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Manifesto: Tornano quelli del no: Costituzione al riparo

Scalfaro, Bassanini e il popolo del referendum chiedono all'Unione di evitare l'abbraccio con la Lega

19/11/2006
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il manifesto

Andrea Fabozzi
Roma
L'ex presidente della Repubblica Scalfaro arriva in anticipo così da accogliere sulla soglia del teatro i delegati dei comitati cittadini per la difesa della Costituzione; intorno l'elegante quartiere romano è trattenuto in casa dal cielo nuvolo. All'interno un proiettore rimanda diapositive artigianali dei giorni dei banchetti, ecco i capi dell'Unione - Prodi, Fassino, Veltroni - mentre firmavano la richiesta di referendum contro la devolution. Cinque mesi sono passati da quella vittoria referendaria e l'album fotografico vuole essere un monito. Se i comitati sono tornati è perché hanno paura che il successo del 25 e 26 giugno possa essere messo in discussione. Anche dal centrosinistra. «Siamo i custodi del referendum», dice Scalfaro. Lo ripete al ministro delle riforme Chiti che dopo un po' arriva per cercare di rassicurare.
I giornali raccontano di contatti tra Ds e Lega, cioè il motore primo della devolution, lo stesso Chiti è dato in procinto di incontrare Bossi - ma il ministro smentisce - i «difensori» della Costituzione non lo sanno ma mentre sono qui Piero Fassino sta ripetendo a Pisa che le riforma costituzionali sono necessarie e la maggioranza vuole farle dialogando con tutti «evidentemente anche con la Lega». E c'è anche chi - Veltroni prima, Fini poi - è tornato a parlare di assemblea costituente. Così Franco Bassanini, ex senatore diessino ora portavoce dei comitati, non deve fare molti sforzi per spiegare quali sono le ombre che si allungano sulla vittoria di giugno. Soprattutto Bassanini insiste su un impegno programmatico dell'Unione «scritto nella prima pagina del programma». Cioè la modifica dell'articolo 138 della Costituzione, quello che regola il meccanismo di revisione costituzionale ma essendo stato scritto nell'era proporzionale ha perduto di senso con il maggioritario. Come Bassanini sa bene, visto che la modifica del Titolo V fu votata a maggioranza dal centrosinistra. Ora però, anzi dai tempi della battaglia contro la devolution e il premierato, la priorità è «rimettere in sicurezza la Carta». Alzando ai due terzi dei parlamentari la maggioranza richiesta per le modifiche costituzionali. «E' l'unica riforma costituzionale che auspichiamo - dice Scalfaro - Se l'opposizione dice no è legittimo sospettare che si prepara a compiere nuovi soprusi se e quando tornerà ad essere maggioranza».
Il centrodestra ha già detto di no. L'ha detto al ministro Chiti che dopo il referendum ha consultato tutti i gruppi parlamentari. Perché l'intenzione del governo è quella di fare alcune riforme. «Minime» le definisce Chiti, che spiega come la sostanza delle novità potrà essere introdotta senza intervenire sulla Carta. Il federalismo fiscale «è prioritario». Poi viene la «manutenzione» del Titolo V. Chiti ha raccolto qualche disponibilità nel centrodestra, quanto basta per spingerlo a mettere da parte i propositi sul 138. «Lo faremo a conclusione del procedimento, a meno di non scoprire che le aperture dell'opposizione sono strumentali»
Ma si può sostenere che bisogna elevare il quorum del 138 in modo per impedire riforme a maggioranza e - contemporaneamente - chiedere di farlo senza il consenso dell'opposizione e dunque con la sola maggioranza del centrosinistra? Bassanini, ma anche il professore Elia, l'ex presidente della Consulta Onida e il professore Pace che proprio ieri è stato eletto presidente dell'associazione dei costituzionalisti, spiegano che la contraddizione non c'è perché la riforma del 138 mira proprio a tutelare le minoranze. Un altro costituzionalista, Allegretti, vorrebbe fare di più e renderebbe esplicito che sono possibili solo emendamenti alla Costituzione, magari limitati a un Titolo o una Sezione. Chiti promette di tenere conto. Ha un problema in più perché, quando pure il centrodestra volesse intervenire sul 138, alzerebbe il quorum non oltre i tre quinti. Ma il ministro insiste, vuole rimandare queste discussioni per cercare un'intesa almeno sul federalismo fiscale. «Di scontri ne abbiamo già troppi», dice. Sa anche lui però che sul federalismo fiscale ai segnali positivi della Lega rispondono quelli negativi della sinistra dell'Unione. Gli scontri sono già troppi, ma quelli interni alla maggioranza sono più pericolosi.


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