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La prof blogger. "La scuola vera non si tocca. E i miei alunni dicono: ci manca"

Esce per Rizzoli il libro di Valentina Petri, l'insegnante influencer della pagina social "Portami il diario": il racconto ironico e pungente di chi sta in cattedra: "La pandemia ha fatto esplodere problemi atavici di cui si parla nelle sale insegnanti da anni. Per risolverli ci vorrebbe un investimento mostruoso. Non sarà così, purtroppo"

20/05/2020
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la Repubblica

Ilaria Venturi

La scuola, quella che ora rimpiangiamo, raccontata con ironia: quando arrivi e non trovi l'aula perché sei quella nuova, le supplenze "con il loro sense of humour che Woody Allen spostati proprio". E gli studenti che sono stati a pascolare nel laboratorio di informatica cercando di eludere i firewall della scuola: "E poi arrivo io, apro la porta e mi chiedo se per caso non abbia un calmante per sedarli. Invece sotto il braccio ho la mia unica arma di distrazione di massa: il libro di letteratura". Valentina Petri, 42 anni e 15 di scuola alle spalle, è insegnante di Lettere all’istituto professionale Francis Lombardi di Vercelli. È l'autrice della pagina Facebook “Portami il diario” con oltre 52mila follower. Dai suoi post è nato il libro Portami il diario. La mia scuola e altri disastri in uscita oggi per la Rizzoli. Il 20 maggio, la presentazione in diretta su @RizzoliLibri alle ore 18.

Professoressa, perché ha cominciato a raccontare la scuola via social?
"Avevo un blog prima di insegnare, poi con le prime supplenze ho cominciato a raccontare quello che mi capitava nelle classi e alla fine ho deciso di aprire una pagina Facebook, inizialmente con uno pseudonimo. Alcuni post, sull'ultimo giorno di lezione, sulla mia furia rispetto all'ultima sparata del governo di turno, sono diventati virali. E così ho continuato, mettendo il mio nome. Tanti colleghi, anche della primaria, mi leggono, i genitori mi scrivono in privato. I miei post, e ora il libro, riportano tutti tra i banchi".

Il libro rievoca lo schema di "Cuore", solo che non siamo più nella scuola post-unitaria.
"Nessuna poetica del buonismo, uso l'ironia. Mi piaceva l'idea del diario, stavolta scritto da chi sta dall'altra parte dei banchi: tu che sei in un'aula coi ragazzi, bella o brutta che sia, con la lavagna multimediale o i gessetti. La scuola è comunque quella cosa lì e volevo raccontarla: una relazione. Quando dai massimi sistemi arrivi a parlare del tipo che mi ha lasciato, prof che faccio? Quando la tua lezione su Leopardi salta perché i ragazzi ti investono con un  "prof, quello si è suicidato, lo conoscevamo, ma allora esiste Dio, che senso ha la vita? E tu sei lì, con loro. Poi arrivi anche a Leopardi".

Il romanzo ci ricorda di una scuola malandata, amata, sconnessa, dove si aggirano il Trucido, la Leoparda, il Piallato e Tropposbatti. Ci fa ridere e commuovere. Un mondo che ora è sospeso da oltre due mesi. Cosa abbiamo perso e chi ha perso con la didattica a distanza costretta dal coronavirus?
"L'altro giorno in video un mio studente, di quelli che in aula ti fanno vedere i sorci verdi, ha detto: "Prof, mi manca la scuola". Gli ho detto che avrei fatto lo screenshot di quella sua affermazione per rinfacciargliela l'anno prossimo. Hanno perso loro, perché hanno bisogno di stare insieme, di quel viaggio in pulman per arrivare ogni mattina perché magari lì si innamorano della ragazza dell'altra classe, del ritrovo nell'atrio, dell'aula che è un mondo. Al netto di chi si dice felice senza scuola, a loro manca il rito sociale. E anche a noi, a me mancano moltissimo i ragazzi. Vederli in video e nemmeno tutti insieme non è scuola, la didattica a distanza non lo è. Spero che a qualcuno non venga qualche strana tentazione...".

E cioè?
"Di imporre la didattica a distanza come forma di innovazione in nome della modernità. È solo uno strumento, utile in questa emergenza, ma è necessario ripartire a settembre con la scuola in presenza".


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