
Autonomia scolastica e valutazione
Valutazione. Alcune riflessioni su un sistema compiuto di valutazione per le scuole dell’autonomia


Sul tema della valutazione pubblichiamo un interessante contributo di Simonetta Fasoli, vicepresidente nazionale di Proteo Fare Sapere.
Nel frattempo è continuata la riflessione, su questa materia, da parte di FLC Cgil che proprio insieme a Proteo ha organizzato nelle settimane scorse due focus di approfondimento con illustri esperti. I materiali saranno presto resi disponibili per una discussione allargata.
Roma, 27 giugno 2005
Per sgomberare il campo da possibili equivoci, converrà partire da una dichiarazione preliminare: non siamo né in linea di principio né in linea di fatto contrari ad un sistema di valutazione, anzi. Tra le ragioni a favore, emerge la stretta connessione tra valutazione e autonomia scolastica, per almeno tre ordini di questioni: la valutazione può essere uno strumento di concreto esercizio di responsabilità, nel significato più ampio di rendicontazione; può assumere la funzione di autoregolazione dei processi innescati nella scuola e nei rapporti interistituzionali che essa promuove; infine, al livello “macro” (valutazione di sistema) concorre alla “tenuta” nazionale del sistema di istruzione, componendo l’azione delle scuole autonome con l’istanza di unitarietà.
Detto questo, si tratta di delineare quali dovrebbero essere, a nostro avviso, i tratti qualificanti di un sistema compiuto di valutazione per le scuole dell’autonomia. Una prima condizione è la distinzione tra le diverse dimensioni dell’universo-valutazione: valutazione di sistema, valutazione degli apprendimenti e per gli apprendimenti, valutazione della prestazione didattica. Rilevante passaggio di metodo: ci permette infatti di sostenere che tra una dimensione e l’altra intercorrono certamente relazioni, ma si interpongono anche le variabili per cui le risultanze dell’una non sono immediatamente spendibili come elemento di lettura per l’altra. L’uso improprio di una rilevazione sugli apprendimenti, a prescindere dalla questione di merito sulla scientificità e attendibilità delle procedure attivate, consiste nel farne materia per una operazione sanzionatoria e classificatoria indirizzata alle scuole o, peggio ancora, ai docenti.
Chiunque abbia una sufficiente cognizione dei fenomeni educativi sa che tra la prestazione dell’insegnamento nella sua intrinseca qualità e il processo dell’apprendimento non c’è una diretta e univoca correlazione; lo stesso vale per il rapporto tra l’erogazione complessiva del servizio, in termini di funzionalità e di processi gestionali, e gli esiti formativi. Non si tratta di contrabbandare la natura sistemica e complessa della materia, in nome di una pretesa ineffabilità: si tratta piuttosto di tenerla in conto dal punto di vista della dinamica politico-istituzionale che si intende attivare.
Un’ulteriore condizione attiene alla destinazione di scopo di un sistema valutativo, che nel caso dell’istruzione registra una duplice funzione: da un lato, di supporto reticolare per le scuole e di governo complessivo del sistema; dall’altro, di indicazione per i decisori politici. Riguardo alla prima, è appropriato il termine di monitoraggio, che ha il pregio di non evocare scenari sanzionatori e di rappresentare correttamente la finalità; la seconda ci sembra richiamare essenzialmente le politiche di riequilibrio che, a partire dai lettura dei dati , devono intervenire a sostegno delle situazioni di “sofferenza”. Come si vede, ci muoviamo in un’ottica diametralmente opposta rispetto al criterio per cui, premiando una pretesa “produttività” che assimila gli esiti del sistema dell’istruzione a un’asettica categoria di “manufatti”, si confermano le differenze e gli squilibri piuttosto che concorrere a rimuoverli.
Un ultimo, solo in ordine di discorso e non certo di rilevanza, tratto qualificante della “valutazione che vogliamo” riguarda la dinamica valutatori/valutati. Ci sembra essenziale la totale terzietà del soggetto valutatore rispetto alla committenza, forma di garanzia dell’indipendenza dal potere politico per rispondere ad un mandato che ha le sue radici nella carta costituzionale e nella tutela del sapere come diritto di cittadinanza attiva. Ma terzietà non vuol dire estraneità nella costruzione del percorso: è condizione necessaria per un processo virtuoso chiamare alla condivisione preliminare, da parte dei valutati, degli strumenti, delle procedure, delle finalità. Tra l’altro questa modalità può assicurare l’itinerario “a due vie” (per il rilascio dei dati alle scuole e il ritorno da parte delle stesse istituzioni scolastiche, in termini di elementi di lettura e di comparazione) tra i diversi livelli del sistema e al tempo stesso innestarsi sui percorsi di autovalutazione intrapresi dalle scuole.
Siamo consapevoli di avere solo avviato una ricognizione che risponde alla domanda (quale valutazione?) per aprire altre questioni, tutte sul tappeto. Ma il segnale che volevamo lanciare, in questo inizio d’estate che propone scenari ulteriormente inquietanti, è proprio questo: la scuola reale, anche nei suoi soggetti di rappresentanza professionale, nella “partita” della valutazione non resta “in panchina” (per mantenere la metafora…).
Simonetta Fasoli, vice-presidente Proteo Fare Sapere
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