto di lavoro della dirigenza, e cioè mobilità (in virtùdella temporaneità delle funzioni e della rotazione degli incarichi) e responsabilità (mediante individuazione di funzioni proprie dei dirigenti, il cui esercizio sia valutabile, con conseguente selezione per merito e non per anzianità) quali connotati che permangono anche nella nuova disciplina posta dalla l. n. 145/2002 (come detto, rimane, in particolare, il cardine della temporaneità degli incarichi dirigenziali, sia pure con diminuzione della loro durata massima e, soprattutto, con l’abrogazione della previsione sulla durata minima).
Sembra allora potersi osservare che la nuova disciplina della durata degli incarichi ben poteva essere attuata, più che con un integrale spoils system una tantum, con maggiore proporzionalità e ragionevolezza (e quindi senza ingenerare dubbi di costituzionalità per violazione degli artt. 3, 97 e 98 cost.), in particolare procedendosi alla riduzione della durata degli incarichi e dei contratti alla nuova durata massima di tre anni, o alla verifica degli stessi incarichi e contratti alla luce degli eventuali nuovi programmi e obiettivi fissati dal vertice politico. Al contrario, l’assenza di una durata minima dell’incarico dirigenziale e la previsione – di cui all’art. 19, co. 2, d.lgs. n. 165/2001, nel nuovo testo introdotto dall’art. 3, co. 1, lettera b), l. n. 145/2002 – di una più ristretta durata massima non pare consentire, di fatto, una reale valutazione dell’operato del dirigente il quale, in assenza di criteri obiettivi, non può che essere scelto in virtù di consonanze politiche e ritrovarsi poi esposto – in base alla medesima logica fiduciaria - ad un meccanismo di reiterazione di incarichi brevi.
Sembra allora evidente il venir meno della funzionalizzazione della temporaneità dell’incarico agli obiettivi di efficienza che è la sola giustificazione ragionevole al nuovo assetto della dirigenza pubblica.
In definitiva, non sembra potersi eludere il quesito della legittimità di un siffatto utilizzo dello strumento legislativo, preordinato ad intervenire su rapporti in corso iscritti in un sistema “contrattualizzato” anche per i dirigenti generali. Pare allora sussistere una lesione del generale principio di affidamento sulla stabilità dei contratti, in violazione degli artt. 2, 3, 4, 35, 36 e 97 cost., ove il datore di lavoro pubblico possa porre nel nulla i contratti di cui è parte mediante la legge, così utilizzando lo strumento legislativo ovvero contrattuale secondo convenienza, mentre il lavoratore rimane privo di qualsiasi tutela.
4.5. Si è testé osservato che il lavoratore alle dipendenze della pubblica amministrazione sembra non godere più né delle tutele assicurate contro gli atti amministrativi (attesa la più volte evidenziata insussistenza di ogni obbligo di motivazione), né interamente di quelle proprie della contrattazione, visto che i contratti possono essere posti nel nulla dalla legge, senza misure di indennizzo o di reale compensazione.
Infatti, al posto dell’incarico revocato è previsto un incarico “equivalente” (e detta equivalenza pare riferibile soltanto al trattamento economico) ovvero un incarico di studio di durata non superiore ad un anno, alla fine del quale al dirigente, di fatto non più valutabile in relazione al raggiungimento di obiettivi gestionali, sembrerebbero preclusi ulteriori incarichi operativi. Tale assetto appare suscettibile di configurare un demansionamento del dirigente al quale sia stato conferito l’incarico di studio (come lamentato da parte ricorrente che ha rassegnato al riguardo specifiche conclusioni in punto di conseguenze risarcitorie), in violazione ancora degli artt. 1, 2, 3, 4, 35 e 36 cost. per lesione dei principi, pure di rango costituzionale, della libertà negoziale e della personalità professionale del lavoratore la cui compressione può giustificarsi solo in base a criteri di ragionevolezza, peraltro nella specie di ardua ricognizione
4.6. Infine, sempre sotto il profilo della violazione dell’art. 3 cost. non sembra potersi giustificare – pur nell’ambito della posizione differenziata dei dirigenti generali, anche all’interno del ruolo unico, evidenziata dalla Corte nell’ord. n. 11/2002 cit. – la distinzione disciplinare introdotta dalla l. n. 145/2002 fra ai dirigenti generali – tutti cessati dall’incarico ex lege – e i dirigenti, per i quali si è invece prevista la conferma automatica in caso di mancata tempestiva rotazione degli incarichi, debitamente motivata ed alle condizioni previste dal contratto collettivo.
Tale differenziazione non sembra ragionevole, né giustificata in relazione al principio di eguaglianza, ove si consideri che ai dirigenti (tutti) spetta ex art. 4, co. 2, d.P.R. n. 165/2001 l’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi, ivi compresi quelli impegnativi per l’amministrazione, nonché la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo, con connessa responsabilità “in via esclusiva” dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati.
P.Q.M.
visto l’art. 23 l. 11 marzo 1953, n. 87,
dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, co. 1, lettera b), e 7, della l. 15 luglio 2002, n. 145 in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36, 70, 97 e 98 della Costituzione;
ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso;
ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Roma, 23 aprile 2004.
IL GIUDICE
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