Non perdere la tenerezza! Dal Nicaragua un’esperienza avanzata di educazione ai diritti umani
Nicaragua, Marzo 2003
Marzo
Non perdere la tenerezza! Dal Nicaragua un’esperienza avanzata di educazione ai diritti umani
In questi giorni, in occasione di un giro di conferenze organizzate dalla Cgil Scuola, è nostra ospite Reina Isabel Velàsquez, psicologa, Subdirectora Esecutiva del centro “ Dos Generationes” che si occupa dell’inserimento scolastico dei niños trabajadores, i bambini lavoratori della città di Managua, capitale del Nicaragua. Si tratta di bambini che lavorano nel basurero, la discarica dei rifiuti della città, 12-14 ore al giorno per recuperare oggetti da riutilizzare e rivendere per sbarcare il lunario proprio e delle loro famiglie.
A lei facciamo alcune domande.
Come è il sistema educativo del Nicaragua?
La scuola è statale e ufficialmente gratuita e obbligatoria per i primi 6 anni, ma solo ufficialmente, la realtà è ben diversa. E in questi anni c’è stata una crescita dei collegi privati, ecclesiastici. Il sistema scolastico è diviso in tre gradi: primario (6 classi), secondario (6 classi) e universitario (da 5 a 8 anni accademici) . Il sistema secondario è diviso in un triennio inferiore ed in uno superiore, il bachillerato (il liceo diremmo noi). Ci sono anche poche scuole tecniche che insegnano segreteria e contabilità e soltanto una tecnica-industriale. La scuola per diventare maestri, la normal, prevede però solo due anni superiori. La scuola inizia a 6 anni. C’è una educacion prescolar, la scuola materna, che però è prevalentemente comunitaria. I ninos trabajadores, che sono i bambini di cui ci occupiamo noi, vanno normalmente a scuola più tardi, ma per questi casi ci sono anche percorsi accelerati del tipo due anni in uno. Nel settore universitario ci sono molte università private piccole e grandi. L’università statale è un’unica entità con 4 sedi nelle 4 principali città del paese.
Il tasso di alfabetizzazione è dell’80%, ma scende al 71% nelle aree rurali. Il 48% dei bambini frequenta da 1 a 6 classi, mediamente è come se i bambini nicaraguensi frequentassero solo 3 classi. E solo il 2% va all’università. Il 44% dei bambini non va a scuola. Tra i niños trabajadores questa percentuale arriva al 55% e il 17% sono quelli espulsi, perché la scuola e molto tradizionalista e autoritaria.
E quale è la condizione degli insegnanti?
I maestri sono mal pagati: 40-50 $ al mese, quando il paniere normale è almeno il doppio. I bambini sono 50 per classe, nelle campagne ci sono pluriclassi anche di 70 alunni, e nelle scuole private sono 40 per classe. Mancano scuole e maestri: una certa percentuale dei maestri sono empiricos, cioè non abilitati all’insegnamento. Ci sono maestri che arrivano ad accumulare fino a tre turni in una giornata per guadagnare più soldi. L’orario di lezione è di 5 ore al giorno per 5 giorni. Così ci sono maestri che lavorano anche 15 ore al giorno.
Per diventare maestro ci vogliono in tutto 11 anni di scuola, invece per insegnare nella secondaria occorre aver fatto l’università.
Che cosa è il fenomeno dei niños trabajadores?
Il fenomeno dei niños trabajadores è legato alla povertà estrema che riguarda il 30% dei nicaraguensi. L’altro 70% dei nicaraguensi sono solo poveri! Si tratta di gente disoccupata o che vive di remunerazioni basse. Tra loro ci sono 300.000 bambini che lavorano per aiutare sé stessi e la famiglia. Lavorano rovistando tra i rifiuti, come nel nostro caso, del basurero di Managua. Ma altri casi simili ci sono nelle discariche di Leon, Estelì e delle altre città. Altri bambini lavorano con la pesca di profondità, o nelle piantagioni di tabacco, caffè e banane, dove sono sottoposti agli agenti chimici della disinfestazione. C’è poi il caso delle bambine, che è vastissimo ma meno visibile, perché consiste nel lavoro domestico e in altri lavori legati ad un affido a un’altra famiglia, non necessariamente facoltosa, talvolta ad amici e parenti. Le bambine sono sempre le più sfruttate perché i bambini quando smettono di lavorare o, quelli che vanno a scuola, di studiare, vanno a giocare: le bambine invece vanno a casa a fare i lavori domestici.
L’educazione a cui noi cerchiamo di recuperare questi bambini più che un diritto è un modo per sottrarli al lavoro infantile.
Nel basurero lavorano circa 1200 persone e di queste più della metà sono bambini. Nel basurero ci vivono pure. Ci abitano. C’è un villaggio anch’esso costruito con materiale di recupero, plastica, latte ecc.
Voi vi chiamate “Dos generaciones”, due generazioni. Perché?
Perché il nostro lavoro consiste anche nel mettere in relazione i genitori con i figli. E anche gli alunni con gli insegnanti. Lavoriamo sulla relazione. Non abbiamo costruito scuole apposta, a parte una scuola materna, ma cerchiamo di rendere praticabile l’affermazione ufficiale ma non reale del diritto a un’educazione gratuita e obbligatoria. Lavoriamo in rete con altre associazioni e O.N.G. Lavoriamo sui diritti, sull’ascolto e sulla partecipazione. La nozione di diritto è poco diffusa in questa area della società. Anche con gli insegnanti sosteniamo i loro diritti sindacali perchè pensiamo che dall’affermazione dei loro diritti nasca la consapevolezza del diritto di tutti. Occorrono maestri motivati per affrontare il problema. L’educazione è un tema politico come il diritto, perché l’educazione è un diritto. E l’educazione a scuola deve essere complementare all’educazione nella famiglia. Anche nella famiglia bisogna affermare diritti, perché spesso anche la famiglia è sede di sopraffazione e violenze.
Vi riferite a violenze sessuali?
Non solo, ma anche a quelle. Abbiamo fenomeni di abuso sessuale tra adulti e adolescenti e anche tra adolescenti tra loro, come fatti abituali, a cui ci si rassegna o che si nascondono. Essi nascono da diversi elementi culturali diffusi. Il nostro lavoro consiste nell’aiutare a comprendere che possono esistere altre modalità di relazione nei rapporti sentimentali, nei rapporti familiari, nei rapporti in classe, nei rapporti tra le persone in genere. Su questo terreno lavoriamo sulla prevenzione delle gravidanze, molto diffuse tra i giovani adolescenti. Quest’anno siamo riusciti a non averne tra le ragazze seguite da noi. Lavoriamo sul rispetto, sulla tenerezza.
Quale è la metodologia dei vostri interventi?
Noi diciamo che esistono tre percorsi: creare buone capacità e competenze nella persona, creare opportunità, per esempio spazi educativi, creare un contesto favorevole per l’inserimento, a questo scopo facciamo politica nell’opinione pubblica, presentiamo proposte. Tenete presente che in Nicaragua si vive una separazione tra la società civile, poco organizzata – a parte alcuni movimenti, come quello delle donne, lasciati in eredità dalla rivoluzione sandinista – e la politica intesa come arte del governo che spesso scade nella corruzione e nell’appropriazione indebita – un nostro ex presidente della repubblica è agli arresti domiciliari per questo e il fenomeno lambisce anche la stessa opposizione di sinistra. Quando parliamo con i politici essi ci rispondono che queste sono questioni di cui lo stato non si deve occupare perché riguardano solo le O.N.G.
Comunque la nostra metodologia è centrata sul recupero dell’esperienza delle persone, in modo che essi possano dare una lettura della propria esperienza dei diritti umani., recuperando gli aspetti positivi e negativi, identificando l’apprendimento. Lavoriamo sulla costruzione di un linguaggio comune: che cosa possiamo fare a livello individuale, che cosa a livello collettivo.
Con quali tecniche? In quali tempi?
Teatro, gruppi di riflessione, interscambio con adulti. Noi lavoriamo molto anche con i genitori, perché è dalla relazione con loro che nascono e si ripetono certi comportamenti. Lavoriamo sull’interscambio tra figli e genitori. E anche sull’integrazione con i maestri. Usiamo mezzi audiovisivi. Lavoriamo soprattutto il sabato e la domenica, nei momenti in cui i bambini sono liberi dalla scuola e dal lavoro. Tenete presente che molti di questi bambini vanno scuola più tardi degli altri e che abilità che per noi sono comuni non le hanno: per esempio, tenere in mano una penna, un lapis. La scuola è, anche per forza di cose, molto selettiva: si calcola che ancora al quarto anno molti bambini non sappiano leggere, scrivere e fare i conti. Questi bambini sono i meno inclini ad accettare la disciplina scolastica ed anche per questo sono i primi ad essere respinti dalla scuola.
Come vivono i bambini questo vostro lavoro?
All’inizio lo vivono come uno spazio ludico poi, più avanti, comprendono che è parte dell’educazione. In Nicaragua i bambini non hanno spazi propri per il proprio gioco o divertimento, non ci sono parchi gioco e nemmeno gli oratori, come da voi. I bambini hanno la strada e la tv. Nelle campagne neanche quella perché in molti punti non arriva la luce elettrica. I bambini del nostro centro sono, in un certo senso, dei privilegiati. Alcuni di loro sono arrivati al bachillerato, una si è laureata.
E con gli insegnanti che rapporto avete? Non vedono il vostro lavoro come una intromissione?
Un rapporto di amore e odio! Amore per i contributi cooperativi, gli interventi speciali che facciamo. Ma le cose si complicano quando parliamo di diritti ai bambini. Loro parlano piuttosto di “rispetto” visto in maniera unilaterale. E allora ci accusano di incitare i bambini all’insubordinazione. Inoltre c’è un problema legato a quella che chiamano autonomia scolastica ma che in realtà è una privatizzazione. L’autonomia scolastica è una buona cosa se dà la libertà per decidere il tuo lavoro didattico. Ma questo in Nicaragua non avviene perché in merito è il governo che decide tutto. Invece si afferma la tendenza per cui il maestro chiede soldi per attività, materiali ecc., ufficialmente in forma volontaria, ma che nasconde o un obbligo o una discriminazione.
Noi comunque appoggiamo i maestri nella loro azione per un migliore salario, perché questo evita loro il ricorso ad altri mezzucci per arrotondarlo, e per i loro diritti, perché noi pensiamo che la consapevolezza dei propri diritti aiuti a riconoscere anche i diritti degli altri.
E con i genitori?
All’inizio lavoravamo solo con i bambini e non con i genitori. E questo ci ha creato molti problemi.
Soprattutto sul terreno dell’educazione sessuale: noi spiegavamo le cose ai bambini e li abituavamo a parlarne. Loro ne parlavano a casa e i genitori li punivano. Abbiamo dovuto fare il laboratori sui pregiudizi. Adesso lavoriamo molto con i genitori, come vi ho già spiegato.
In quanti fate questo lavoro?
Abbiamo una sede centrale a Managua e il centro della discarica. Qui lavoriamo in 4 a tempo pieno, poi ci sono 10 promotori volontari e 3 monitores, cioè ragazzi più grandi che hanno frequentato il centro e hanno studiato e che adesso ci aiutano a tenere gli altri. Facciamo comunque parte di una rete formata da 40 organizzazioni.
Roma, 7 marzo 2003
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