Decreto ciclo primario: primi risultati insufficienti, ci vuole il ritiro
Il 10 dicembre, la Conferenza Unificata Stato-Regioni ha espresso il proprio parere e la Commissione Istruzione del Senato ha avviato la consultazione ascoltando i sindacati confederali della scuola.
Il 10 dicembre è stata una giornata importante per il primo decreto di attuazione della legge Moratti, la Conferenza Unificata Stato-Regioni ha espresso il proprio parere e la Commissione Istruzione del Senato ha avviato la consultazione ascoltando i sindacati confederali della scuola.
Una giornata importante e contraddittoria. Le Regioni hanno infatti dato via libera al decreto a maggioranza (otto hanno votato contro), l’ANCI ha preso una posizione articolata con la quale rileva i passi avanti confermando una valutazione negativa sull’insieme del provvedimento, le organizzazioni sindacali hanno confermato una valutazione pesantemente negativa del provvedimento, nel merito e nel metodo, fino a chiederne il ritiro.
Il decreto non è più blindato
La novità più importante è che il Ministro non considera più “blindato” il testo. La linea dura, il cosiddetto “fronte talebano”, comincia a cedere, l’idea del sottosegretario Aprea di imporre il decreto senza modifiche e in tempi brevi è già caduta.
Ora è chiaro a tutti che il decreto è modificabile, solo superficialmente o in profondità, dipenderà dalla capacità di iniziativa e dalla forza di convinzione dello schieramento che in modo sempre più ampio e diffuso si sta mobilitando contro.
Il successo della manifestazione del 29 novembre scorso e il costituirsi di un fronte sindacale unitario a favore del ritiro del decreto sono sicuramente stati determinanti nel fare cambiare idea al Ministro.
La principale modifica introdotta riguarda, infatti, il tempo pieno, il punto su cui la mobilitazione è stata più ampia e unitaria.
Gli emendamenti ministeriali garantiscono la copertura del tempo mensa attraverso organici statali e la gratuità delle attività opzionali e facoltative.
Con queste modifiche al testo il Ministro indirettamente ammette che fino ad oggi hanno raccontato un sacco di balle, con il commento ufficiale al decreto, nelle dichiarazioni pubbliche, nelle risposte ai question time parlamentari. Aveva, quindi, ragione chi ha sostenuto che con il testo precedente il tempo per la mensa e di conseguenza le 40 ore del tempo pieno e prolungato non erano più garantiti.
Un altro emendamento garantisce la possibilità agli istituti comprensivi di continuare ad esistere, comprendendo al proprio interno scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado. Un comma decisamente insufficiente per una tipologia scolastica maggioritaria nel ciclo primario, che, forse, si aspettava di essere valorizzata in positivo per le proprie potenzialità educative e non solo di essere “graziata”.
Le modifiche non bastano
Assolutamente insufficienti sono anche le modifiche introdotte per il tempo pieno e prolungato. Sulla base del nuovo testo nella scuola elementare e media l’offerta formativa di 40 ore dal punto di vista quantitativo è garantita, gratuita e coperta da personale docente statale. Continuano, invece, ad essere cancellati i modelli educativi che fino ad oggi hanno rappresentato una risposta di qualità educativa elevata (tempi distesi e progettazione unitaria) alla domanda sociale.
Al loro posto ci saranno dei “doposcuola” frammentati e residuali, sia pur gratuiti, riservati a chi non ha voluto o potuto accedere all’offerta delle agenzie educative private: ciò consegue inevitabilmente dalle decisioni del governo di ridurre a 27 ore settimanali il tempo scuola di tutti e di imporre alle scuole autonome il modello di organizzazione didattica centrata sull’insegnante coordinatore-tutor.
Questi sono, infatti, i punti affrontati dai sindacati confederali della scuola nell’audizione alla Commissione Istruzione del Senato.
CGIL-CISL-UIL Scuola non hanno detto solo “no” al decreto, ma hanno indicato in positivo, come risulta dalle memorie presentate, le proprie proposte alternative, nel metodo e nel merito.
In sintesi:
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Consultazione e confronto con il mondo della scuola sulle proposte del governo di cambiamento degli ordinamenti (decreto) e sui documenti pedagogici e programmatici (Indicazioni).
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Piano pluriennale di investimenti per la generalizzazione quantitativa e qualitativa della scuola dell’infanzia (ad es. : tempo scuola che garantisca una giornata educativa significativa, riduzione del numero di alunni per sezione, organico funzionale, garanzie per la contemporaneità docente).
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Rispetto e valorizzazione dell’autonomia didattica e organizzativa delle scuole e conseguente rinuncia ad imporre la figura del docente tutor.
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Tempo scuola obbligatorio (percorso comune di tutti) di almeno 30 ore, conferma degli attuali modelli di tempo pieno e prolungato.
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Sviluppo della continuità educativa tra scuola dell’infanzia, elementare e media e conseguente valorizzazione e supporto degli istituti comprensivi.
Cosa rimarrebbe del decreto una volta accettate le proposte dei sindacati confederali? Poco, molto poco, quasi nulla.
Per questo è coerente chiedere il ritiro del provvedimento. Conviene fermarsi, azzerare, aprire un confronto vero con la scuola.
Buonsenso cercasi
Se il Governo volesse aprire il confronto dovrebbe preliminarmente sciogliere due nodi: la copertura finanziaria e i tempi di attuazione.
Per affrontare i nodi posti dalle organizzazioni sindacali si deve abbandonare la logica di riduzione della spesa nella scuola pubblica che fino ad oggi ha improntato il progetto del governo sul ciclo primario. Occorre, di conseguenza, una legge specifica di finanziamento preventivo del decreto, così come disposto dalla stessa legge 53/03 che preveda le risorse necessarie per lo sviluppo della scuola dell’infanzia e del ciclo primario.
Ma non è solo una questione di risorse, anche se questo è il punto principale (la scuola meno della Moratti è figlia della volontà di Tremonti di ridurre la spesa per la scuola).
Vi è anche un aspetto del tutto politico, il ministro non vuole fare marcia indietro per “non perdere la faccia”, per dimostrare che i suoi progetti sono efficaci.
D’altra parte la volontà di continuare nella prova di forza per far passare in tempi brevi il decreto ha senso solo se si vuol far partire il decreto dal prossimo anno scolastico.
Ritiene il ministro che questa sia una scelta possibile, realistica, gestibile ?
Si annuncerà alle famiglie (sia dei nuovi iscritti in prima che di quelli già iscritti nelle elementari) , a pochi mesi dall’inizio del nuovo anno scolastico, che il tempo scuola obbligatorio è ridotto a 27 ore ? Si imporrà alle scuole l’individuazione degli insegnati tutor da parte dei dirigenti scolastici senza formazione e criteri trasparenti, senza la possibilità di riconoscimenti normativi e retributivi e soprattutto senza la condivisione della grande maggioranza degli insegnanti che dovranno attuare questa nuova funzione?
Nell’ambito delle vigenti norme contrattuali, per rimanere ai soli risvolti sindacali della fattibilità del tutor, non è possibile riconoscere economicamente le pesanti responsabilità aggiuntive che gli vengono attribuite: non vi sono spazi, né nelle norme nazionali, né nel contratto di scuola che decide l’utilizzo del fondo di istituto in relazione al POF.
Per attuare credibilmente la figura del tutor si dovrebbe riaprire il contratto nazionale, avere risorse aggiuntive a disposizione (dove sono ?) e imporre ai sindacati della scuola di utilizzarle per pagare i tutor, una figura gerarchica respinta da tutte le organizzazioni sindacali che hanno firmato l’attuale CCNL.
Se la Moratti pensa di spazzare via dalla scuola in pochi mesi i sindacati scuola più rappresentativi, le consigliamo di dare un’occhiata ai freschissimi risultati delle elezioni delle RSU.
Se il governo vuole la prova di forza, nella scuola ci sarà uno scontro pesante (chi sta raccogliendo oggi le firme per il ritiro del decreto non farà marcia indietro) e una confusione totale nell’avvio del nuovo anno scolastico.
Ci vorrebbe una buona dose del tanto evocato “buonsenso”: prendere atto che non ci sono le condizioni per attuare il decreto nel 2004/05 e riaprire il confronto politico e professionale.
Roma, 13 dicembre 2003
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