Associazione presidi & C. scrivono ai docenti
Non avremmo ritenuto necessario soffermarci sulle due lettere aperte rivolte in questi giorni da ANP e APEF ai docenti, i cui contenuti ognuno valuterà, se non per richiamare l’attenzione sulla trama delle parole che è davvero interessante.
Non avremmo ritenuto necessario soffermarci sulle due lettere aperte rivolte in questi giorni da ANP e APEF ai docenti, i cui contenuti ognuno valuterà, se non per richiamare l’attenzione sulla trama delle parole che è davvero interessante.
Sintetizziamo, per aiutare a capire, i due testi. Il Presidente dell’ANP così argomenta le scelte del suo sindacato: “(…) In risposta alle pressanti sollecitazioni di molti, l'Anp ha ripetuto, nelle scorse settimane, il gesto di coraggio di quindici anni fa, aprendosi alle alte professionalità docenti (…) quelle che già la legge di riforma dell'autonomia, tuttora in larga misura inattuata, indicava come strettamente collegate al lavoro del dirigente. Chi sono, oggi, queste alte professionalità? Potenzialmente ed augurabilmente, sono tutti i docenti; ma, qui ed ora, sono soprattutto coloro che si riconoscono tali. (…)
Le loro aspettative di riconoscimento professionale sono legittimamente diverse ed accomunate solo, finora, dal fatto di non trovare una sede ed una voce per essere riconosciute.
Da oggi questa sede e questa voce esistono e sono quelle offerte dall'Anp: che però ha bisogno, per condurre questa battaglia, della forza che sola può venirle dalla convinta e numerosa adesione di chi si riconosce in essa. Il cammino è già iniziato, con la sottoscrizione di intese fra l'Anp e alcune associazioni professionali di docenti. Altre seguiranno. L'obiettivo è quello di sedere - di qui a due anni - al tavolo contrattuale, per far udire e pesare la voce di chi oggi svolge un lavoro di qualità nella scuola, senza altra prospettiva che quella di un'avara mancia prelevata annualmente dal fondo di istituto.”
Della lettera del Presidente dell’APEF, che ripete le stesse argomentazioni della lettera riassunta prima, riportiamo il giudizio sull’attuale fase scolastica:
“ (…) Anche l'Istruzione italiana vive il suo momento di complessiva modifica. Autonomia gestionale e didattica, valorizzazione del segmento della formazione professionale, centralità del soggetto che apprende, responsabilità in merito ai risultati, efficienza amministrativa ed efficacia dell'azione didattica: la Scuola italiana diventa scuola europea, seppure cercando giustamente di mantenere saldi i tratti più positivi della sua tradizione.”
Vediamo in ordine la trama delle parole.
Innanzitutto, queste due lettere sanciscono lo stato di crisi irreversibile del sindacato di mestiere come modalità di rappresentanza.
Non è un caso che due associazioni (ANP e APEF) vogliano raggiungere l’obiettivo di avere una rappresentanza complessiva per potere sedere ad entrambi i tavoli contrattuali che costituiscono il comparto scuola.
Siamo in presenza di storie più o meno lunghe che si interrompono a favore di una svolta radicale: quella della rappresentanza generale, cioè di tutti.
Dopo dichiarazioni superbe e sdegnate sulla necessità di una netta distinzione dei Dirigenti, senza invasioni di campo dei docenti, non è piccolo il passo indietro dell’ANP.
Sull’APEF, un’Associazione che ha più comandi retribuiti dal MIUR che aderenti, vale la stessa riflessione con in più il fatto che essa ha sempre osteggiato ogni idea di contrattazione mentre ora la invoca fino a chiedere consensi sull’idea del sindacato che rappresenta tutti (pardon: i bidelli mai!).
Entrambe volevano il contratto separatissimo e adesso vorrebbero fare un sindacato più generalista.
Il secondo elemento che ci ha colpito è la cultura gerarchica, la cultura del “capo”, che emerge dalle due missive. Non ci riferiamo tanto alla proposta di introdurre modalità di valutazione o forme di carriera che solo i logori schemi di osservazione della realtà delle due associazioni scriventi fanno ritenere un loro tema esclusivo.
Ci si propone di assumere un tema ma non una volta appare il “volgare” termine risorse, denaro.
I salari europei? Gli aumenti contrattuali? Non tagli ma investimenti?
Nulla di tutto ciò, di questi argomenti non si parla ci mancherebbe!
Un concorso o il Dirigente, trasformato in autorità salariale, allora diventano lo strumento, già proposto in altre occasioni, per realizzare questa valorizzazione, questa carriera, in nome della quale si chiedono consensi.
Che poi gli stessi che oggi predicano (per gli altri) la differenziazione delle carriere siano fra coloro che più attaccano gli articoli del contratto che intendono innovare la dice lunga sulle coerenze.
Il terzo elemento sul quale richiamiamo l’attenzione rappresenta, in realtà, una costante in questi lunghi mesi: lo sdraiamento sul Governo e sul Ministero, quando non sulle posizioni di singole persone.
In entrambe le lettere la vis polemica contro le organizzazioni sindacali è inversamente proporzionale al consenso assoluto dato ad ogni scelta del Governo e del Ministro tanto che addirittura nelle due lettere non si cita mai la “controparte”. La ragione di questa simpatica “dimenticanza” sta nel fatto che della controparte si condivide la proposta sulle carriere. Come non ricordare che mai una critica si è levata da queste associazioni alle proposte del Governo, anzi, anche di fronte alle decisioni più assurde o pesanti (ad es.: tagli di organico; riduzioni dell’autonomia scolastica; soffocamento delle scuole per la riduzione delle risorse; ecc.)?
In sostanza qual è, allora, l’ammiccamento rivolto ai docenti destinatari di queste lettere, il “valore” sul quale si sollecita un consenso per poter “chiedere” al tavolo contrattuale (sintomatico che non si usi mai il termine “rivendicare”)?
Il rapporto esclusivo e fiduciario con il Ministero. Nulla di nuovo ragazzi, semplicemente un bel tuffo per ritornare agli anni ’50!
Roma, 28 febbraio 2003
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