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La scuola è stata eroica. Ora lasciatela libera

Per far riaprire le scuole a settembre c’è una sola possibilità. Dare loro l’autonomia di fare come meglio credono. E uno scudo penale ai presidi

12/06/2020
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Emanuele Boffi  (TEMPI)

Che cosa ha imparato la scuola italiana in questo periodo? Ha imparato che l’autonomia è una possibilità. Otto milioni di alunni e oltre 800 mila insegnanti si sono barcamenati per tre mesi e, ovvio, c’è stato lo studente che ha fatto il furbo e ha approfittato della didattica a distanza per farsi gli affari propri e, ovvio, c’è stato il docente che s’è messo in malattia abbandonando i propri alunni al loro destino. Ma, fatta la tara alle brutte eccezioni e alle inevitabile magagne, in generale si può dire che il nostro sistema scolastico abbia retto e che, anche a fronte di un ministro confuso e pasticcione, abbia dato buona prova di sé. Magari gli insegnanti non hanno rischiato la vita come i nostri medici e infermieri, ma anche loro sono stati “eroici” e, costretti dalla necessità, si spera abbiano riscoperto il fascino della loro professione (o, per usare una parola più rischiosa ma più corretta, della loro vocazione).

Che ce ne facciamo di questo patrimonio? Che ce ne facciamo di questa esperienza? La nostra scuola, così come in generale il nostro paese, ha sempre sofferto di centralismo e di dirigismo, di insegnanti “sindacalizzati” e di regole che ne hanno soffocato le energie positive. Invece, costretti da questo virus maledetto, abbiamo visto all’opera tante scuole e tanti docenti che, pur in mezzo a mille difficoltà, si sono dati da fare per superarle e garantire un minimo di continuità all’insegnamento.

Quanto costa riaprire

Ora che l’anno è terminato per la maggior parte degli studenti, la domanda più pressante che tutti si pongono è: ricominciare la scuola a settembre, ma come? La Stampa ha provato a fare due conti per capire se i 331 milioni stanziati dal governo per permettere le riaperture siano sufficienti. La conclusione è quella che ognuno si aspetta: no, ne servono almeno il triplo.

I conti del quotidiano, che si appoggia alle valutazioni di vari comitati, sindacati e associazioni di categoria, sono questi: per garantire a ognuna delle 40 mila sedi scolastiche e quasi 370 mila classi l’acquisto di mascherine, termoscanner, banchi modulari, piattaforme digitali e quant’altro, i 38 mila euro a istituto non basteranno mai.

C’è chi prevede un costo di 975 mila euro, chi si spinge fino alla cifra monstre di 5 miliardi. Se, infatti, oltre ai dispositivi suddetti, si aggiungono le spese per l’aumento del personale e l’adattamento degli istituti, le cifre a nove zeri sono facilmente raggiungibili.

Il ministro Azzolina ha promesso altri 4 miliardi ma, anche facendo finta di credere che una tale cifra sarà stanziata, è illusorio pensare che basteranno i mesi estivi per organizzare le scuole italiane.

Dove li mettiamo?

Secondo le linee guida emanate dal comitato tecnico scientifico, all’interno della scuola bisogna mantenere sempre una distanza di almeno un metro, è obbligatorio l’uso delle mascherine anche in classe, gli ingressi e le uscite devono seguire percorsi differenziati.

Come è facile intuire, se questi criteri fossero interpretati in maniera rigida e uniforme ovunque, faremmo prima ad ammettere che la riapertura è impossibile, sia per una questione economica sia per una questione logistica. Un conto sono infatti le piccole scuole di paese, con un centinaio di studenti che, con un po’ di fantasia, potranno arrangiarsi alla bene in meglio, ma per i grandi istituti cittadini con un migliaio di alunni, come la mettiamo? O meglio: dove li mettiamo?

Se consideriamo l’ipotesi dei pannelli in plexiglas una soluzione più adatta a un acquario che a una scuola (e anche qui c’è un problema di costo non indifferente), e siamo tutti concordi che la scuola si fa in presenza e la dad è un rimedio solo emergenziale, come si può fare? Parliamoci chiaro: non tutti hanno le strutture (e il coraggio) dell’istituto alberghiero Dieffe di Valdobbiadene. Per molti, al di là della volontà, la riapertura è una chimera.

Il criterio della distanza

Il Comitato di esperti costituito dal ministro dell’Istruzione e presieduto dal professore Patrizio Bianchi ha tempo fino al 31 luglio per consegnare le sue osservazioni ad Azzolina. Al momento, vi sono poche certezze, ma secondo alcune indiscrezioni la task force dovrà intervenire sul criterio del distanziamento, il più problematico da far rispettare e da cui dipendono tutte le altre scelte (organizzazione degli spazi e reclutamento personale).

L’impressione – e anche la speranza – è che si possa fare scuola anche senza rispettare la distanza di un metro, altrimenti sarà impossibile rientrare in aula in autunno. Sarebbe un bel paradosso: hanno riaperto le discoteche e le sale slot, ma le scuole no. Che diavolo di messaggio stiamo dando ai giovani? Cazzeggiare sì, studiare no?

Non aggiungere regole, ma toglierle

Intervenendo su Repubblica qualche giorno fa (“Settembre è già domani”), il presidente della Fondazione Agnelli Andrea Gavosto ha fatto due osservazioni: 1) «Servirà un articolato ventaglio di soluzioni, ma queste dovranno essere adattate al singolo caso»; 2) «Il dirigente scolastico va aiutato, tranquillizzandolo sulle responsabilità – civili e penali – fornendogli le competenze tecniche necessarie. Altrimenti il rischio è che pecchi per eccesso di cautela».

Quel che si invoca, insomma, è più libertà per le scuole, cioè più autonomia e più flessibilità. Con regole e criteri rigidi, non ce la faremo mai perché troppo diversi tra loro sono gli istituti, non solo da nord a sud, ma anche all’interno delle stesse regioni, delle stesse province, delle stesse città. Ci si fidi degli insegnanti e dei dirigenti, si dia a loro – loro che sanno come è fatta la loro scuola, loro che sanno chi sono i loro studenti – il compito di organizzare e organizzarsi. È assurdo pensare che lo stesso criterio valga per Bergamo e Matera.

Da questo punto di vista, la Commissione Bianchi sembra aver compreso che il problema della riapertura della scuola a settembre non è “aggiungere” regole, ma toglierle. Fissato un minimo di criterio sanitario si lasci poi alle scuole il compito di metterlo in pratica.

Una scuola in lockdown senza il lockdown

Il punto 2 richiamato da Gavosto è importante quanto il primo. Se diamo libertà alle scuole, ma lasciamo la spada di Damocle di ricorsi e denunce – avete presente come funziona in Italia? – chiunque per autotutelarsi non farà nulla. E saremmo punto e a capo. È inutile dare una libertà se poi non permetti di esercitarla. Chiedere uno scudo per i dirigenti scolastici, dopo che non è stato dato ai nemmeno ai medici, è assurdo? Tenendo conto che al governo e a capo del ministero c’è una rappresentante del partito che ha fatto della diffidenza la sua ragion d’essere, sì – ahimè – è abbastanza assurdo.

Ma l’alternativa è avere in autunno una scuola in lockdown senza il lockdown (ve li immaginate i problemi per le famiglie?). Si tratterebbe di un disastro economico, organizzativo e, non da ultimo, educativo.


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