FLC CGIL

13:00

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E’ Guglielmo Epifani, Segretario Generale CGIL, a concludere i lavori di queste due intense giornate di discussione. Riprendendo il titolo dell’iniziativa afferma che:

“Il tema del convegno “ Il ruolo dell’università per la crescita del Paese”, è insieme ambizioso e giusto. La nostra tesi, sostiene, è proprio quella del titolo e il corollario è che senza sapere il Paese passa ad un livello sempre più basso.

Il caso della Fiat è, ad esempio, quello di aver creduto nella necessità di investire in sapere e di innovare. E questo vale in tutti i settori: manifatturiero, servizi, trasporti, telecomunicazioni, energia, ecc…

Inoltre, Università e Ricerca, oltre ad essere volano dello sviluppo, sono essi stessi fattori di sviluppo: competenze, relazioni, reti, sinergie sono elementi di crescita.

Purtroppo anche qui siamo in una transizione infinita fatta di tante leggi e revisioni.

Occorre reimpostare i mille problemi correlandoli con il contesto per definire un avvio di riforma che rimetta la grande macchina dell’Università al posto che deve avere.

Oggi non abbiamo il contesto che ci aspettavamo e si tocca, quindi, una grande delusione e ciò è rischioso. Non si può certo lasciare le cose come stanno, ma non sappiamo mai quanto il Governo possa durare, verifichiamo che agisce senza programmazione e orizzonte temporale e, quindi, che le priorità vengono troppo spesso dall’esterno.

Per tutti i sistemi complessi, che sono la nervatura del Paese, questo è il più grande limite.

Sulle risorse, rischia di finire il tesoretto senza che nessuno se ne accorga. Quindi diciamo al governo di fermarsi e di valutare con noi le priorità, che sono:

  • aumentare le pensioni più basse;

  • risorse per lo sviluppo;

  • soldi per i contratti 2007 e per il 2008;

  • soluzione del gradone;

  • investimenti in conoscenza.

Nella scuola ci sono stati dei risultati, nell’Università e nella Ricerca ancora nulla. Il tempo che resta è solo quello da oggi all’impostazione della finanziaria.

Nelle università le cose non possono restare come sono oggi.

Non va la prolificazione dei corsi; la qualità della didattica deve essere elevata, occorre riordinare facendo un bilancio di cosa c’è e che cosa serve. Sarebbe bello che fosse il Parlamento con le 2 Commissionicultura e con l’aiuto del CNEL a fare questo bilancio.

Anche sull’autonomia occorre cambiare: l’autonomia è il modo con cui si raccorda l’offerta formativa con le esigenze del territorio e del Paese.

Deve partire la valutazione facendo anche riferimento alle politiche migliori anche negli altri paesi.

E poi c’è il personale: chi “tira” davvero sia la didattica che la ricerca sono i precari. Occorre partire subito con la loro riduzione e poi aumentare i numeri.

E in questo ambito c’è il problema della contrattualizzazione della docenza universitaria.Dipendere dalla politica, come oggi avviene, è limitante e in un regime di alternanza può cambiare tutto, a seconda di chi governa, soprattutto quando a decidere può essere chi non crede alle Università pubbliche.

La contrattualizzazione, invece, ridà forza agli interessati.

Ovviamente pensiamo ad un contratto nuovo che premi il merito e la professionalità.

Così si è più liberi e più padroni del destino individuale e collettivo, della propria dignità.

E’ un discorso iniziale che può far partire un percorso che vogliamo fare insieme per le università e per il Paese”.