La definizione delle competenze professionali dei docenti. Prime considerazioni critiche
Di Massimo Baldacci, Presidente nazionale Proteo Fare Sapere
Il Ministero dell’istruzione e del merito, con un decreto del Capo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione, ha messo in moto il processo di definizione delle competenze per la formazione dei docenti, istituendo un apposito Gruppo di lavoro coordinato dai proff. Bertagna, Perla, Centermero e dalla dott.ssa D’Amato. Il lavoro muove da alcuni documenti di framework per la messa a punto delle competenze. Rispetto alla prima versione di tali framework si devono svolgere almeno due considerazioni.
Per realizzare questa operazione, sarebbe necessario muovere da una riflessione iniziale circa il tipo di docente di cui ha oggi bisogno la scuola, per garantire a tutti un’adeguata crescita culturale, intellettuale e morale. Invece, le bozze di framework – ricavate da un combinato di diverse norme, tra le quali: il Decreto 10 settembre 2010 n.249, l’Allegato A del Dpcm 4 agosto 2023, art 42 del CCNL del personale del comparto istruzione e ricerca – non chiariscono il tipo di docente da formare. In sua sostituzione viene fornito un elenco delle competenze da acquisire. Si tratta però di un elenco prolisso e frammentario (qualche decina di competenze). Si può essere certi che un riferimento così prolisso avrà scarsa capacità di indirizzare in modo coerente e unitario le varie attività formative. Probabilmente, all’atto pratico sarà largamente trascurato. Inoltre, colpisce la contraddizione tra un simile volume di competenze e le effettive risorse formative: per la formazione del docente della scuola secondaria, si tratta di un singolo anno accademico, anzi in pratica meno.
In queste condizioni, è probabile che il reale ruolo orientativo del documento si sposti alla Premessa. Qui leggiamo che la definizione delle competenze professionali richiede tre condizioni o presupposti. Di questi appare cruciale la terza: “lo sviluppo della capacità di sostenere e orientare tutti, nessuno escluso, alla scoperta dei propri talenti e delle proprie vocazioni”.
Il focus dell’opera formativa dell’insegnante sono i “talenti” dello studente, ossia le sue inclinazioni intellettuali specifiche per dominio epistemico-culturale. Si tace sul compito di garantire a tutti gli studenti il raggiungimento delle competenze fondamentali per poter partecipare in modo attivo alla vita politica, sociale ed economica del Paese. Un compito che trova il proprio fondamento nel secondo comma dell’art. 3 della Costituzione, e che presuppone che certi traguardi formativi debbono essere comuni per tutta la popolazione scolastica e debbano essere assicurati a tutti. L’attenzione è invece spostata sui talenti, sulle inclinazioni personali che distinguono uno studente dall’altro, legittimando così esiti non solo diversi ma anche diseguali per i diversi soggetti. Ma non basta. Non si parla di formazione o coltivazione dei talenti, bensì di “scoperta dei propri talenti”. Ma, se il talento è qualcosa che si scopre, significa che in realtà lo si possiede già a livello latente o potenziale, che è un dono naturale che avevamo anche senza saperlo. Viene, cioè, suggerita una ideologia naturalista dei talenti. Ciascuno possiede i propri talenti naturali per nascita. L’educazione consiste nel far scoprire quali sono questi talenti e trasformarli così in vocazioni consapevoli (probabilmente ci si riferisce tacitamente a vocazioni professionali). Per riprendere una immagine celebre (A. Gramsci, Lettere dal carcere. Lettera a Giulia Schucht, 30 dicembre 1929, Sellerio, Palermo 2013), si presuppone che la personalità intellettuale-culturale di ognuno sia già aggomitolata nel cervello alla nascita. Cosicché, l’educazione consisterebbe soltanto nel suo sgomitolamento. Si tratta di una riproposta della pedagogia della personalizzazione (affermatasi nell’epoca Moratti), che presuppone che i traguardi formativi debbono essere personalizzati in funzione dei talenti di ciascuno. Ma in questo modo non vi è alcuna garanzia che le competenze fondamentali saranno garantite a tutti gli studenti. La pedagogia democratica, che mira a un progresso intellettuale e culturale di massa, si basa piuttosto sulla pedagogia della individualizzazione: sull’adattamento dei percorsi didattici alle caratteristiche degli studenti, in funzione di traguardi formativi comuni per tutti, così da assicurare a ognuno il possesso di certe competenze fondamentali.
Un’ultima considerazione concerne il rapporto – non citato nei framework ma implicito nel loro senso – tra il talento e il merito. Il passo dall’uno all’altro è breve. Secondo l’ideologia corrente, se si possiede un talento marcato, particolarmente nei domini culturali forti come la lingua italiana o la matematica, allora si è meritevoli. Che vi sia una evidente contraddizione tra una concezione naturale del talento e il merito viene taciuto (che merito ci sarebbe nell’essere stati fortunati nella lotteria genetica?). Nel loro insieme, la concezione naturalista del talento e quella meritocratica costituiscono un dispositivo di legittimazione delle diseguaglianze nei risultati dell’istruzione, mascherando la loro origine largamente sociale.
Proteo Fare Sapere esprimerà il proprio dissenso da questa impostazione in tutte le sedi, chiedendo di ripristinare un’idea della formazione scolastica coerente con l’art. 3 comma 2 della Costituzione.
15 gennaio 2025
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