Documento di indirizzo sulla diversità di genere
Protocollo d'intesa sulla diversità di genere sottoscritto dal Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e dal Ministro delle Pari opportunità.
Predisposto dall'apposito gruppo di lavoro interministeriale, il protocollo riguarda la diversità di genere e si rivolge alle istituzioni scolastiche primarie e secondarie di I e II grado affinché si favoriscano la realizzazione di specifici percorsi formativi finalizzati a promuovere la cultura di genere nel mondo dell’istruzione attraverso un’efficace opera di sensibilizzazione di docenti e alunni coerente con le specificità formative dei diversi ordini di scuola interessati.
Ogni iniziativa il cui obiettivo sia davvero quello di colmare il ritardo del nostro Paese rispetto al raggiungimento di un’effettiva eguaglianza tra uomini e donne, pianificando politiche per le pari opportunità, vede il consenso della FLC CGIL dato che raramente la scuola viene interpellata e inserita nel dibattito politico rispetto all’argomento.
Da anni diciamo che la scuola non è né un “luogo privilegiato” rispetto al problema della discriminazione sessuale né un luogo in cui la parità viene per definizione esercitata e che, pertanto, sono necessari, non solo la dovuta attenzione al problema ma soprattutto, provvedimenti a carattere istituzionale.
La forte presenza quantitativa delle donne nelle aule scolastiche, nel duplice ruolo di docenti e studentesse, la cosiddetta scuola “rosa” od ormai “in mano alle donne” non produce automaticamente un luogo di equità tra i sessi, come si tende a pensare.
Un quadro più complesso e contraddittorio emerge nello studio attento che abbiamo chiesto tempo fa ad Irene Biemmi che è andata a focalizzare l’attenzione su tre ambiti: le studentesse, i libri di testo, gli insegnanti.
Questo studio fa emergere, in modo evidente, una scuola italiana che è – nella sua struttura e nei saperi che trasmette – il perfetto riflesso di una società sessista e che, a sua volta, si configura come motore propulsore di una visione tradizionale e stereotipata dei ruoli maschili e femminili.
Tocca quindi al governo agire e coinvolgere tutte le parti sociali affinché si incominci a fare qualcosa di concreto per invertire la tendenza.
Noi, FLC CGIL, analizzeremo con molta attenzione il contenuto di questo protocollo e ne seguiremo l’uso e l’applicazione nel rispetto delle indicazioni della UE, pronti quindi a vigilare e ad intervenire, se e quando necessario, su eventuali “devianze”.
Le nostre perplessità nascono dal fatto che purtroppo questo governo, in questi anni, non è stato dalla parte dell’uguaglianza di genere e della tutela della diversità.
Il governo italiano, continuando a tagliare sul welfare, continua ad accollare alle donne il carico della famiglia, dei figli, della cura degli anziani e le costringe, di fatto, e se possibile ancor di più, a rinunciare a una vita lavorativa e ad una pensione e a vivere ai margini della società, non da protagonista.
Con il piano per l’occupazione femminile della Ministra Carfagna e del Ministro Sacconi intitolato “Italia 2020”, il governo, affermando che esiste un unico modo per aiutare le donne a conciliare occupazione e responsabilità familiare e cioè “Valorizzare la solidarietà familiare”, chiude un cerchio già stretto intorno alle donne, limitando sempre di più il loro spazio e la loro vita. Non tutti dispongono di nonni vicini e disponibili, e oltretutto questa possibilità appare come una “soluzione” sempre più improbabile per il futuro visto che è lo stesso Stato a volerli costringere al lavoro fino a 67 anni.
Sono quindi troppe le contraddizioni e le inadempienze di questo governo che esalta il valore della famiglia costringendo le donne a sopportarne il peso.
Il tanto sbandierato quoziente familiare è una vera istigazione alla non occupazione femminile o al lavoro nero delle donne, ed è un meccanismo che scoraggia oggettivamente il lavoro delle donne. Ora considerando che l’Italia è un paese dove il tasso di occupazione femminile è tra i più bassi dei paesi industrializzati e che siamo lontanissimi dagli obiettivi di Lisbona che prevedono il 60% di tasso di attività femminile, questa scelta politica ci sembra un vero controsenso, per non dire un suicidio, perché scoraggiare il lavoro delle donne significa danneggiare l’economia, danneggiare l’intera società e quindi l’intero paese.
Inoltre, nel nostro Paese, sono sotto attacco continuo la tutela della maternità e l’autodeterminazione nella maternità, nella procreazione assistita, nell’interruzione volontaria di gravidanza. Il pellegrinaggio di uomini e donne, di coppie che devono recarsi in altri paesi europei per diventare genitori, è una vergogna di cui il governo di questo paese deve rispondere anche davanti alla Corte dei Diritti dell’Uomo, come sta succedendo.
L’Italia si va purtroppo sempre più distinguendo in ambito europeo per certi suoi ambiti legislativi assai arretrati, in particolare nel campo dei diritti individuali, per i pregiudizi verso lesbiche, gay e trans, profondamente radicati in tempi di confusione mediatica, in cui parlare di transessualità troppo spesso equivale a fomentare la morbosità.
Noi consideriamo la diversità una ricchezza e ci adopereremo ancora e sempre per evitare qualsiasi forma di discriminazione sessuale.
Per finire, la forte esasperazione del culto della bellezza è diventata in Italia un fatto politico grave e la degradazione femminile nel nostro paese equivale a quella del sistema politico; quindi, non trattandosi di un fenomeno di costume, la reazione non deve, e non può, essere considerata moralistica o puritana. Sarebbe un grave errore attribuire colpe diffuse.
Abbiamo dunque bisogno di una politica che decida finalmente di abbassare i riflettori sulle illusioni di un mondo fatto di uomini ricchi circondati di belle donne, arroganti ed incuranti delle leggi e delle regole che fanno di ogni cosa un business, anche delle tragedie umane. La ricchezza di un paese e il suo sviluppo non dipendono soltanto dalle sue performance economiche, ma anche dal suo progresso sociale, dalle condizioni di vita dei suoi uomini, delle sue donne e dalle prospettive di vita futura dei suoi giovani e si misura partendo da un insieme di dati oggettivi e soggettivi, di benessere materiale e non materiale.
L’articolo 3 della nostra Costituzione sancisce pari dignità sociale e uguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizione personali e sociali”, cui segue l’affermazione del secondo comma: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando, di fatto, la libertà e l’eguaglianza tra cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Questo è un principio totalmente nuovo e unico anche rispetto alle altre carte costituzionali antifasciste, come quella francese del 46 o quella della Repubblica Federale di Germania del 49 che segnano il passaggio dal sistema liberale al sistema democratico, a una democrazia segnata da contenuti di progresso sociale.
Ecco perché la FLC CGIL vigilerà sempre e difenderà in ogni luogo la Costituzione italiana, i suoi valori e i suoi principi.
Perché sono i nostri.
Approfondimento: Rapporto Rocard https://ospitiweb.indire.it/adi/RRocard/rr7_frame.htm
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