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Testo Unico su salute e sicurezza: prime osservazioni della FLC

Il nuovo testo contiene alcune correzioni che non sono certo sufficienti a modificare il nostro giudizio complessivo

14/12/2004
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1. Introduzione.
Lo schema di Testo unico su Salute e Sicurezza, in attuazione della delega conferita al Governo dall’art.3 della legge di semplificazione 2003, ha visto varie versioni. In queste brevi considerazioni viene tenuto in considerazione il testo licenziato in primo esame dal Consiglio dei Ministri il 18 novembre u.s..
Rispetto alla versione precedente del 4 novembre il nuovo testo contiene alcune correzioni che non sono certo sufficienti a modificare il nostro giudizio complessivo che rimane sostanzialmente negativo.
Lo schema di decreto dopo il varo da parte del Consiglio dei Ministri seguirà il suo iter: “negoziato” con le parti sociali, Conferenza Stato/Regioni, Parlamento per essere poi varato in via definitiva da un secondo consiglio dei Ministri in primavera.
A tal proposito con il D.L. 266/04 (in corso di conversione) il termine per l’emanazione definitiva viene prorogato al 30 giugno 2005.

Il giudizio di CGIL CISL e UIL sulla schema di Testo Unico è estremamente negativo perché si muove all’insegna della deregulation e della depenalizzazione che, nella sostanza, deresponsabilizza i datori di lavoro e indebolisce le tutele, costituzionalmente garantite, dei lavoratori.

Se il progetto del Governo dovesse andare in porto ci troveremo di fronte, non solo davanti ad un complesso di norme in aperta contraddizione con le direttive europee, ma alla reale minaccia di scardinamento della coesione sociale del Paese.

Del resto la via alla deregulation anche in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, si muove nella stessa logica, con la stessa filosofia e con gli stessi obiettivi delle altre deleghe al Governo su lavoro, scuola, previdenza ecc.: ridurre l’orizzonte dei diritti e delle tutele dei lavoratori a favore delle imprese puntando sulla competitività al ribasso a danno della qualità.

Ricetta questa cara ad una destra “nostrana” incapace di far uscire il nostro Paese dalla profonda crisi economica cui è stato relegato a seguito delle scelte politiche ed economiche sbagliate di questo Governo. Altro che opposizione ideologica del sindacato confederale!

Con il varo del Testo Unico, il Governo ha aperto di fatto un nuovo e preoccupante fronte all’interno dello scontro più generale con il movimento sindacale e progressista.

CGIL CISL e UIL ritengono che è possibile battere la politica di deregulation messa in atto dal Governo attraverso la mobilitazione del mondo del lavoro anche sui temi della salute e della sicurezza per sollecitare Regioni, Parlamento e opinione pubblica affinché si giunga ad una normativa in grado di garantire la tutela di tutti i lavoratori, dipendenti e non, da parte non solo delle realtà produttive private, ma anche di quegli ambienti pubblici di studio e di lavoro che sono ancora in grave ritardo rispetto alle norme di sicurezza.

Lo sviluppo democratico, civile ed economico di un paese non può non prescindere dalla reale tutela della salute e della sicurezza nel lavoro e del lavoro.

Derubricazione e depenalizzazione
Con il pretesto di un Testo Unico finalizzato al riordino ed alla esemplificare della normativa oggi esistente, il Governo di fatto ha riscritto l’intera normativa inserendo novità importanti e inquietanti che di fatto cancellano quelle norme, quei vincoli e quegli obblighi previsti dalla legge posti a carico dei datori di lavoro pubblici e privati.
Si tratta di una operazione molto ampia che riguarda gran parte della normativa sulla sicurezza, con l’esclusione solo di alcuni settori particolari soggetti a normative specifiche (le cave), dove la razionalizzazione delle normative in vigore assume i connotati di una vera e propria riscrittura della normativa.
In particolare sono state riunificate molte direttive comunitarie, a partire dalla “direttiva quadro” e dalle direttive collegate che in Italia hanno dato luogo alla 626, attraverso un loro nuovo recepimento (con l’approvazione del T.U. la 626 sarà abrogata). Ciò consente di mantenere a livello normativo i contenuti delle Direttive (operazione indispensabile, pena la condanna da parte della Corte di Giustizia della U.E.), mentre sono derubricati e quindi ricondotte a norme di buone tecnica o a norme di buone prassi i contenuti derivanti dalla maggior parte della normativa previgente alla 626. Basti pensare alle norme antinfortunistiche (DPR 547/56) , alle norme sulla prevenzione degli infortuni nelle costruzioni (DPR 164/56) fino al quelle sull’amianto e sul rumore (D.Lgs 277/91) che con l’approvazione del T.U. saranno abrogate.
Vale la pena ricordare che le norme di buona tecnica sono “specifiche tecniche di prodotto” adottate da Enti di Normazione, relative agli aspetti di sicurezza dei cittadini, alla tutela dei consumatori e alla tutela dell’ambiente; per statuto e per loro natura sono esclusivamente norme volontarie e rappresentano una delle possibili vie per ottenere la marcatura CEE dei prodotti; non sono previste dalle Direttive su Salute e sicurezza.
Inoltre la vasta depenalizzazione non era prevista dalla stessa legge–delega, che fa riferimento alla adozione di sanzioni amministrative esclusivamente per gli adempimenti di carattere documentale, e può rappresentare, quindi, un caso di eccesso di delega.
Invece nella bozza di T.U. si opera un’inaccettabile connessione fra i due aspetti: il rispetto delle norme di buona tecnica equivalgono al rispetto delle Direttive di salute e sicurezza.
Nella sostanza vi è un’ampia depenalizzazione per il reato della messa in pericolo di persone, in quanto si opera non intervenendo indirettamente sul codice penale ovvero le sanzioni penali scattano solo se c’è un infortunio, in quanto non sono modificate le sanzioni per il reato di lesioni colpose e per omicidio colposo.
La trasformazione in norme volontarie delle legislazione sulla sicurezza ante 626 ha l’effetto, non solo di una mancata deterrenza rispetto all’applicazione di misure preventive, ma anche quello di far venire meno il suo carattere di vincolo tecnico comportamentale nella valutazione dei rischi e nell’obbligo di rimuovere i rischi.

La fine della partecipazione
Oltre agli aspetti legati alla derubricazione e alla depenalizzazione, il nuovo Testo unico prosegue nella direzione di una più completa deregulation del sistema uscita dall’approvazione del D.Lgs 626 in stretta analogia con quanto già operato in materia di mercato del lavoro con l’introduzione della legge 30.

La logica partecipativa viene sostituita con altri due principi di ispirazione “maroniana” fondati sul cd “dialogo sociale” e esaltazione della bilateralità. Non si tratta di un mero aspetto nominalistico ma l’effettivo stravolgimento di tutta la filosofia del D.Lgs 626.

Di fatto il lavoratore da destinatario della sicurezza e da soggetto attivo nell’elaborazione delle misure di tutela della salute e della sicurezza ritorna ad essere soggetto passivo e quindi non direttamente partecipe ai processi prevenzionali nel luogo di lavoro. Addirittura rispetto alla concezione pre 626 si compiono ulteriori passi indietro in quanto il tutto è affidato alla “volontà” del datore di lavoro e alle sue buone pratiche e non al rispetto di quegli obblighi imposti dalla legge perseguibili penalmente in caso di inottemperanza.

Al “dialogo sociale” viene affiancato l’istituto della bilateralità cui collegare la semplificazione degli adempimenti nonché lo sviluppo delle responsabilità sociale delle imprese. Gli organismi paritetici territoriali vengono sostituiti con gli enti bilaterali a cui vengono attribuiti compiti, funzione e ruoli impropri tra i quali spicca, nelle aziende con meno di 100 dipendenti, la possibilità di rilascio di certificazione sull’applicazione delle norme di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Cosa succede nel pubblico impiego laddove non sono previsti gli Enti Bilaterali ?

Mentre vengono sminuiti ruoli e funzioni degli organi pubblici di vigilanza.
In questo senso l’operazione è analoga a quella introdotta dalla legge 30 per cui vi è una riduzione del ruolo delle Regioni, una mancanza di sedi di coordinamento. Vengono, infatti, aboliti i Comitati Regionali di coordinamento fra tutti i soggetti competenti in materia di sicurezza (previsti dall’art.27 della 626), e viene centralizzato il controllo sulla materia affidato al Ministero del Lavoro, al quale vengono convogliate anche nuove risorse attraverso il conferimento del 20% della sanzioni.
Ci troviamo di fronte ad radicale inversione di tendenza dove lo stesso ruolo degli RLS viene fortemente ridimensionato mentre cresce a dismisura quello degli enti bilaterali.
La diminuzione dei poteri degli RLS è resa ancora più evidente dalla scomparsa del diritto all’accesso e alla consegna del Documento di valutazione dei rischi, come pure scompaiono il diritto del RLS di accedere al registro infortuni, il diritto di richiedere, nelle piccole aziende, la riunione periodica e il diritto alla consultazione sulla formazione dei lavoratori. Mentre l’RLS è tenuto al rispetto del segreto industriale per quanto riguarda la valutazione dei rischi.
Insomma gli aspetti più significativi dello spirito partecipativo voluto dal legislatore comunitario e recepito dal 626 vengono meno per far posto alla bilateralità e al dialogo sociale che di fatto escludono il coinvolgimento e la partecipazione dei lavoratori alla realizzazione di un sistema prevenzionale efficace e idoneo a garantire tutele e certezze.

Campo di applicazione e computo dei lavoratori ai fini di determinati obblighi del datore di lavoro
La via della deregulation, oltre a smantellare lo spirito partecipativo, prosegue inesorabilmente anche su altri aspetti significativi quali ad esempio il campo di applicazione. Anche qui ritorna la logica della legge 30 ovvero quella di smantellare di fatto il mercato del lavoro e di dividere i lavoratori tra garantiti e non garantiti.
Mentre nella relazione viene pomposamente affermato l’ampliamento del campo di applicazione della tutela prevenzionistica a tutte le figure di lavoratore (con esclusione dei lavoratori domestici), in realtà per i lavoratori precari si configura anche per legge la precarietà delle condizioni di salute e sicurezza, poiché nella proposta di T.u. viene previsto che essi non vengono computati nel numero lavoratori con il quale vengono fissate le soglie da cui discendono determinati obblighi per il datore di lavoro.
Vengono inserite fra le tipologie che non devono essere computate nella determinazione del numero dei lavoratori tutte le tipologie previste nel d.lgs 276, gli studenti, i co.co.co. i lavoratori socialmente utili, gli stagisti e gli utenti di servizi di orientamento e formazione scolastica e universitaria, i lavoratori stagionali delle aziende agricole, i lavoratori in prova e quelli assunti in sostituzione di altri con diritto di conservazione del posto. Insomma concorrono alla determinazione del numero di lavoratori solo quelli a tempo indeterminato e particolari tipologie di lavoratori con contratto a tempo determinato (es. i supplenti annuali nella scuola).
La stessa estensione del campo di applicazione della tutela ai lavoratori autonomi (compresi i collaboratori e i lavoratori a progetto), peraltro prevista da una “raccomandazione” comunitaria, si limita all’obbligo dell’uso dei dispositivi di protezione individuale e alla sorveglianza sanitaria, senza alcuna forma di promozione e di sostegno.
Se prendiamo in considerazione le realtà lavorative della scuola pubblica e privata, della formazione professionale, delle università e degli enti di ricerca ci troviamo di fronte ad una netta distinzione tra soggetti garantiti (o meglio coperti dalle disposizioni del T.U.) e soggetti non garantiti come se la salute e la tutela del lavoratore fosse considerata solo un diritto esigibile solo in particolari circostanze.
Da ciò ne consegue che nelle realtà con meno di 15 dipendenti (elevata da 30 a 50 per le aziende artigiane e industriali) viene consentito che il datore di lavoro non è tenuto a svolgere almeno una volta all’anno la riunione periodica, che viene relegata al misero ruolo di “buona prassi” in tutte le altre realtà.
Nell’attuazione delle misure generali di tutela il datore di lavoro non è tenuto a consultare e a far partecipare il lavoratori e i loro rappresentanti sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro.
La stessa definizione di datore di lavoro rispetto agli obblighi posti a suo carico risulta essere fortemente ridimensionata: il datore di lavoro può infatti delegare ai propri dirigenti compiti, funzioni e responsabilità. Quest’ultimi rispondono in proprio una volta che gli è stato affidato l’incarico.

Alcune considerazioni sui comparti che la FLC rappresenta
In via preliminare va detto che il Testo unico recepisce la normativa del 626 secondo la quale nelle università, negli istituti di istruzione universitaria, negli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, negli archivi, nelle biblioteche, nei musei e nelle aree archeologiche dello stato, oltre ovviamente alle altre elencate nella legge e riportate nel testo, le norme del Testo Unico sono individuate con apposita decretazione da parte dei Ministeri competenti di concerto con Lavoro, Sanità e Funzione Pubblica.
Quindi quasi sicuramente i decreti attuativi emanati nel 1998 saranno soggetti ad una revisione.
Per quanto invece riguarda le ricadute del Testo unico sui settori e comparti che organizziamo possiamo affermare che avranno ripercussioni preoccupanti e inquietanti sia per via delle questioni di carattere generale che per quelle particolari.

a) Dialogo sociale. L’applicazione di questa pratica sindacale, benché, limitata alla materia salute e sicurezza è destinata a confliggere in maniera pesante con le attuali strutture contrattuali che vedono nella contrattazione ai vari livelli e nelle RSU o RSA (scuola privata e formazione professionale) la loro centralità. Va da sé che nella migliore delle ipotesi la materia salute e sicurezza si riduce ad una semplice informativa con il conseguente svuotamento del ruolo del RLS, benché incardinato nelle rappresentanze sindacali dei lavoratori, in aggiunta alle limitazioni di carattere generale previste dal nuovo T.U.. Inoltre a Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza vengono ridotte o limitate drasticamente alcune sue prerogative: l’accesso ai luoghi di lavoro deve avvenire nel rispetto delle esigenze produttive e previa informativa al datore di lavoro o al dirigente o al preposto; è tenuto al segreto industriale e non solo a quello d’ufficio; non ha accesso né al documento né al registro degli infortuni. E’ una regressione gravissima: si limitano i diritti e gli interventi degli RLS.

b) Bilateralità. Gli Enti Bilaterali non sono contemplati nei contratti collettivi del comparto pubblico che invece nei rispettivi contratti prevedono gli organismi paritetici. Tra i due organismi vi è una sostanziale differenza non solo per via di quanto previsto nel testo unico che allarga i compiti, le funzioni e i ruoli attribuendo loro ad esempio compiti di certificazione, ma anche per via delle finalità istituzionali. Gli Enti Bilaterali di fatto hanno poteri impropri e autonomi di governo e vigilanza che nella PA potrebbe favorire momenti di cogestione e consociativismo pericolosi sostituendosi così alla contrattazione e ad ostacolo all’affermazione concreta dei diritti.

c) L’esclusione dal computo dei dipendenti per l’applicazione di determinati obblighi posti a carico dei datori di lavoro significa, per settori attraversati dalla presenza di numeri consistenti di lavoratori precari tipici e atipici, abbassare la soglia delle tutele e dei diritti. In molte realtà dell’istruzione privata, della formazione professionale, degli enti di ricerca ecc. il numero degli atipici e dei precari è largamente superiore ai lavoratori stabili.

d) La depenalizzazione e la derubricazione di alcuni obblighi del datore di lavoro, sostituiti con la norma di buona tecnica e la norma della buona prassi, ovvero con norme volontarie, comporta inevitabilmente un’azione arbitraria e aleatoria di tutti gli interventi che vanno dalla elaborazione del documento di valutazione dei rischi fino all’ individuazione e all’adozione delle misure di prevenzione. Basti pensare alla messa a norma degli edifici scolastici o all’adozione di misure alternative per la rimozione dei rischi in caso di pericolo presente. Il tutto comunque mette in discussione la possibilità di avere un sistema prevenzionale adeguato e idoneo. Inserire nelle misure generali di tutela il concetto pericoloso secondo il quale le misure tecniche ed organizzative devono essere concretamente attuabili in quel settore in quanto generalmente utilizzate, significa per i datori di lavoro far cadere il principio generale dell’obbligo di ricorrere alla massima sicurezza tecnologicamente fattibile, previsto dall’art.2087 del Codice Civile e ripreso dalla 626. Il tutto sostituito, più limitatamente, con il riferimento a misure basate su uno standard medio e soggette alle esigenze organizzative dell’impresa o a logiche di mercato.

e) L’abrogazione di alcune disposizioni legislative sulle norme antinfortunistiche, sugli infortuni nell’edilizia, sui cantieri mobili, sull’amianto e il rumore ecc. produrrà inevitabilmente un ulteriore processo di deresponsabilizzazione con l’inevitabile arretramento dei processi della messa a norma delle attrezzature, delle stesse strutture e dei laboratori.

f) L’aver attribuito ai dirigenti, se delegati, gli stessi obblighi previsti per il datore di lavoro comporta per quest’ultimo una riduzione di responsabilità che invece vengono addossate direttamente al dirigente, anche della pubblica amministrazione, senza che venga sufficientemente definito l’orizzonte dei diritti e dei doveri. A tal proposito vale la pena sottolineare che gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso alle pubbliche amministrazioni e alle istituzione scolastica sono a carico dei proprietari degli immobili. Però i dirigenti e i funzionari preposti sono svincolati da tali obblighi solo con la semplice richiesta del loro adempimento rivolta al soggetto che ne ha l’obbligo giuridico ossia il proprietario. Si deresponsabilizza senza che vi sia l’obbligo, in presenza di situazione fuori norma e a rischio, di adottare misure temporanee tese a ridurre il rischio.
g) Del resto quanto appena detto trova conferma nell’eliminazione dell’obbligo da parte del datore di lavoro o del dirigente di prevedere un programma delle misure da intraprendere per garantire il miglioramento della sicurezza.
h) E’ ampliata notevolmente la platea dei soggetti che possono svolgere attività di formazione obbligatoria, idonea e certificata estesa anche alle associazioni padronali e sindacali, alle Università, all’Associazione dei consulenti del Lavoro, all’ISPELS, all’Inail, alla Difesa ecc.. Insomma soggetti pubblici e privati possono a vario titolo svolgere attività di formazione in tema di salute e sicurezza senza che abbiano requisiti specifici in quanto agenzie formative. Nelle amministrazioni pubbliche i corsi di formazione sono finanziati entro i limiti di spesa che ciascuna amministrazione stabilirà o nei limiti definiti dalla legislazione vigente.

i) Nel T.U. sembra che le finalità istituzionali dell’ISPELS vengano modificate attribuendo all’Istituto non più compiti di ricerca ma di vigilanza e formazione.

j) La normativa sui cantieri temporanei e mobili non è prevista in quei luoghi dove non trova applicazione il T.U. Questo apre un problema sull’applicazione del T.U. ai cantieri delle campagne archeologiche, geologiche, marittime come previsto nel decreto 363/98.

Dall’analisi fin qui esposta appare chiaro che l’intendimento del Governo è quello di favorire la parte più retriva degli imprenditori che hanno sempre ritenuto l’adeguamento alle norme sulla sicurezza un adempimento inutile e costoso.
Con lo slogan “sicurezza non per regole, ma per obiettivi” il Governo, che non stanzia i fondi per adeguare alle norme di sicurezza gli istituti scolastici, invece di aggiornare il D.lgs 626 recependo al meglio le direttive europee, riporta indietro l’Italia, addirittura agli anni cinquanta, con costi sociali altissimi in termini di incidenti gravi e a volte mortali.

Roma, 14 dicembre 2004

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