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La solitudine di Micol “Un anno in trappola ridatemi i miei prof”

Quindici anni, liceale al Tasso di Roma “Mi spaventa tornare in una classe dimezzata con nuovi orari e verifiche a raffica”

03/01/2021
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la Repubblica

Maria Novella De Luca

«A volte mi chiedevo: perché proprio nei miei 15 anni, in quel momento magico in cui tutto stava per cominciare? Entrare al liceo per me è stato scoprire la libertà. Un’emozione al giorno: gli amici, le manifestazioni, l’autobus con il freddo della mattina, gli abbracci, i cornetti caldi, i prof, l’autogestione, i concerti a cui sarei dovuta andare. Invece il 2020 è stato un anno in trappola. Ci siamo ritrovati soli, nelle nostre stanze, immersi nella tragedia nazionale. Poi l’estate, la promessa della normalità. Pensavamo di respirare, ma in autunno no, di nuovo soli con la “Dad”. E adesso, il sette gennaio, torniamo in una scuola dimezzata ».

Racconta il diario di un’assenza Micol Bastianelli, 15 anni, liceo classico al “Tasso” di Roma, una passione dichiarata per la letteratura, la musica, l’impegno nel collettivo politico. «Lontana dalla scuola, mi sembra di aver perduto, un pezzo di giovinezza», dice, anni in tasca che non tornano. « Invece di comprare i banchi con le rotelle il ministero poteva organizzare i nostri spazi, ma è evidente che noi studenti siamo considerati l’ultima ruota del carro».

Dei mesi del lockdown Micol ricorda quella strana euforia delle prime due settimane di didattica a distanza, nel marzo del 2020. «Il “Tasso” è una scuola dura, abbiamo moltissimi compiti, a me piace studiare anche se ho dovuto rinunciare ad alcune mie passioni, la ginnastica ritmica e il canto. All’inizio restare a casa sembrava una liberazione: meno lezioni, tutto più leggero. Ma è durato poco. L’assenza si è fatta sentire subito, per me il liceo è partecipazione, condivisione, senza i compagni resta soltanto la fatica». E il senso di tragedia. «Guardando la tv piangevo. Il pensiero che tra quelle bare ci sarebbero potute essere quelle dei miei nonni mi distruggeva. Mi sentivo sollevata solo dal pensiero che stessimo combattendo tutti la stessa grande battaglia».

Le videochiamate, le chat con gli amici. «I libri, sì, i libri mi hanno fatto compagnia. Adoro leggere. In quei mesi ho divorato Jane Eyre e Orgoglio e Pregiudizio ». Poi è arrivata l’estate, finalmente. Il caldo. I contagi a zero. Tutti promossi. Il virus che sembra evaporato. L’assaggio di una stagione normale. Micol sa descrivere le sue emozioni. «Era come se avessi trattenuto il respiro per quattro mesi. Le cose più semplici erano diventate bellissime. Mia mamma è sarda, essere riuscita a tornare là dove passo le vacanze ogni anno, in Sardegna appunto, ci era sembrato addirittura un premio. Le passeggiate, il mare. Rivedere gli amici del collettivo, la speranza di tornare in classe in modo normale, magari rifare l’autogestione, un’emozione che ha segnato i miei primi mesi di liceo. Non è stato così».

A settembre 2020 i contagi risalgono, le scuole partono dimezzate, i banchi con le rotelle si rivelano un’inutile spesa pubblica, centinaia di cattedre restano vuote. E sono i ragazzi più grandi a farne le spese, gli adolescenti delle superiori, quei teenager della generazione Covid che sanno già quanto sarà alto il prezzo da pagare per questa didattica a intermittenza, per i buchi di questo tempo sospeso.

«Un mese di scuola in presenza, un po’ in classe, un po’ a casa, e di nuovo tutto chiuso. Vi rendete conto che stress per noi, ma anche per i prof? Quello che mi chiedo è perché il governo non si è impegnato a fondo sulla scuola. Invece di requisire i bus turistici, invece di trovare spazi alternativi per fare lezione, le biblioteche, i teatri, hanno comprato inutili banchi, buoni soltanto per fare l’autoscontro nei corridoi, con il risultato di mandarci poi tutti a casa».

Al “Tasso”, storico liceo romano, quei banchi comunque non sono mai arrivati. E adesso per le superiori si apre la strana tombola del rientro, in presenza al cinquanta per cento, no forse al settantacinque per cento, ma attenti se va male si richiude.

«Sono spaventata da questo tornare in classe che coincide con la fine del primo quadrimestre. Con i nuovi orari, forse dalle dieci del mattino alle 16 nel pomeriggio, sarà impossibile fare i compiti. I prof ci aspettano al varco, verifiche a raffica, vogliono valutarci in presenza, sono convinti che in “Dad” copiamo o utilizziamo gli schemi, li capisco, ma così diventa punitivo. La verità è che la scuola non è riuscita a inventarsi una didattica alternativa, molti prof, dopo tutti questi mesi, non sanno usare ancora la tecnologia ». È vero. Micol tocca un nervo scoperto. La pandemia non ha spinto la scuola a innovarsi. Le lezioni frontali, docenti in cattedra, alunni al banco, sono state traferite dal perimetro fisico a quello virtuale. «Al Cpt, collettivo politico del Tasso ne stiamo parlando da mesi. E ci saranno mobilitazioni degli studenti. Saremo noi, in futuro, a pagare il prezzo più alto di questo disinteresse della politica verso la nostra istruzione».

Però Micol è emozionata. Contenta di riaffacciarsi in classe. Anche se a metà. Nella sua camera di adolescente ha appeso al muro tutti i biglietti dei concerti a cui non è riuscita ad andare. «Coez, Gli Psicologi». «Finirà, no? Deve finire. È arrivato il vaccino. Noi ragazzi resteremo segnati per sempre da questa pandemia, il virus ci ha rubato un pezzo degli anni più belli, ma ce la faremo, lo so, lo sento ». E, appunto, come dice Micol, tornerà l’estate.


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