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La vera educazione è sempre antifascista

Intervento del Presidente nazionale di Proteo Fare Sapere Massimo Baldacci all'Assemblea generale FLC CGIL convocata a Brescia il 27 maggio, per i cinquant'anni della strage fascista di piazza della Loggia.

29/05/2024
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Di Massimo Baldacci, Presidente nazionale di Proteo Fare Sapere

In questo intervento intendo proporre alcune riflessioni sul rapporto tra scuola e antifascismo. Secondo alcuni, il Fascismo è stata un’esperienza storica situata in un periodo preciso: tra il 1922 (altri partono dal 1919) e il 1945. Pertanto, si tratterebbe di un’esperienza archiviata dal tempo, e non si dovrebbe quindi usare il termine “fascismo” in modo generico, per riferirci a esperienze attuali (cfr. E. Gentile, Il fascismo in tre capitoli; Id., Chi è fascista).

Altri evidenziano però che “fascismo” è anche una categoria etico-politica che individua esperienze tutt’ora in corso (cfr. U. Eco, Il fascismo eterno; L. Canfora, Il fascismo non è mai morto). Da questo punto di vista, esso rappresenta una complessa e contraddittoria ideologia, che si traduce in un insieme di abiti mentali, di modi di pensare, di sentire e di agire (cfr. W. Reich, Psicologia di massa del fascismo). La sua costellazione ideologica è costituita da una serie di elementi (quali: l’irrazionalismo, il culto dell’azione, il nazionalismo, il totalitarismo, l’autoritarismo, il razzismo et al.) che si combinano variamente nelle sue differenti versioni (vedi Eco), anche se forse se ne può individuare un nucleo più stabile del suprematismo razzistico e nazionalistico (vedi Canfora).

In vista della diffusione della sua ideologia, il fascismo ha sempre dato una notevole importanza alla questione formativa. Il fascismo storico voleva realizzare un mutamento antropologico degli italiani, secondo il mito dell’uomo nuovo fascista (cfr. A. Tarquini, Storia della cultura fascista). Intendeva formare una razza di conquistatori, di combattenti virili e disciplinati, fedeli al credo del regime. Pertanto, il fascismo ha sempre curato l’egemonia sulla scuola e sull’educazione (cfr. T. Tomasi, Idealismo e fascismo nella scuola italiana).

A questo proposito, dobbiamo però essere consapevoli che la vera educazione è sempre antifascista.

Una formazione fascista non è educazione autentica, bensì indottrinamento, manipolazione, coercizione. Perciò non è degna di essere definita come “educazione”.

La vera educazione libera l’intelligenza, dà la capacità di pensare con la propria testa, di giudicare da soli, in modo autonomo e critico. Il fascismo vuole inculcare credenze dogmatiche e incrollabili, che imprigionano il pensiero in una gabbia di false certezze, che rendono l’individuo privo di capacità critica, dipendente dal giudizio degli altri.

La vera educazione conferisce l’autonomia della volontà, la capacità di decidere da soli, di compiere le proprie scelte in modo coraggioso e moralmente consapevole, con la coscienza della responsabilità che ne deriva. Il fascismo vuole provocare una fuga da questa libertà, rendere inclini alla cieca obbedienza al potere, dissolvere il senso di responsabilità nell’indifferenza[1].

La vera educazione mira a formare cittadini attivi e critici, in grado di partecipare consapevolmente alla vita sociale e politica del Paese e di impegnarsi fattivamente per il bene comune. Il fascismo vuole sudditi passivi e consenzienti, chiusi nel proprio menefreghismo verso i problemi della collettività.

Pertanto, una educazione degna di questo nome è sempre antifascista. Propone valori antitetici ai disvalori imposti dal fascismo.

La vera educazione abita in una Scuola della Costituzione. Una scuola ispirata ai valori che innervano i principi della Carta costituzionale del nostro Paese: la democrazia, il lavoro, la solidarietà, la libertà, l’eguaglianza, lo sviluppo della persona, la pace, la giustizia sociale. Valori che si collocano entro un progetto politico-sociale di segno opposto a quello fascista.

Una Costituzione antifascista esige una scuola antifascista e un’educazione antifascista. E gli insegnanti ne sono i partigiani. Devono esserlo in quanto partigiani della democrazia. Perché essere partigiani significa parteggiare, schierarsi, prendere posizione. “Odio gli indifferenti” scrisse il giovane Gramsci (cfr. La Città futura), “Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita”. È la lotta per un ideale che dona all’esistenza un senso umano più elevato. Pertanto, la vera educazione non è agnostica o neutrale, presuppone sempre la scelta di un orizzonte di valori. Proteo è con la Flc-Cgil nella scelta dell’orizzonte valoriale della Costituzione democratica.

E se il fascismo non è mai morto, occorre una Resistenza permanente. Una Resistenza che oggi come allora poggia su una scelta etico-esistenziale, prima ancora che politica (cfr. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza). E che diviene politica proprio in quanto etica. Una scelta per la democrazia e per il pieno sviluppo intellettuale e morale di tutti i cittadini della Repubblica. Il no netto e fermo al dominio dell’uomo su altri esseri umani, alla compressione dei loro diritti e alla svalutazione della loro umanità. Il disgusto per la prevaricazione fisica e morale sui più deboli. L’anelito alla libertà, alla democrazia come modo di vivere insieme, come sentimento morale, oltre che come forma di governo.

E partigiani della democrazia erano gli operai e gli insegnanti che cinquanta anni fa caddero nel criminoso attentato fascista, mentre testimoniavano la propria scelta etico-politica. Oggi ricordiamo questi nostri partigiani. Morti per la libertà.

 

[1] “Ho obbedito agli ordini” sostennero i gerarchi nazisti nei processi del Dopoguerra. Così, si difese Eichmann al processo di Gerusalemme. Ma, come ha osservato Hannah Arendt in La banalità del male, proprio quello fu il crimine. Obbedire senza discutere, senza interrogarsi su ciò che si stava facendo, tacitando la propria coscienza morale. Questo fu il male nella sua spregevole banalità.