Contro l'attacco alle pensioni: 24 ottobre sciopero generale
La risposta unitaria dei sindacati confederali alle false e pretestuose esternazioni del Presidente del Consiglio , è stata immediata: sciopero generale il 24 ottobre e l’inizio di un lungo percorso di lotta, mobilitazione ed informazione
La risposta unitaria dei sindacati confederali alle false e pretestuose esternazioni del Presidente del Consiglio , è stata immediata: sciopero generale il 24 ottobre e l’inizio di un lungo percorso di lotta, mobilitazione ed informazione.
La gravità delle posizioni che sta assumendo il governo è a tutto campo. Investe sia il metodo che il merito delle cose.
Il giorno prima del previsto confronto con i sindacati sulla riforma previdenziale, Berlusconi, senza possibilità di contraddittorio, in televisione, elargisce agli Italiani la propria verità sul perché della necessità della riforma. Lo fa basando il suo pacato ragionamento su mezze verità e su falsità vere e proprie ed annuncia che chi non la pensa come lui è un ingannatore.
Berlusconi non convince ed è chiaro che ha paura, perché sa bene che la posizione dei sindacati è sostenuta da argomentazioni forti, mentre gli effetti della riforma sono facilmente intuibili e sono una disgrazia per i cittadini e per il futuro del sistema previdenziale.
Vediamo questi effetti, mettendo in ordine i 3-4 punti principali che ci è dato di conoscere, perché ogni giorno che passa, le sorprese si moltiplicano, come dimostra l’ultimo fatto per cui gli incentivi a non lasciare il lavoro prima dei 65 anni di età o dei 40 anni di contribuzione, riguardano solo i lavoratori del settore privato e non quelli del settore pubblico.
L’Inps fonda la propria attività sul fatto che le contribuzioni che vengono versate nelle sue casse dai lavoratori in attività, servono per pagare le pensioni a coloro che hanno cessato l’attività lavorativa.
Maggiori sono le entrate contributive, maggiori sono le sue disponibilità per erogare pensioni.
L’invecchiamento della popolazione può portare ad un disequilibrio tra lavoratori attivi e lavoratori in quiescenza.Questo problema è già stato affrontato nel 1995 con la riforma Dini che ha innalzato i requisiti contributivi e di età anagrafica per poter accedere alle pensioni di anzianità ed è anche intervenuta sul rendimento delle pensioni.
Adesso il sistema previdenziale pubblico si trova in una situazione di buona salute e di equilibrio, nonostante la riforma Dini non sia ancora entrata completamente a regime.
Certamente il problema dell’invecchiamento della popolazione va affrontato, ma sicuramente non eliminando le pensioni di anzianità come vorrebbe fare il governo dal 2008, ed in modo secco, ma aumentando il tasso di occupazione stabile, e non precaria, ed intervenendo sull’evasione contributiva che rimane a livelli elevatissimi.
La proposta governativa di portare, dal 2008, la contribuzione minima a 40 anni, vuol semplicemente dire che si chiude con le pensioni di anzianità.
Dal 2006, maturano i requisiti per la pensione di anzianità (con le regole attualmente in vigore) circa 400.000 lavoratori della scuola. Molti di costoro dovranno rassegnarsi a lavorare 3,4,5 anni in più di quanto avevano previsto.
Piani, progetti, sogni possono essere rimessi nel cassetto. La capacità distruttiva del governo arriva anche ad intaccare le legittime aspettative future. Aspettative che nessuno ha regalato ma che sono state conquistate con anni di lavoro.
Gli incentivi per rimandare la data del pensionamento valgono soltanto fino al 2008 e solo per i dipendenti del settore privato. Perché questo accanimento contro i pubblici dipendenti?
Perché un insegnante della scuola privata dovrebbe avere questo “beneficio” ed uno della scuola pubblica no? E parimenti perché un infermiere dipendente della sanità privata sì e uno della sanità pubblica no?
Per una questione di cassa. Lo stato dovrebbe versare all’INPDAP la contribuzione previdenziale, cosa che non fa se non al momento del pensionamento. Ha quindi sempre a disposizione una massa ingente di capitale di manovra. Se venissero applicati gli sgravi anche ai dipendenti pubblici, invece dovrebbe versare mensilmente i contributi al lavoratore e questo intaccherebbe inevitabilmente le disponibilità economiche del governo. Ma la riforma del sistema pensionistico, non doveva essere solo per il bene dei cittadini?
In ogni caso, questa che pare una regalia, non è detto che sia effettivamente conveniente, perché il versamento dei contributi produrrebbe un beneficio in termini di rendimento pensionistico superiore alla quantità di denaro che uno riceverebbe subito nel corso dei massimo 5 anni di decontribuzione. Ma questa è anche una questione di aspettativa di vita.
In ultimo, l’obbligatorietà del versamento del TFR ai fondi pensione. Oltre all’odiosità dell’obbligo del versamento, ci troviamo di fronte all’evidente tentativo di dare un forte impulso alla previdenza complementare privata (a cui membri autorevoli del governo non sono estranei). Diciamo questo perché se fosse reale la volontà di far partire la previdenza complementare con le regole attuali, il fondo pensioni dei lavoratori della scuola sarebbe già decollato, avendo siglato l’accordo istitutivo ormai quasi tre anni fa. Il governo si porta anche questa responsabilità: quella di danneggiare economicamente tutti i lavoratori della scuola e di minare le pensioni dei più giovani.
Ma tutto questo Berlusconi in televisione non lo ha detto.
Glielo diremo noi da subito e con forza il 24 ottobre.
Roma, 2 ottobre 2003