Tagli francesi in salsa italiana (e viceversa)
La ricetta di Sarkozy per la scuola d’Oltralpe: un reclutato ogni due pensionamenti ed altre misure a noi già tristemente note.
Chi si chiedesse da dove è nata l’idea estemporanea del Ministro Nicolais di procedere all’assunzione di un lavoratore del pubblico impiego ogni tre che vanno in pensione può andare a leggersi i rotocalchi francesi della scorsa settimana e scoprirà che questa altro non è che l’idea del nuovo presidente francese Sarkozy e del suo primo ministro Fillon. Se non che Sarkozy e Fillon sono due esponenti della destra francese in un governo di destra, e sarebbe logico pretendere che un governo che si dice di centro-sinistra avesse proposte, se non proprio alternative, almeno diverse e originali.
A questo si può aggiungere che i tagli che sono previsti in Francia, la quale ha una popolazione di una sessantina di milioni di abitanti come l’Italia, sono pensati su un organico di 5 milioni e 100 mila addetti comprensivo delle amministrazioni pubbliche statali (lavoratori della scuola compresi), locali e ospedaliere, il quale se si aggiungono le poste, le ferrovie e gli insegnanti delle scuole private convenzionate (che coprono il 20% dell’utenza e sono pagati dallo Stato), sale alla ragguardevole quota di 6 milioni e 800 mila persone pagate dall’Erario. Vale a dire esattamente al doppio dell’organico delle amministrazioni pubbliche italiane (scuole e università comprese).
Anzi l’idea francese è un pochino meglio di quella di Nicolais dal momento che Sarkozy parla di una assunzione ogni due pensionamenti e non ogni tre e che, per quello che riguarda la scuola, promette di reinvestire nell’educazione tutto il risparmio (questa volta sembra essere Sarkozy a copiare da alcune nostre esperienze del passato, ma noi sappiamo anche come sono poi andate a finire queste cose...)
Va aggiunto che in Francia negli ultimi anni si è assistito a una crescita costante dell’apparato pubblico: quello statale è cresciuto del 7,4% negli ultimi 11 anni, quello ospedaliero del 21% e quello delle amministrazioni locali del 31%, alla faccia dei profeti della cosiddetta “decentralisation” (ci sono anche lì!), che ha riguardato anche il personale tecnico e ausiliario della scuola ( ma che si sarebbe voluta applicare anche agli amministrativi e, chissà, anche ai docenti).
Va aggiunto anche che in Francia si calcolano circa 450 “corps” (in italiano diremmo “ruoli”) in cui sono arruolati i funzionari (parola che in Francia indica tutto il personale di ruolo) in quantità che variano dalle centinaia di migliaia dei maestri elementari o dei “certifiè” della secondaria alle poche unità dell’Ispettorato delle biblioteche (2 persone) o addirittura alle figure singole come il direttore del Museo di Orsay o i giureconsulti del Ministero degli esteri.
Dentro tutto ciò la “Education” con una spesa sul PIL superiore al 6% (laddove in Italia è inferiore al 5%) ha oggi 1.279.000 addetti di ruolo, avendone persi in quattro anni 47.000 anche in virtù del già citato passaggio di una parte degli ATA alle amministrazioni regionali.
Se si escludono i passaggi di amministrazione in Francia eravamo dunque finora ben lontani sia dai blocchi delle assunzioni che dalle cifre dei tagli italiani e non di meno l’abbattimento, ad esempio, di circa 2.000 cattedre lo scorso anno ha determinato parecchia agitazione e non solo a parole. Logico che quest’anno che si parla di 11.200 posti per il 2008 i sindacati stiano affilando i coltelli. Gerard Aschieri, il segretario della FSU, il principale sindacato dell’educazione, mette sull’avviso: “Nell’insegnamento non si possono realizzare dei guadagni di produttività mettendo dei computer al posto degli insegnanti come negli uffici del Ministero”.
Il Ministro dell’Educazione Darcos replica che in fondo 11.200 posti tagliati sono solo lo 0,8% del totale e che i tagli riguarderanno soprattutto il personale a contratto. Ma le cose non sono così semplici: se nella secondaria negli ultimi anni i posti sono cresciuti del 3% a fronte di un calo del 5% degli alunni e si prevedono per il prossimo anno 20.000 alunni in meno, corrispondenti a 1000-1500 posti, nella primaria si è di fronte ad un piccolo baby boom che imporrà l’assunzione di almeno 700 maestri. Inoltre, sostiene sempre Aschieri, secondo stime del ministero il lavoro reale settimanale dei docenti ammonterebbe a circa 39 ore, nonostante gli orari frontali siano di 26 ore nella primaria e di 15-18 ore nella secondaria, il che non lascia spazio a ore di sostegno o di aiuto personalizzato, che sono le cose di cui gli allievi avrebbero più bisogno. Nello stesso tempo il beneficio previsto dai tagli comporterebbe un risparmio di circa 700-800 milioni di euro di cui solo la metà andrebbero in eventuali miglioramenti o aggiunte salariali per i docenti: l’aumento sarebbe appena dello 0,5%.
Il Ministero non si fa però molti scrupoli: ecco allora che si ipotizza una riduzione degli orari scolastici di circa il 20%, la stessa quota per cui la Francia, con le sue 45 ore settimanali di lezione medie per alunno sfonderebbe la media OCSE. E il taglio dovrebbe riguardare soprattutto le ore di tecnica (sic!) che vanno semplificate, sostiene Darcos (da notare che sono già molto più semplificate che in Italia). Nel “college” (la scuola media) si pensa di fondere insieme matematica, scienze, fisica e tecnologia (sic!). Nello stesso tempo si spera di ottenere una specie di razionalizzazione “spontanea” dall’abolizione della “Carte Scolaire”, vale a dire i bacini di utenza che in Francia sono ancora in vigore e dalla fine della scuola media unica, nel senso che le scuole medie sono incitate a differenziare gli insegnamenti terminali in funzione degli alunni, ferma restando l’offerta di uno zoccolo comune per tutti.
Un “college a la carte” lo ha definito la FSU. E, anche in questo caso, non è una musica nuova alle nostre italianissime orecchie!
Roma, 17 settembre 2007
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