Decreto scuola e ricerca: avanzamenti per i precari della ricerca, persa una grande occasione per l’università
Accolti gli emendamenti per la Ricerca presentati dalla FLC, bocciati gli emendamenti per i precari dell’università.
Il Senato ha approvato col voto di fiducia il testo del Decreto legge 126/2019 confermando le modifiche introdotte alla Camera. Per quanto riguarda la scuola, su cui rimandiamo ad una analisi specifica, mancano all’appello abilitazioni e facenti funzione.
Accolti per la Ricerca gli emendamenti presentati alle commissioni competenti dalla FLC CGIL.
Con il testo approvato, si compie un importante passo avanti con ricadute immediate sulle stabilizzazioni in corso, nella direzione indicata in questi anni dalla FLC per le politiche del precariato:
Si consolida il percorso di riconoscimento dei diritti di tutto il personale precario anche degli assegnisti di ricerca. Il testo ribadisce come ai fini della stabilizzazione ha pieno titolo l’esperienza maturata con assegno di ricerca e con contratti parasubordinati, inoltre l’esperienza di ricerca è tale indipendentemente dalla istituzione, sia Ente/università/ fondazione, in cui è maturata.
Si sancisce la specificità delle modalità di reclutamento negli istituti di ricerca rispetto al resto della pubblica amministrazione. Le più “tipiche” forme di reclutamento finalizzate ad attività di ricerca, vengono ai fini della stabilizzazione, riconosciute nell’alveo delle selezioni pubbliche per l’accesso alla P.A.. Con la norma approvata, il requisito del superamento della selezione pubblica previsto dal comma 1 dell’art. 20 del d.lgs 75/17, è assolto non solo da chi ha svolto tale procedura anche in un momento diverso da quello di assunzione a tempo determinato, ma anche da chi è vincitore di una selezione pubblica su specifici progetti di ricerca a tempo determinato o con assegno, e chi è vincitore di progetti in cui è prevista l’assunzione per chiamata diretta.
Soprattutto si introduce una procedura di accesso per tempo determinato e assegno di ricerca che permette al termine di un triennio l’immissione nei ruoli della ricerca.
La norma reintroduce ciò che la Brunetta aveva sottratto al contratto nazionale di lavoro allargandolo agli assegni di ricerca. Dopo un triennio di attività di ricerca indipendentemente dal tipo di contratto con cui viene svolta, previa ulteriore selezione, si può essere assunti in ruolo. Si crea inoltre una connessione con chi ha i requisiti della stabilizzazione ai sensi dell’art. 20 del dlgs 75/17. Questo dispositivo esce con alcuni errori rispetto al testo presentato perché si rivolge esclusivamente al personale ricercatore e tecnologo e disponendo lo svolgere delle prove selettive a valle del triennio e non al primo ingresso permette di utilizzare solo il 50 percento delle risorse assunzionali per stabilizzare. Tuttavia si tratta di una misura il cui rilievo è di tutta evidenza. Per altro in via transitoria, si dispone anche la possibilità di utilizzare le graduatorie delle selezioni comma 2 dell’art. 20 del dlgs 75/17 per l’immissione in ruolo ai sensi di questa procedura. Il termine per concludere il percorso di stabilizzazione sempre ai sensi del citato art. 20, viene anche prorogato di un anno, cioè al 2021.
Inoltre, le prove selettive indicate nel testo del decreto uscito da palazzo Chigi per chi non ha passato un pubblico concorso, diventano prove di idoneità favorendo un meccanismo più fluido per l’accertamento dei requisiti necessari per l’assunzione. Gli emendamenti faranno inoltre chiarezza nelle cause dei lavoratori contro gli Enti inadempienti, come l’INFN che tenta in ogni modo di evitare di immettere in ruolo gli aventi diritto, nonostante abbia anche ricevuto finanziamenti finalizzati alla stabilizzazione.
L’insieme degli emendamenti divenuti legge, arricchisce il dlgs 218/16 che diventa anche fonte regolativa per il reclutamento di settore e consolida l’obiettivo di costruire un quadro normativo sempre più specifico per il lavoro di Ricerca. Questo intervento mette un punto importante nella strategia di ricomposizione dei canali di accesso oggi frammentati, dei diritti del lavoro di ricerca abusivamente stratificato in variegati livelli di precarietà ma uguale nella qualità e quantità quotidiana dell’attività svolta.
Tanta ne abbiamo fatta di strada da quando solo pochi anni fa in molti, tra cui l’allora Ministro del Lavoro Poletti, ci spiegavano che l’assegno di ricerca non è lavoro. Nonostante ciò non possiamo non rilevare con amarezza la grande occasione persa dal Parlamento di chiudere il cerchio dei provvedimenti qui illustrati. C’erano infatti le condizioni per restituire pari dignità e diritti al lavoro precario prestato negli enti di ricerca con assegno o altra forma parasubordinata attraverso l’unico emendamento non approvato, tra quelli proposti dalla FLC. Incredibile che la proposta, dopo essere stata approvata dalle commissioni cultura e lavoro del Senato sia stata bocciata dalla commissione bilancio per un parere della ragioneria generale dello stato che ancora una volta si è espressa su materie che in tutta evidenza non dovrebbero in alcun modo riguardarla.
La qualità di questi interventi normativi, per i quali occorre dare merito ad una evidente sensibilità emersa nelle commissioni parlamentari in cui si è svolta la discussione, e al Ministro Fioramonti, rendono però del tutto paradossale l’opposto trattamento riservato ai precari dell’università.
Difficile spiegare come sia possibile che gli emendamenti per i lavoratori precari dell’università, diversi nella forma ma coerenti nella sostanza politica con quelli per gli enti di ricerca, siano stati tutti bocciati e che quindi sia rimasto immodificato nel passaggio parlamentare l’art. 5 del DL 126 “Semplificazioni in materia universitaria”. Vogliamo auspicare che il progetto di legge in via di presentazione riguardante il reclutamento nelle università sia davvero l’occasione aperta al confronto in grado di sanare definitivamente questa disparità di trattamento tra chi fa ricerca negli enti e chi la svolge negli Atenei.
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