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Manifesto: Modello social forum, verso l'autoriforma

MOVIMENTO Il dibattito nei workshop

16/11/2008
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il manifesto

Eleonora Martini
ROMA
L'aula Amaldi di Fisica è stipata fino all'inverosimile. Il megafono non funziona e l'amplificazione non è ancora collegata, ma non fa niente. Le oltre mille persone che la inzeppano ascoltano in religioso silenzio nemmeno fossero davanti al "ragazzo di via Panisperna" in persona. Gli interventi che si susseguono sono brevi ma precisi, vanno al sodo e affrontano uno a uno i nodi della questione. Qui si parla di «Formazione e lavoro». Roba che non trova spazio in nessun palinsesto berlusconiano, in nessuna propaganda gelminiana. Ma questo è un canale particolare: «ragazzi, siete in Onda».
Stesso spettacolo nell'aula più grande di Lettere dove un altro migliaio di persone, che straborda dalle porte di ingresso e riempie perfino gli incavi delle finestre, discute di «Didattica», e in quella di Scienze politiche dove per oltre sei ore si sviscera il tema «Welfare e diritto alla studio». I corridoi sono intasati da capannelli di studenti che discutono, si confrontano, si scambiano documenti. Si presentava così ieri pomeriggio la città universitaria della Sapienza di Roma: tre workshop per mettere a punto la loro idea di autoriforma, quasi fossimo tornati a Genova o a Firenze. Ma non è il popolo dei social forum. «Devo dire grazie a questo movimento - dice una ragazza che viene dall'ateneo della Tuscia di Viterbo - perché è riuscito a ridare valore al nostro vivere l'università, che è il posto dove si sviluppano le coscienze».
L'Onda, come l'acqua, si sa, ha una memoria. Ecco perché, parlando di didattica gli studenti di Lettere hanno messo a punto un documento introduttivo che ricorda: «Le riforme che hanno ridisegnato l'università negli ultimi quindici anni l'hanno consegnata all'interno di un paradosso: proprio nel momento in cui si poneva il problema della capacità di fornire una formazione in grado di introdurre al mondo del lavoro, tanto più si produceva precarietà, crisi, mal funzionamento. Una generazione intera è stata utilizzata come cavia per esperimenti mai riusciti». Come a dire: le cavie ora si ribellano.
Parlano di autonomia, responsabilità, autoformazione. E criticano «la nozione di meritocrazia basata sul bilancio». Il fine è mettere insieme «proposte chiare e non demagogiche» di autoriforma dell'università e della ricerca, ma non solo. «Se alla fine di questa mobilitazione ci ritrovassimo soltanto con l'abrogazione della legge 133 vorrebbe dire che abbiamo perso - dice, applauditissima, una ricercatrice - perché avremmo vinto solo contro il potere politico e non quello baronale». E ancora: «Non si può pensare di riformare i luoghi del sapere se non si parte dalla critica a questa società neoliberista sulla quale sono stati modellati». Perciò ha senso affrontare il tema della casa, soprattutto per i fuorisede, del reddito, delle mille forme di resistenza alla crisi finanziaria. L'autoriforma a cui pensano non è una controproposta da portare in sedi istituzionali: «È la nostra idea di università ma anche di società».
Certo, la critica parte dalla consapevolezza del fallimento della "riforma Zecchino", quella del 3+2 nata «con l'obiettivo di fornire velocemente studenti spendibili e competitivi sul mercato del lavoro». Sottolineano ciò che la ministra Gelmini non dice, e cioè che la proliferazione dei corsi viene proprio da quell'idea di trasformare il sapere in «tecnicistico e assoggettato al profitto». Per questo la maggioranza degli studenti propone «l'abolizione del sistema del credito», anche se qualcuno preferirebbe «trasformarlo introducendo un recupero crediti delle attività di autoformazione». Tutti però sono per l'«abolizione del numero chiuso» e «contro la classificazione gerarchica dei saperi in base alla produttività sul mercato». La parola «merito» non piace, meglio valutazione. Sui criteri, ci vorrebbe un capitolo a parte. Di sicuro però basterebbe smettere di «privatizzare i mezzi e i luoghi di produzione del sapere» e, poiché «stato sociale e diritto allo studio non sono separabili», abbattere l'attuale modello di «welfare familistico». A dirla sembra facile, in un mondo dove «perfino la vita e le emozioni sono privatizzate». Ma vista da qui, di sicuro, la prospettiva è meno buia.


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