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Il Piccolo-IN PRIMA FILA CONTRO LA DEVOLUTION -di G.Epifani

IN PRIMA FILA CONTRO LA DEVOLUTION di Guglielmo Epifani Abbiamo sostenuto in tempi non sospetti la necessità di una riforma in senso federale dello Stato che si traducesse in un profondo proces...

21/11/2005
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Il Piccolo

IN PRIMA FILA CONTRO LA DEVOLUTION
di Guglielmo Epifani
Abbiamo sostenuto in tempi non sospetti la necessità di una riforma in senso federale dello Stato che si traducesse in un profondo processo di decentramento di funzioni a Regioni e Comuni
Lo scopo era di avvicinare il più possibile la pubblica amministrazione al cittadino, e garantire contemporaneamente i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
Quei diritti che devono essere esigibili in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Allo stesso tempo abbiamo combattuto con fermezza le posizioni secessioniste per i germi disgregatori che, al di là del folklore o degli aspetti caricaturali, avrebbero potuto portare nel Paese. Organizzammo, assieme a Cisl e Uil, come si ricorderà, la grande manifestazione di Venezia per la salvaguardia dell'unità del Paese. Con la stessa fermezza denunciamo oggi i rischi della cosiddetta devolution, approvata dal Senato in via definitiva. Se non verrà fermata, essa innescherà un percorso che, intervenendo sulla seconda parte della Costituzione, ne aggredirà inevitabilmente anche la prima, che riguarda i diritti fondamentali del cittadino.
La "riforma" consegna infatti il sistema parlamentare nelle mani del premier: viene così indebolito il corretto bilanciamento dei poteri da parte del presidente della Repubblica e del parlamento, e viene condensata nel solo momento elettorale l'espressione di una democrazia che perde la dimensione della partecipazione, fattore determinante per la sua qualità. Il ruolo del capo dello Stato viene circoscritto a un piccolo catalogo di competenze, proprio per snaturarne la funzione, consolidata nella Costituzione del'48, di alto arbitrato politico-istituzionale tra governo, parlamento, corpo elettorale. Tutto il contrario, insomma, di ciò che richiede ogni sistema costituzionale moderno: impedire che una maggioranza possa contemporaneamente governare e promulgare le leggi che definiscono poteri e limiti di chi governa, quelle che garantiscono la libertà e i diritti di tutti i cittadini, minoranze comprese, e quelle che regolano i meccanismi della democrazia.
È messa inoltre in discussione l'unità sostanziale del Paese sul piano territoriale e su quello dell'universalità dei diritti. Viene infatti attribuita competenza esclusiva alle Regioni in materia di sanità, scuola, sicurezza. Si creano così i presupposti per 20 regimi diversi di cittadinanza legati a contingenze politiche o alla ricchezza prodotta nelle singole Regioni. La "riforma" infatti è nata proprio dalla spinta ideologica del secessionismo, che ha creato nella maggioranza la necessità di tenere assieme opposte esigenze, sommando presidenzialismo, centralismo e disgregazione localistica in una miscela potenzialmente esplosiva. Per limitarne i danni si è fatto ricorso, quale antidoto, al principio dell'"interesse nazionale", senza peraltro ancorarlo a precisi criteri previsti nel tessuto costituzionale, ma esprimendolo quale formula politica astratta.
Nessuno capisce quale sarà l'interazione finale tra veleno e antidoto: quel che è certo è che esso genererà conflitti e contenziosi infiniti, capaci di bloccare contemporaneamente la legislazione statale e quella regionale. Contemporaneamente viene prevista una norma transitoria che incentiva per 5 anni la disgregazione territoriale delle Regioni, pezzi delle quali potranno rivendicare la secessione sulla base della sola volontà delle popolazioni che intendono separarsi, senza sentire l'opinione di quelle che la separazione la dovrebbero subire.
Ma l'approvazione della "riforma" richiama con forza anche la necessità di una riflessione sul rapporto tra la Resistenza, che riscattò l'Italia dal fascismo e dalla guerra perduta, e la Costituzione, costruita da forze politiche caratterizzate da profonde diversità culturali e ideologiche, che ebbero però il senso di responsabilità e la capacità di costruire un tessuto di regole che ha tenuto unito il Paese anche di fronte alle contrapposizioni più accese e drammatiche. Non possiamo accettare che questo patrimonio della storia dell'Italia repubblicana vada disperso e che i diritti dei cittadini del nostro Paese siano diversi da zona a zona. Per questo condivido l'appello promosso dai segretari generali di Cgil, Cisl, Uil di Trieste e sottoscritto da autorevoli studiosi, da grandi scrittori, da sacerdoti e da politici, da imprenditori e da operai, da medici e infermieri, accomunati dalla stessa passione civile. Per questo saremo in prima fila a promuovere e sostenere il referendum abrogativo.
Guglielmo Epifani


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