Costi sociali e costi economici del precariato
Spese per i telegrammi delle scuole ai supplenti e non solo...
Ha fatto rumore la notizia che il comune di Roma debba pagare quasi un miliardo di vecchie lire per spese di telegrammi che le scuole di Roma hanno dovuto effettuare in due mesi per interpellare i docenti precari su proposte di supplenza.
Come leggere ed interpretare una notizia di questo tipo?
Per cominciare i contendenti in campo, Comune e scuole statali, sono fra i soggetti istituzionali più tartassati a causa del depauperamento economico, frutto di scelte politiche finalizzate a ridurre il peso del pubblico a favore della speculazione privata.
I numerosi tagli prodotti ai trasferimenti finanziari ai comuni ad opera delle ultime finanziarie, hanno compromesso, per inevitabile ricaduta, la possibilità per i comuni di integrare l’offerta scolastica per garantire il diritto allo studio.
Perfino comuni che, storicamente, hanno contribuito in modo significativo alla qualità dei servizi sociali, oggi devono fare i conti con la cassa.
Per i tagli alla scuola statale a fronte del regalo fatto alle scuole private (+ 53%), rimandiamo alla nota sul tema pubblicata sul nostro sito
il 5 settembre.
Come si sa dunque, le ristrettezze economiche non giovano ai sereni rapporti fra le parti, né quando si tratta di bilanci familiari, né quando si tratta di rapporti istituzionali.
Ma una notizia di questo tipo, chiama in campo altre considerazioni. La cifra infatti è consistente soprattutto se rapportata al fatto che sostiene pratiche amministrative, sulle quali grava il dubbio che cattivo funzionamento e spreco, possano causare effetti distorsivi di questa natura.
Ma proviamo a leggere il fenomeno invece come l’effetto perverso di una politica di precarizzazione che ha ingigantito il fenomeno nella scuola, producendo l’ipertrofia delle pratiche amministrative e di conseguenza disfunzioni e derive di questo tipo nel funzionamento della pubblica amministrazione a tutti i suoi livelli.
In molti casi, per esempio, denunciano alcuni precari, i telegrammi per l’immissione in ruolo non sono mai arrivati, i calendari per le convocazioni collettive non hanno tenuto minimamente conto dei tempi minimi per garantire l’informazione a tutti, i numerosi errori nelle graduatorie non sempre hanno garantito il diritto e la trasparenza.
Noi non leggiamo in questo, come qualcuno vorrebbe indurci a pensare, che la pubblica amministrazione è un elefante burocratico da abbattere per imboccare scorciatoie privatistiche che non garantiscono né diritti né trasparenza.
Riteniamo, questo si, che il fenomeno delle supplenze debba fisiologicamente ridursi con assunzione in ruolo dei precari su tutti i posti liberi e che la pubblica amministrazione debba essere messa in condizione di dare un servizio efficace ai cittadini.
Ma anche qui organici insufficienti e una continua e spregiudicata manipolazione delle regole che governano le pratiche amministrative, sono ostacoli che hanno condizionato negativamente l’operato dell’amministrazione, al di là delle sempre possibili inerzie, da mettere in conto e da combattere.
C’è poi un altro aspetto da considerare, nella patologia che questo episodio evidenzia, che è ancora una volta frutto di una politica di tagli nella scuola: prima che il ministro Moratti intervenisse con le sue sforbiciate, nella scuola dell’autonomia si stava avviando l’organico funzionale, un organico arricchito che avrebbe permesso di far fronte a tutte le sue necessità, didattiche e organizzative, comprese le supplenze, con le sue risorse interne. Inoltre le ore a disposizione di alcune cattedre formate con un orario inferiore a quello contrattuale, costituivano un polmone di risorse utili, principalmente per le supplenze. L’abolizione dell’organico funzionale e la saturazione a 18 ore di tutte le cattedre, hanno fortemente contribuito ad esasperare il fenomeno delle supplenze.
Né questo fatto può indurci ad adottare nuove modalità per interpellare i precari, che non siano rispettose dei loro diritti.
Il Regolamento per le supplenze dei docenti non prevede più alcuna sanzione per la rinuncia ad un contratto di supplenza, questo, insieme all’alto numero di docenti da consultare e al numero di graduatorie di scuola in cui un docente può essere iscritto, può creare un cortocircuito che innesca la girandola di telegrammi.
A questo però va aggiunto che:
1. il sistema scolastico è tutto collegato in rete informatica. Le informazioni sullo stato di occupabilità o di occupazione dei supplenti dovrebbero circolare in tempo reale riducendo il numero di chiamate delle scuole tramite telegrammi
2. la bolletta telefonica a cui si fa riferimento riguarda due mesi di consumi, non si capisce se rappresentano una spesa ordinaria o straordinaria. Nel primo caso stupisce che solo ora si ponga il problema, nel secondo caso bisogna chiedersi a cosa sia dovuto.
3. infine sono due anni che le organizzazioni sindacali chiedono al MIUR di rivedere il regolamento delle supplenze che contiene molte incongruenze, ma solo ora, nel mese di settembre, il confronto
sembra decollare veramente.
La FLC Cgil intende affrontare il confronto con il MIUR per la revisione del regolamento supplenze, con l’obiettivo di migliorare l’efficacia della pratica amministrativa senza ledere i diritti dei lavoratori precari. L’evidente strumentalità con cui si agita questo episodio non interferirà con la nostra azione sindacale.
Inoltre è impensabile che i costi di questo servizio debbano ricadere sulle scuole, visto anche un pronunciamento del consiglio di stato in materia. Il MIUR dovrà in qualche modo farsi
carico del problema. Contemporaneamente non rinunciamo a denunciare gli effetti perversi della politica di precarizzazione che il ministro Moratti ha avviato nella scuola, ben sapendo che ai costi economici che, anche indirettamente, questa politica produce, dobbiamo aggiungere gli alti costi sociali che stanno pagando i lavoratori precari della scuola e la collettività a cui si rivolge un servizio di tale importanza.
Roma, 14 settembre 2005
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