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Affinati “Con le lezioni di quaranta minuti ragazzi più concentrati”

Questa condizione di emergenza ci sta facendo riflettere su questioni antiche

30/05/2020
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la Repubblica

Corrado Zunino

Eraldo Affinati, lei è uno scrittore vicino alla scuola. Ha pubblicato “Elogio del ripetente”, due libri su Don Milani. La lezione di 40 minuti, proposta alla ministra Lucia Azzolina dal comitato di esperti per la riapertura a settembre, serve agli studenti italiani e ai loro professori?

«La ragione di partenza è la necessità di recuperare ore di insegnamento per i docenti che dovranno seguire più classi, divise per il distanziamento sociale. Dentro l’emergenza, però, si possono trovare opportunità per cambiare una scuola invecchiata».

Quali opportunità?

«Il livello di attenzione dei nostri adolescenti è calato. Superato il primo quarto d’ora di lezione, la loro concentrazione si abbassa. È un fatto. Oggi il rischio è quello della finzione pedagogica: fai finta di insegnare e i ragazzi fanno finta di ascoltarti. È decisamente meglio avere 40 minuti di un ascolto attivo, piuttosto di un’ora di passività.

Certo, anche i quaranta minuti vanno valorizzati».

Come, secondo lei?

«Lo dicono in tanti, lo dico anch’io: serve superare l’idea della lezione frontale, con il professore spartitore di traffico concettuale. Non può essere più questa la modalità esclusiva. Bisogna usare di più i laboratori, fisici e mentali, dove bambini e ragazzi possono partecipare senza azioni di sudditanza. Dobbiamo renderli protagonisti, ecco».

I 40 minuti di lezione meritano di diventare strutturali?

«Questa condizione di emergenza ci sta facendo riflettere su questioni antiche come, per esempio, le classi pollaio. Potremmo utilizzare questa situazione per avviare soluzioni durature. Con trenta ragazzi davanti, uno diverso dall’altro, non puoi organizzare alcun percorso personalizzato. Una classe più stretta e calibrata è più efficace.

Servono insegnanti, però, e la questione centrale resta la stessa: le risorse».

Altre riforme in cui crede?

«È arrivato il momento di superare il concetto di una classe chiusa che avanza, compatta, verso il raggiungimento della meta, il programma, il voto, il diploma. Tutti insieme, chi fatica, chi è in linea, chi si annoia perché è più avanti.

Sperimentiamo i moduli, classi aperte che accolgono, ognuna per la sua parte, i ragazzi che hanno raggiunto lo stesso livello di preparazione. Non certo per cementare le differenze, ma per consentire di arrivare al traguardo, ognuno con la sua strada e la sua velocità».

La commissione Bianchi crede nelle lezioni all’aperto, nei musei.

«Andare fuori è un altro modo per superare la classe chiusa. Fuori scattano altri meccanismi logici. Lo studente non deve stare fermo a prendere appunti, agisce. La cattedra drammatizza tutto. Fuori si crea un rapporto diverso con l’insegnante. In un parco il docente non è più il giudice che registra i tempi dei concorrenti: tu hai vinto, tu hai perso. Diventa una guida e insieme ai ragazzi può raggiungere, o non raggiungere, l’obiettivo. Anche la valutazione può diventare a ingranaggi scoperti. Non ti do un voto per tenderti un agguato, preferisco mostrare a te e ai compagni il lavoro che sto facendo con loro. Si chiama valutazione condivisa, è uno dei centri del pensiero di Don Milani. In giro non la vedo, non siamo riusciti a superare la valutazione schematica».


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