La nostra maturità e quella degli altri
La stampa di questi giorni registra le ansie dei candidati alla maturità. Come vanno le cose nel resto d’Europa?
“Maturità”, una volta si chiamava così. Adesso è l’Esame di Stato (il nome fu cambiato ufficialmente da Berlinguer, anche se si è sempre trattato di un esame di stato), ma nel senso comune è sempre rimasta “la maturità”, prova per eccellenza dei percorsi scolastici. Solo negli anni cinquanta il famigerato esame di ammissione alla scuola media poteva vantare una simile capacità di suscitare ansie ( anche se c’è da dire che non era da meno neppure l’esame tra ginnasio e liceo classico, che c’era fino al 1969 e che era tenuto dai docenti del triennio liceale, direttamente interessati a selezionare i propri alunni futuri).
E ansie ha continuato suscitarne anche quando nel 1969 fu decisamente ridotto a sei discipline (due scritte fisse e due orali, di cui una a scelta del candidato e una a scelta della commissione su una rosa di quattro). Sicuramente più semplice tanto più che le sei discipline erano in realtà cinque perché l’italiano c’era sempre sia allo scritto che all’orale, ma anche perché si diffuse l’uso presso tutte o quasi le commissioni di fare scegliere anche la seconda disciplina al candidato, sicché il tutto si ridusse a quattro discipline secche: le due scritte, nazionali, e le due orali a scelta del candidato.
Con Berlinguer le prove scritte divennero tre, di cui la terza interdisciplinare, così come interdisciplinare diventava l’orale. Sicuramente un po’ più difficile e un po’ più di ansia, anche sei commissari interni passavano da uno a tre su sei.
Con la Moratti le prove rimasero le stesse, ma tutto l’esame divenne interno: più che un esame vero e proprio un’ultima prova con gli stessi professori di sempre, ma col rischio di una svalutazione totale del titolo di studio. Nondimeno i quotidiani di giugno di quegli anni hanno continuato a rimandarci ansie da notte prima degli esami, magari solo per esigenze di cronaca e di vendita.
Con Fioroni la commissione è tornata ad essere al 50% esterna e quindi, insieme a maggiori garanzie per il valore del proprio titolo di studio, qualche ragione di apprensione in più per i candidati e le loro famiglie in questi due anni si è aggiunta.
A fronte di tre cambiamenti nel giro una decina di anni (un record se si pensa che il modello del 1969, che doveva essere sperimentale, rimase in vigore 29 anni), di fronte alle consuete polemiche, aggravate anche dai costi dell’esame stesso (questa era la ragione principale della sua “internalizzazione” ai tempi della Moratti) che cosa ci offre invece il panorama europeo?
Innanzi tutto in Europa un esame terminale paragonabile alla nostra “maturità” non è un patrimonio comune: ci sono paesi che non lo hanno e che quindi si affidano sulla valutazione dell’alunno nel corso del percorso scolastico secondario superiore, ce ne sono altri per i quali non è strettamente necessario al termine del percorso secondario e altri ancora per i quali invece è abbastanza simile al nostro.
Non hanno un esame terminale ad esempio il Belgio e la Spagna.
In Belgio non esiste un esame terminale ma esistono veri e propri esami di verifica a dicembre e a giugno di ogni anno. E’ in corso tuttavia un dibattito sull’argomento.
In Spagna il Bachillerato viene dato alla fine del percorso secondario superiore senza prove di esame, ma esistono poi gli esami per le ammissioni alle facoltà universitarie. Nel programma di Zapatero c’era un punto, non ancora realizzato, che prevedeva una prova nazionale che servisse sia come uscita dal percorso secondario superiore che come prova di ammissione all’università. Era uno dei punti di differenza fondamentali col programma delle destre che invece propendono per lo sbarramento a livello di ammissione all’università.
In Finlandia l’esame ha un nome per noi impronunciabile: Ylioppilastutkinto. E’ di fatto un esame di ammissione all’università. Vi accedono sia coloro che provengono da studi generalisti che da studi professionali. E’ composto da 4 prove che si tengono in due sessioni e che riguardano l’ultimo anno, ma nel certificato viene annotato il lavoro dell’alunno durante tutto il ciclo scolastico.
Nel
Regno Unito un esame corrispondente alla maturità esiste solo per coloro che vogliono proseguire nell’università e si chiama
A-Level. Il titolo a cui tutti gli alunni inglesi devono arrivare è invece il GCSE (
General Certificate of Secondary Education) che si consegue a 16 anni. Meno del 40% di coloro che hanno un GCSE continua verso l’
A-Level.
L’
A-Level si consegue generalmente a 18 anni attraverso due passaggi: un primo livello (
GCE AS Level) si ottiene il primo anno dopo il GCSE frequentando con profitto 5 discipline, il secondo anno se ne studiano appena tre ma a un livello superiore (A2). Il
GCE A.Level si compone di unità capitalizzabili, bisogna unire tre di queste unità per ottenere un
A-level completo. Quasi tutte queste unità sono oggetto di un esame alla fine del secondo anno, ma per alcune basta anche la valutazione urante il percorso scolastico.
In Irlanda gli studenti scelgono sei discipline (inglese e matematica sono obbligatorie), ma anche il livello di difficoltà ( foundation, ordinary e higher level). La valutazione avviene sul programma dei due anni di corso e i voti nelle diverse discipline danno punti che permettono loro di accedere alle università o di continuare gli studi. Il titolo si chiama Leaving Certificate.
Anche in Francia la valutazione è su tutti gli anni di corso e l’esame di Baccalaureat è composto da 9 o 10 prove scritte e orali, più le opzioni facoltative. Solo l’esame conta ai fini del diploma che permette l’accesso alle università, mentre per altre filiere post-secondarie come le prestigiose Grandes Ecoles bisogna passare altre selezioni precedute da corsi preparatori.
In Germania gli studenti tedeschi superano l’ Abitur intorno ai 19 anni, dopo 13 anni scolarità (ne sono esclusi dunque i percorsi professionali che in genere hanno 12 anni di scolarità). In alcuni lander dell’Est tuttavia gli anni scolarità sono 12. L’esame è soprattutto basato sulla valutazione della cultura generale degli alunni. E’ composto da 4 prove (2 o 3 scritte e 1 o 2 orali) a cui si aggiunge una memoria scritta o una tesina. Il programma è quello dell’ultimo anno e si tiene anche conto dei risultati che l’alunno ha avuto durante l’ultimo anno. L’esame è proprio solo conclusivo, perché per accedere all’università o ad altri percorsi terziari, bisogna fare altri esami.
La Grecia anticipa ufficialmente la fine degli studi secondari rispetto al resto d’Europa. Gli studenti greci terminano infatti a 17 anni. L’esame è di competenza di ciascun liceo e tiene conto del programma e del lavoro svolto dall’alunno nell’ultimo anno. Ma per continuare gli studi gli studenti greci devono successivamente superare un esame nazionale nella disciplina prescelta e questo esame richiede almeno un altro anno di studi e di lezioni preparatorie.
Anche il Portogallo termina gli studi secondari a 17 anni con un esame che rilascia un Certificato di fine degli studi secondari. L’esame è formato solo da prove scritte basate sul programma dell’ultimo anno. Anche l’andamento dell’ultimo anno ha un suo riflesso sui risultati.
Roma, 16 giugno 2008