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Liberazione: Ripartire da Barbiana per l’accesso ai saperi

Intervista al presidente della Commissione cultura della Camera Pietro Folena

13/06/2006
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Liberazione

Gemma Contin

Pietro Folena, parlamentare indipendente eletto in Puglia nelle liste di Rifondazione comunista, da poco più di una settimana è il presidente della Commissione cultura della Camera dei deputati. Lo abbiamo intervistato.

Onorevole Folena, qual è il ruolo della Commissione cultura e del suo presidente?

La prima cosa è inserirsi lungo la linea di un Parlamento che sia “la casa di tutti”. Una casa utilizzabile, non solo visitabile, come già hanno fatto i presidenti della Camera e il presidente Bertinotti aprendola agli studenti e alle scolaresche, non un’istituzione “fortino separato”. Se questa è l’idea, e cioè che il Parlamento debba essere un luogo consapevole del grado di criticità che c’è nella vita delle persone e la politica, la Commissione cultura, in questa strada nuova che Bertinotti ha aperto e poi consolidato a Barbiana, io penso che la Commissione cultura debba diventare un “grande sportello” aperto alle classi, alle aule universitarie, ai luoghi dove si produce musica, dove si fa arte. Certo, ci dovremo occupare anche dei grandi enti lirici, delle politiche del cinema, delle cose più classiche delle istituzioni culturali; ma anche di tante altre cose, perché voglio ricordare che grosso modo a questa Commissione fanno riferimento nella nuova struttura di governo cinque Ministeri: la Cultura e il turismo, che da un’orbita economicistica è passato a una più culturale e sociale; lo Sport e le Politiche giovanili; l’Istruzione; l’Università e la Ricerca; e la Comunicazione, o almeno una parte importante del mondo della comunicazione.

Che cosa può fare in concreto?

Intanto una giurisdizione sull’attività di cinque dicasteri la dice lunga sulla centralità per il governo Prodi delle politiche culturali. Questa specie di “finestra”, dovrà essere utilizzabile, online o anche direttamente, in tutti i luoghi di produzione culturale, di fruizione, dove ci sono gli operatori, dove ci sono i giovani. Non solo le grandi istituzioni classiche, ma anche i nuovi canali, i nuovi linguaggi.

Come dovrebbe funzionare?

Le audizioni, le indagini, la facilità di raggiungere il presidente e i commissari, devono diventare uno stimolo non solo per la maggioranza, ma nell’interesse di tutti, a prescindere dalle posizioni politiche, sperimentando, anche con qualche idea innovativa, un forte raccordo con le assemblee studentesche, le associazioni, i movimenti. Il Parlamento di Bertinotti, il Parlamento del 2006, deve essere consapevole che tanta gente non sopporta la politica, la ignora, non la segue, non sta nei partiti, ha un rapporto di grande sofferenza e insofferenza con il “palazzo” e il potere. Io credo che in questo lavoro di ascolto e di indagine sia essenziale “fotografare” le condizioni vere di vita della società italiana. Ho già un computer pieno di e-mail di tutti i precari di ogni ordine e grado: nella scuola, nell’università, nel mondo della ricerca; ma anche del mondo di una produzione culturale emarginata e delusa: ad esempio del mondo dei giornali, dei precari dell’informazione, della Rai, di Sky, di Mediaset.

Un mondo che non riesce neppure a firmare il contratto.

Infatti, e che ci dice che quando si parla di precarizzazione non si sta parlando solo della legge 30, cioè del mercato privato, ma anche del mercato del lavoro pubblico, ma soprattutto del blocco che i giovani e i giovanissimi incontrano - ed è una grande emergenzata - alle loro aspirazioni, costretti il più delle volte ad accettare modalità lavorative fortemente frustranti.

Con uno spreco di cultura che il Paese non può permettersi.

Uno spreco colpevole e insopportabile, anche se va detto che noi siamo sotto i livelli stabiliti a Lisbona, dove si parlava dell’85% per la maturità, mentre l’Italia si aggira sull’83%. C’è ancòra un problema quantitativo, benché i giovani che studiano, colti, capaci, siano tantissimi. Noi poi abbiamo una seconda emergenza di cui dirò dopo. Ma intanto, rispetto a questa, io vorrei che la Commissione diventasse lo strumento che aiuta e spinge il governo su questo terreno, anche in rapporto con le politiche culturali vivacissime delle città, aiutandole ad affermare la dignità di questo sforzo culturale e aumentando i finanziamenti.

Questione insormontabile, dopo le parole del mnistro dell’Economia.

Certo c’è la preoccupazione di Padoa Schioppa, e c’è il rischio di una manovra aggiuntiva. Io non voglio entrare nel merito, ma una manovra dovrebbe essere legata a fattori di giustizia. Credo sia essenziale non tanto difendere i livelli attuali di spesa, ma dare un segnale forte che, con cinque dicasteri che lavorano nel campo fondamentale della conoscenza, si intende non solo confermare ma aumentare le risorse, combattendo gli sprechi. Nelle riforme successive che il Ministero dei Beni culturali ha avuto c’è stata una proliferazione di uffici, di direzioni del personale, di burocrazia. La riorganizzazione della macchina - certo non dipenderà solo da noi, sarà compito anche della Funzione pubblica - è essenziale.

E la seconda “emergenza”?

Riguarda la questione della selezione di classe tra chi sa e chi non sa. Problema che rischiava di accentuarsi tragicamente se fosse andata avanti la riforma Moratti. Ritengo molto positiva la scelta del ministro Fioroni di sospendere la sperimentazione. Però la Moratti e la destra sono arrivati a codificare, rischiando di farla diventare irreversibile, una condizione che esiste nella società italiana e che presenta anche una deriva dell’università, diventata un esamificio persino online, su cui giustamente il ministro Mussi intende far cadere la scure. Ma, in più, di sicuro un bambino che nasce nei Quartieri spagnoli di Napoli, allo Zen a Palermo, qui a Corviale, o a Rozzano Milanese, magari arriverà a prendere il diploma superiore o professionale, ma sostanzialmente resterà tagliato fuori dal circuito della produzione di conoscenza.

E’ un problema di accesso?

C’è la quantità di libri che si leggono; il bassissimo tasso di lettura dei quotidiani; c’è una qualità complessiva dell’informazione; il linguaggio che si usa: il giornale più letto in Italia è la Gazzetta dello Sport. E poi c’è il livello dell’informazione e della programmazione televisiva, con l’inseguimento mercantile che anche la Rai ha fatto rispetto alle televisioni commerciali. Tutto questo è in minima parte compensato da nuovi strumenti, soprattutto dalla straordinaria opportunità offerta da internet. La più grande rivoluzione del tempo nostro è la rete telematica; anche se piena di contraddizioni tutto quello che si può pescare di nuovo è lì. Anche i movimenti che sono sorti in questi anni sono nati prima di tutto nella rete. Il fatto che io ora possa accedere al sito della Casa Bianca e sapere che cosa dieci minuti fa Bush ha detto dell’uccisione di Al Zarqawi dà il senso di una grande opportunità cui un numero crescente di giovani accedono. Però non possiamo nasconderci che l’accesso alla rete è un altro elemento di disparità: c’è chi può e chi non può, chi ha il computer e chi no, chi è collegato o meno, persino il tipo di collegamento è un elemento di disparità. E’ il famoso “digital divided”.

Come si abbattono queste barriere?

E’ uno dei problemi che vogliamo intestarci. Credo che la Commissione debba farsene carico. A me piacerebbe realizzare una grande indagine, una grande inchiesta della società italiana su questo aspetto, che si concludesse con un evento impegnativo, nel nome di don Lorenzo Milani. Lo dico per il fatto che Fioroni, e Bertinotti con grande autorevolezza, sono andati lì e hanno detto: bisogna ripartire da qui. E poi c’è un altro tema che mi appassiona: quello dei migranti e delle loro culture. Mi piacerebbe che questa indagine si concludesse con un atto in cui il Parlamento italiano dice quali sono le barriere da rimuovere, gli ostacoli da superare, gli obiettivi da raggiungere.

Un “libro bianco” alla Franchetti-Sonnino sullo stato della cultura in Italia?

Un documento che, se il governo lo assumesse, potrebbe diventare un Rapporto sulla diffusione del sapere, della cultura, della conoscenza, che porti ad affiancare al PIl, assieme all’ambiente alla salute ai diritti, un parametro per misurare la conoscenza o il sapere nazionale, con cui valutare il livello di civiltà e di sviluppo dell’Italia. La fuoriuscita dal paradigma liberistico e industrialista della crescita può avvenire anche attraverso la codificazione di altri parametri misurabili e di un’altra rappresentazione, di sinistra, dell’equazione tra idea di ricchezza e conoscenza e sulla loro reciprocità.


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