Alluvione in Sardegna: il territorio ha bisogno dei nostri ricercatori
Cicloni, frane, terremoti, la ricerca preventiva può salvare il nostro paese dalle catastrofi.
Nella notte tra il 18 e il 19 novembre scorsi la Sardegna viene fortemente colpita dal ciclone Cleopatra. Le provincie di Nuoro, Oristano e Sassari sono sommerse dall’acqua. E’ una brutta, bruttissima notte. Il giorno dopo bandiere a mezz’asta, si parla di lutto cittadino per le città più colpite, mentre per le strade si spala ancora fango, si cercano i dispersi e nelle chiese si piangono 16 morti.
Non si fa in tempo nemmeno a ripartire e a preannunciare un’altra settimana di temporali che a piovere sono le polemiche: l’allerta meteo era stata lanciata 12 ore prima, qualcuno dice anche da qualche giorno. Tutti i comuni erano stati allertati, questa tragedia si poteva evitare. Forse sì. Ma forse la verità è che pre allertare un territorio può aiutare, ma probabilmente non può evitare completamente un disastro simile, perché dietro un disastro simile, uguale in tutto e per tutto alle migliaia calamità che ogni anno investono il nostro territorio, c’è una mancanza disumana di prevenzione alla catastrofe. Un maltrattamento continuo, deplorevole, da parte dell’uomo verso la natura, che inevitabilmente, finisce col ribellarsi.
Negli ultimi anni alluvioni e frane non sono che aumentate e il nostro paese si conferma essere uno dei più colpiti dai recentissimi cambiamenti climatici: oggi l’82% dei comuni italiani è interessato da fenomeni catastrofici del genere. Un territorio reso ancora più vulnerabile dal comportamento dell’uomo: la cementificazione, l’urbanizzazione, l’abusivismo edilizio, il disboscamento, la mancata manutenzione dei corsi d’acqua stanno rendendo i suoli italiani più poveri e quindi più vulnerabili agli agenti atmosferici. Eppure, piuttosto che investire in ricerca preventiva, mirando ad azioni specifiche di manutenzione, si punta il tutto per tutto sull’intervento di urgenza (quando va bene), sulle migliaia di euro stanziati all’ultimo minuto per riparare il danno, dopo che il disastro ha già flagellato un territorio e fatto vittime.
Queste cause, che sono reali e tragiche, vanno affrontate ora, in Sardegna, e anche nel resto d’Italia. Perché di tragedie, annunciate, ma per nulla al mondo prevenute, ce ne sono state fin troppe. E invece il nostro paese, oggi, ha proprio un bisogno disperato di prevenzione. Di un’opera di risanamento capillare, a 360 gradi e allo stesso tempo specifica di territorio in territorio, che preservi e conservi l’ambiente. Che il territorio venga studiato, in ogni sua peculiarità, e trovato il sistema migliore per proteggerlo da eventi calamitosi come questo.
Le risorse vanno messe in campo. La nostra ricerca può e deve fare la differenza, ma l’unica soluzione è permetterle di farlo subito, aumentando la spesa pubblica, investendo nella sua dimensione sociale, portandola fuori dai suoi classici luoghi, perché la conoscenza scientifica non è niente se non viene applicata nella vita di tutti i giorni. Abbiamo bisogno dei nostri ricercatori: del loro prezioso lavoro preventivo, e non di chiedere loro pareri a posteriori dopo che la catastrofe è già arrivata e ha sconvolto tutto, del come e perché si poteva fare per evitarla. Senza il lavoro dei nostri ricercatori la prevenzione muore ed è destinato a morire anche il nostro territorio. Ma abbiamo anche bisogno che la gente ci creda, che torni ad avere più fiducia nella scienza e che capisca che i tagli alla ricerca sono un problema di tutti, perché la ricerca è un bene comune.
Quello che ha colpito la Sardegna è senza dubbio una calamità di natura eccezionale, alla quale non siamo abituati: in 24 ore è caduta una quantità di acqua pari a quella che normalmente cade in sei mesi in tutto il territorio italiano. Ma forse dobbiamo cominciare ad abituarci a questi cambiamenti climatici di cui siamo soprattutto noi ad essere responsabili, e attivarci per essere pronti a non subirli in modo così catastrofico. Lo dobbiamo a noi, lo dobbiamo prima di tutto al nostro territorio.