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Lo sfogo della preside: i ragazzi si possono rivedere in pizzeria ma non a scuola. Perché?

La lettera della dirigente di Prato: nella mia scuola ho ettari di orti e cortili ma non posso far tornare i miei studenti. Per incontrarli devo andare al bar o al parco

07/06/2020
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Corriere della sera

Mariella Carlotti*

Sono reduce da un dialogo con i miei alunni delle classi terze della mia Scuola Secondaria di primo grado. Da lunedì discuteranno con i loro docenti l’elaborato che hanno presentato. Lo faranno in camera loro, davanti a uno schermo. Poi spegneranno il pc, usciranno con i loro compagni, andranno ovunque, al bar, al parco, in pizzeria. Ma c’è un posto in cui non potranno entrare, neanche uno alla volta: la loro scuola. Perché? Perché poi ci lamentiamo quando vediamo i ragazzi – anche quelli più grandi – andare a prendere l’aperitivo o affollare i luoghi della movida? Vorrei rivedere i ragazzi del liceo, vorrei poterli incontrare – con tutte le norme di sicurezza possibili – per raccontarci questi mesi difficili e bellissimi che abbiamo vissuto. Dovrò farlo in un parco o in una piazza o in una chiesa o in una pizzeria magari. Ma nella mia scuola, che ha locali grandissimi e areati, che ha due ettari di orti e cortili, non posso farli venire. Perché? Per portare a scuola alcuni bambini dell’Infanzia, della Primaria e dei primi anni delle medie, ho organizzato a scuola i centri estivi dal 15 giugno al 10 luglio: saranno animati dai loro insegnanti che si sono messi a disposizione per giocare con loro e aiutarli nei compiti per le vacanze. È stata un’impresa burocratica preparare il progetto, sarà un’impresa gestire quelle settimane tra mille difficoltà. Ma perché i centri estivi sì e la scuola no?

La realtà e il nuovo rapporto insegnanti-studenti

Noi abbiamo vissuto in questo periodo nella mia scuola un momento per tanti versi esaltante: la realtà, che ha fatto irruzione in modo inopinato e inopinabile, nelle nostre vite e nelle nostre aule, ci ha «costretto» a un ripensamento educativo, a una creatività didattica e ad una intensificazione del dialogo tra noi docenti che forse niente avrebbe potuto ottenere in modo così rapido e potente. L’aver assecondato questo dato, senza sterili lamentele, ci ha fatto compiere un cammino umano e professionale i cui primi beneficiari sono stati i nostri allievi. Sembra strano dirlo, ma io sono contenta di questi tre mesi per tutto quello che ho visto fiorire nei docenti e nei discenti. Tutto questo mi ha reso ancora più consapevole del valore enorme che la scuola ha, del bisogno che i nostri bambini e adolescenti hanno di un luogo che educhi la loro ragione, permetta alla loro umanità di crescere e di fiorire. E forse mai come in questo momento, tanti hanno preso coscienza dell’importanza della scuola: è accaduto a tanti bambini e ragazzi, ma anche a tanti genitori. Perché questa sensibilità – mai così diffusa negli ultimi anni – sembra così estranea alla nostra classe politica? Quale emergenza più grave ha un Paese se non quella dell’educazione dei suoi figli?
* Dirigente Ic Conservatorio San Niccolò, Prato


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