La violenza sulle donne si può fermare, anche la scuola deve fare la sua parte
Nella Giornata Internazionale contro la violenza alle donne diffusi dai media i dati allarmanti del nostro Paese.
Come ci ricorda la stampa negli articoli dedicati oggi 25 novembre alla celebrazione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, dal 2000 a oggi sono 2.800 le donne uccise in Italia, 116 nei primi sei mesi del 2016, quasi sempre (92,5%) per mano di un uomo, quasi sempre (80%) in famiglia, quasi sempre (70%) all’interno di una relazione di coppia.
In questa macabra statistica non sono solo i numeri a far rabbrividire, perché le donne sono accoltellate, strangolate, stuprate, seviziate, bruciate con un carico di violenza che colpisce anche per i modi estremi in cui si manifesta, senza connotazioni sociali, geografiche o culturali perché il compagno laureato uccide con la stessa efferatezza dell’analfabeta, al Sud come al Nord, in situazioni degradate come negli ambienti dell’alta borghesia.
Numeri da progressione geometrica - in controtendenza rispetto all’affermazione della donna nel mondo del lavoro e alle pari opportunità - che ad ogni morte e ad ogni gesto di violenza interrogano il nostro Paese sulle misure da assumere per arginare il fenomeno.
Leggiamo sulla stampa che cominciano a diffondersi in Italia i Centri di ascolto per uomini maltrattanti, quasi sempre cresciuti in contesti affettivamente deprivati, con padri violenti di cui inconsciamente replicano il modello, ma leggiamo pure che l’Osservatorio Italiano sui diritti segnala che nel 63% dei casi gli insulti e i contenuti ingiuriosi presenti sui social sono rivolti alle donne.
È dunque evidente che per l’affermazione dei diritti delle donne nel nostro Paese c’è ancora un grande lavoro da fare e che occorra farlo cominciando dalla scuola.
Gli stereotipi di genere veicolati da modelli educativi sbagliati si consolidano fin dalla prima infanzia, inconsapevolmente riprodotti persino dalle tecniche di accudimento dei neonati messe in atto dalle neo mamme, come ci dice la ricerca psicologica.
La scuola perciò ha un compito educativo fondamentale che è quello di promuovere la conoscenza e il rispetto delle differenze di genere all’interno del più generale obiettivo di sviluppo delle competenze emotive ed affettive: una vera e propria alfabetizzazione affettivo-emotiva da sviluppare trasversalmente alle discipline curricolari, che deve diventare parte integrante della formazione delle studentesse e degli studenti lungo tutto il percorso scolastico, dalla scuola dell'infanzia al liceo.
Finora tutti i tentativi di introdurre nei programmi scolastici l'educazione di genere sono stati violentemente osteggiati dal mondo cattolico, preoccupato che i bambini, gli alunni e gli studenti possano essere indottrinati sulla teoria del Gender.
I cosiddetti “obiettivi prioritari” della legge 107/15 enfatizzano “il rispetto delle differenze” ma di fatto nessuna nota MIUR sollecita le scuole ad attivare iniziative di educazione alla differenza di genere.
Le statistiche sulla violenza di genere ci dicono che non si può più aspettare e che anche la scuola deve dare il suo contributo affinché le giovani generazioni possano costruire una società più giusta in cui il lavoro, la libertà, la dignità, la vita delle donne vengano rispettati.
Contro la violenza sulle donne Unione Donne Italiane, D.I.R.E. Rete Nazionale dei Centri Antiviolenza, Rete Io Decido hanno indetto a Roma per domani 26 novembre una manifestazione nazionale di cui la FLC CGIL ha dato notizia sul sito.
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