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Repubblica-Vince l'illusione di una vita come la ribalta tv

Vince l'illusione di una vita come la ribalta tv La cultura viene percepita come un ferrovecchio ingombrante e fastidioso MARCO LODOLI Che gli alunni non amino visceralmente i loro prof...

13/10/2003
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la Repubblica

Vince l'illusione di una vita come la ribalta tv

La cultura viene percepita come un ferrovecchio ingombrante e fastidioso
MARCO LODOLI

Che gli alunni non amino visceralmente i loro professori è cosa talmente nota che forse non serviva un sondaggio a ricordarcelo. Tutti quanti abbiamo stampati nella memoria i nostri professori di un tempo: e ce n'erano tanti veramente bizzarri, scorbutici, infelici, prepotenti, a volte sfaticati, spesso noiosi. Basta rivedere l'inizio di Amarcord, con quella collezione di insegnanti strampalati, persi nelle loro lezioni ripetute anno dopo anno fino allo sfinimento, e del tutto incapaci di capire cosa accadeva nella classe. Ora agli insegnanti si chiede giustamente di non essere solo degli esperti nella loro materia, ma anche di saper cogliere gli umori degli alunni, la debolezza di uno, la crisi familiare di un altro, l'aria pericolosamente stordita di un terzo.
Ma questo sondaggio ci racconta che nonostante tutti gli sforzi il fossato resta largo e che i ragazzi considerano quegli adulti in cattedra vecchi babbioni incapaci di aggiornarsi sulle mode giovanili, sull'evoluzione della musica e del costume, su tutto ciò che conta davvero. Universi opposti continuano a come sempre scontrarsi, a stridere. Quello che colpisce, semmai, sono le nuove accuse che i ragazzi muovono, e il tipo di cultura che produce queste accuse. Almeno a dare retta al sondaggio, i professori vengono rimproverati perché vestono male, perché non somigliano in nulla ai personaggi vincenti della televisione, perché parlano difficile e non comunicano come i comici e gli attori più simpatici.
Questi severi appunti ci dicono qualcosa della scuola e parecchio del mondo in cui oggi viviamo. Ci dicono, ad esempio, che la cultura viene recepita come un ferrovecchio ingombrante o addirittura fastidioso. Conta poco imparare a leggere un libro, risolvere un'equazione, orientarsi tra i secoli della storia. Conta niente concentrarsi - e la concentrazione è spesso una pratica dolorosa - per penetrare un problema filosofico o matematico. Mille volte di più contano la giacca che indossi, la maglia griffata, la macchina che parcheggi davanti alla scuola. Se sei un poveraccio con i polsini sfilacciati e una Ritmo ammaccata, oggi non puoi insegnare niente a nessuno, perché evidentemente tu per primo non hai saputo tradurre quelle conoscenze nelle uniche cose che valgono davvero: il denaro e il successo.
A fidarsi del sondaggio, le cose stanno esattamente così. Ciò che più dispiace è che queste sono le posizioni dei giovani, che da sempre immaginiamo portatori di un idealismo magari un po' ingenuo, di quell'energia nobile e pura che sa mettere in imbarazzo il cinismo degli adulti. Il mondo è sempre andato avanti in questo modo: i vecchi si irrigidiscono in un realismo asfittico e i giovani li incalzano con la bufera delle loro emozioni disinteressate, nobili, spesso incomprensibili, e la vita si rinnova.
Ora pare che la giostra abbia iniziato a girare nel senso opposto. Io arrivo a scuola (scuola di periferia, lo ricordo sempre, la più lontana dalle ansie culturali, la più vicina al televisore) portando riviste di musica, i cd dei Radiohead o di Capossela, i libri appena usciti, gettando sul tappeto argomenti d'attualità che mi paiono vitali, e spesso vado a sbattere su commenti tipo: "Professò, ste cose interessano solo a lei e a quattro matti come lei, a noi ce piacciono la De Filippi e Gigi D'Alessio, i tatuaggi e le vetrine del centro commerciale. Quando butta quel catorcio di vespa?".
Bisogna prendere atto della realtà, senza farsi soverchie illusioni. Il consumismo più becero, la cultura dell'immagine, l'illusione di una vita che sia come un palcoscenico televisivo dove si ride e si balla, picchia e mena l'hanno avuta vinta. Vinta alla grande. E noi non possiamo far finta di sorprenderci.


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